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Secondo me c’è ancora qualcuno che pensa che sbattere in prima pagina il curriculum degli illeciti del Vicesindaco di Ferrara possa far cambiare opinione a chi l’ha votato. Come se cercare di fottere schei al Fisco e non pagare l’avvocato fosse incompatibile con un incarico istituzionale.

Ma scusate. Un individuo diventato una specie di affettuosa macchietta dell’italiano di successo, al punto da essere chiamato solo col suo nome proprio (Silvio) sia dai sostenitori che dai detrattori, ha iniziato la sua carriera da imprenditore con fondi e garanzie della banca Rasini, dichiarata dagli stessi mafiosi come la banca che riciclava il denaro sporco (ci ha lavorato il padre, di Silvio); attraverso un suo plenipotenziario siciliano, collezionista di libri antichi e frequentatore di uomini della Cupola, ha stipulato un patto di reciproca protezione con la mafia corleonese, facendosi proteggere personalmente da un certo Mangano, ospitato come stalliere a casa sua ad Arcore e definito da Paolo Borsellino come una delle teste di ponte della mafia siciliana verso il Nord Italia; ha occupato abusivamente frequenze televisive, facendosele sanare ex lege; è uscito indenne da quasi tutti i processi a suo carico (tranne uno, per frode fiscale, per cui è stato condannato) perchè prescritto, amnistiato o perchè il reato è stato depenalizzato in Parlamento dall’opera delle sue squadre di avvocati/parlamentari; ha utilizzato le prestazioni sessuali di ragazze anche minorenni (non lo dico io, lo dice la sua ex moglie) allestendo le sue festicciole, pare, anche in sedi istituzionali; è stato uno dei primi tesserati alla loggia P2 di Licio Gelli, mandante della strage di Bologna. A guardare le accuse a cui è sfuggito – nel senso che non ha scontato la pena – altro che persecuzione giudiziaria delle toghe rosse, viene da dire che ha avuto dalla sua buona parte della magistratura giudicante. Costui è stato Presidente del Consiglio per complessivi dieci anni, superando Andreotti e superato per durata solo da Giolitti e Mussolini. Con il suo impero editoriale costruito su un colossale conflitto di interessi (a un certo punto agito direttamente, da capo del governo), costui è il personaggio che ha modificato in maniera più profonda, capillare e duratura il costume e la cultura di massa dell’italiano, con una notevole sagacia, oltre che con una inarrivabile disinvoltura. Il partito da lui fondato è stato sbeffeggiato dall’intellighenzia anzitutto per il nome scelto (Forza Italia, simile ad un coro da stadio), dopodichè è arrivato a prendere più del trenta per cento dei voti degli italiani, che sono andati direttamente a lui, perchè Forza Italia non esiste senza di lui.

L’Italia è il paese che, per una volta (di solito accade il contrario), ha anticipato gli Stati Uniti d’America, lanciando la moda del tycoon al potere. Anche negli USA molti lo ritenevano impossibile, eppure sono stati capaci di eleggere Presidente uno i cui hotel e casinò sono finiti per sei volte in bancarotta tra il 1991 e il 2009, in gran parte a causa dell’incapacità di saldare i debiti contratti o di rinegoziare i debiti con le banche, i proprietari e i piccoli creditori. Uno che al settimanale Newsweek nel 2011 dichiarò: “Ho sempre giocato con le leggi sulla bancarotta – vanno molto bene per me”. Uno che disse a tal proposito: “Ho utilizzato le leggi di questo paese per pagare i miei debiti… Be’, abbiamo una compagnia. Metteremo tutto a bilancio. Negozieremo con le banche. Faremo un grande affare. Sapete, è come al The Apprentice. Non è un fatto personale. Sono solo affari”.

Troppa gente continua ad ignorare la saggezza di Ennio Flaiano, che affermò: “nel nostro paese la forma più comune di imprudenza è quella di ridere, ritenendole assurde, delle cose che poi avverranno”. In un panorama simile, continuo a stupirmi del fatto che ci sia molta gente che non capisce come un sedicente disabile che corre dietro a disabili veri, che festeggia per piazza stile “è arrivato l’arrotino” in pieno lockdown, che parcheggia l’auto regolarmente sotto il Comune, che filma la Jacuzzi che si è fatto montare nella casa popolare che continua ad abitare, nonostante si attribuisca un lauto indennizzo come amministratore – pignorato dall’ Agenzia delle Entrate  – possa continuare a fare il Vicesindaco della città. Ma signori, quello è il suo posto. Avesse osato di più, a quest’ora sarebbe presidente di Regione, un Formigoni, un Galan. E’ questione di proporzioni.

Purtroppo stiamo tutti contribuendo a forzarle, queste proporzioni, attribuendo a questo individuo la forza che non ha. Noi gliela diamo, questa forza – ed io contribuisco con questo pezzo una tantum, promettendo a me stesso che non lo farò più. Lodi avrebbe preso tante preferenze: no, ha preso un migliaio di preferenze su centomila aventi diritto, circa un ferrarese su cento. Certo, è quello che ne ha avute di più, ma perchè tutti gli altri candidati ne hanno prese di meno. Un ferrarese su cento ha espresso la sua preferenza per il piccolo guitto da sagra paesana, e allora? Quando un signore di questa statura, dall’alto delle sue mille preferenze, si guadagna, di rimbalzo, articoli di giornale sulla stampa francese e inglese, monologhi pseudosatirici dei neopolemisti italiani alla moda (tendo a diffidare di chi costruisce la sua carriera esclusivamente sullo sputtanamento altrui), servizi di prima pagina sui magazine di approfondimento in prima serata, vuol dire che è proprio il mondo dell’informazione a fornire a questo soggetto il propulsore per lanciare i suoi “messaggi” più lontano di quanto potrebbe fare con le sue sole mani. E’ l’informazione malata e ridicola a conferirgli quei superpoteri da supereroe dei bar, e la cosa più grave è che uno dei megafoni più efficaci della sua “attività” glielo fornisce l’informazione “progressista”, amplificando le sue gesta a dismisura, come se questo potesse spostare minimamente l’opinione di qualcuno che gli ha espresso la sua preferenza. Nessuno che venga sfiorato dal sospetto che chi gli ha espresso la sua preferenza lo abbia fatto esattamente perchè costui è fatto così. Che senso ha, mi chiedo, dirsi tanto popolari quando si consegna, ingenuamente, nelle mani dell’avversario una delle armi mediatiche più basiche della pop art? Andy Warhol diceva che non devi leggere la stampa che ti riguarda, devi pesarla. In questa città ci sono almeno due personaggi che non hanno lo stesso spessore culturale, ma che accomuno per la capacità di volgere a proprio favore gli strali dei nemici, nutrendosi dell’ossessiva e scandalizzata attenzione altrui. Credo che chi si sente da un’altra parte dovrebbe dichiarare quali sono le sue ragioni e proposte alternative, per il presente e il futuro. Credo che chi è stato dall’altra parte, e ha perso, dovrebbe chiedersi se far saltare in aria ventunomila risparmiatori senza muovere un dito (e non parlo del sindaco Tagliani), anzi talora rivendicando la bontà dell’operazione, non sia stato il perfetto brodo di coltura del Masaniello della Bassa.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Cari lettori,

dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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