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Per salvare il pianeta dal riscaldamento globale, per assicurare un futuro alla razza umana e alle nuove generazioni “non c’è più tempo”. Per esporre questa clamorosa, pacifica, coloratissima denuncia, venerdì 15 marzo milioni di giovani e giovanissimi sono scesi nelle strade e nelle piazze di tutto il mondo. Centinaia di migliaia in 180 città italiane. Alcune migliaia anche nella bella addormentata Ferrara, risvegliatasi dopo un lungo sonno.
L’appello di Greta Thunberg , la ragazzina di Stoccolma dalla faccia tonda e il breve sorriso, ha prodotto un maremoto. I numeri imponenti del Friday for future hanno stupito e spiazzato tutti: i media, i professionisti della politica, i padroni dell’economia. I capi di Stato. I padri, le madri, tutto il mondo degli adulti.
E Adesso? “Grazie ragazzi” c’era scritto su un cartello verde. E i ringraziamenti davvero si sprecano: Grazie ragazzi di avercelo ricordato… avete ragione… ne terremmo conto… correremo ai ripari…
In una vignetta di Francesco Tullio Altan, una bambina alza un cartello con sopra il tondo del pianeta malato. Accanto a lei un omone nerboruto, svastica sull’avambraccio e mitra spianato, le risponde: “lasciateci lavorare ragazzini”. A me è venuto lo stesso pensiero. Mi è tornata in mente mia madre (mi torna in mente quasi ogni giorno) e una frase del mio lessico famigliare: “Scrostati piccolo, lasciami lavorare!”.

Ai ragazzini che vorrebbero salvare il mondo vorrei dare il mio modesto consiglio: non fidatevi dei sorrisi e dei ringraziamenti. Vi stanno – vi stiamo – imbrogliando. Fate attenzione. Avete di fronte il gigante Golia. O il Pifferaio magico, un tipo alla Mark Zuckerberg. O Leland Gaunt, il fascinoso proprietario dell’emporio “Cose Preziose” di Stephen King.
Prima il liberismo, oggi il neoliberismo, ci hanno letteralmente sommerso di oggetti, servizi, opportunità. Nel corso di tutta la storia dell’uomo, il capitalismo si è rivelato di gran lunga il sistema economico più efficiente, veloce e progressivo: la prima, la seconda, la terza, la quarta (quella che viviamo oggi) rivoluzione industriale hanno cambiato la faccia del pianeta e la vita di ognuno di noi. E dopo la caduta del Muro, è rimasto in campo solo lui, un sistema unico che governa il mondo. In Occidente e in Oriente. Nell’emisfero Nord come nel Sud. Nelle megalopoli fino al più sperduto villaggio.
Quasi 200 anni fa, un grande filosofo e geniale osservatore del suo tempo (un ebreo tedesco nato a Treviri, Renania) aveva centrato il problema: c’è qualcosa di perverso e di pericoloso in questo meraviglioso sistema di produzione, un motore interno potentissimo ma che alla lunga consuma e distrugge se stesso e tutto quello che gli sta intorno. Il capitalismo sembra proprio l’albero della cuccagna. Ma non lo è: produce merci ma anche sangue, sfruttamento dell’uomo sull’uomo, alienazione, infelicità. Trent’anni prima di lui, un oscuro poeta italiano, nato a Recanati e di fama postuma, sentiva sulla sua pelle e dava voce al medesimo disagio verso “la modernità”.

Ma insomma, magari a qualcuno non piace Leopardi, o ancora trema davanti al barbone di Karl Marx. Lasciamo perdere ‘Lo zibaldone’ e il ‘Primo Libro del Capitale’. Parliamo di oggi. Qui e ora.
Fra 11 anni, dicono gli scienziati dati alla mano, sarà veramente troppo tardi. Il riscaldamento globale avrà effetti irreversibili sul clima e sull’ambiente. Effetti che già oggi tocchiamo con mano, ogni giorno, a tutte le latitudini. La terra, l’aria, l’acqua si ribellano agli uomini che l’hanno violentata: i deserti avanzano, i poli si sciolgono, il clima impazzisce.
“Non c’è più tempo”, denunciano i ragazzi del Friday for future. La risposta della politica, dell’economia, della finanza è sempre la solita: “Grazie ragazzi ma lasciateci lavorare”, o peggio ancora: “Tranquilli ragazzi, ci stiamo già lavorando”. Politica, Economia, Finanza, insomma i padroni del vapore, si sono limitati a inventare qualche nuovo nome. Il più abusato è “sviluppo sostenibile”. Ed eccone un altro: “green economy”: non vi si apre il cuore solo a sentirlo?

Alla conferenza sul clima di Parigi del dicembre 2015, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. Era il frutto di molti compromessi e grandi mediazioni, in tanti lo giudicavano timido e insufficiente, ma segnava un traguardo storico. Quel traguardo oggi appare già irraggiungibile. L’America di Trump rinnega gli impegni firmati da Obama. Cina, India e perfino i Paesi del Golfo, oltre al petrolio, continuano a costruire centrali a carbone. E neppure le misure prese dalla debole Europa sembrano all’altezza dell’emergenza clima. Nella stanza dei bottoni pesano gli interessi del presente, molto più dei timori per il futuro. Nessuno Stato sembra avere la voglia, la lungimiranza, il coraggio di invertire la rotta.
I ragazzi del Friday for future l’hanno capito benissimo. Non credono più al diluvio di buone intenzioni e di parole vuote dei padroni del mondo. Vogliono cambiare tutto: il nostro modo di produrre, consumare, abitare, vivere. E bisogna farlo in fretta, perché il tempo sta scadendo.

Il modello neoliberista – il tabù economico che nessuno vuole infrangere – ci ha allevato nel mito dello sviluppo inarrestabile, del progresso infinito, delle “magnifiche sorti e progressive” (Leopardi, La ginestra, 1836). Oggi quel modello, tanto potente quanto iniquo, ci presenta il conto finale. Ed è un conto salato. In lista non c’è solo un pianeta in pericolo, ma decine di milioni di profughi, disoccupazione e disperazione, lavoro nero e nuove forme di schiavitù. Il terzo millennio si è aperto all’insegna della diseguaglianza: i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Mentre chiudo questo commento, le 2,30 di notte di lunedì 18 marzo dell’anno del Signore 2019, accendo la televisione e leggo i titoli di RaiNews24. Tifone colpisce Mozambico, Zimbawe, Malawi, almeno 100 vittime. Devastanti alluvioni in Indonesia, 58 morti. Per oggi forse può bastare: vediamo domani.
A Greta Thunberg vogliono dare il Nobel per la Pace. Un alto riconoscimento? C’è il rischio che assomigli a una medaglietta di latta. Un modo per dirle: “Grazie Greta, sei bravissima…. ma adesso scrostati piccola, lasciaci lavorare!”

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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