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Ed è proprio nel giorno di commemorazione dei nostri defunti che si dovrebbe dedicare un pensiero al valore della vita, in un momento storico di grande difficoltà e sofferenza.
Si dovrebbe riscoprire la priorità della salute, la responsabilità di mantenerla o riconquistarla e non soltanto perché questa pandemia ci sta inchiodando davanti all’immagine della precarietà, dell’impotenza, dell’estrema vulnerabilità. Lo dobbiamo per rispetto verso noi stessi, chi ci ha generato e chi ci seguirà, verso la comunità a cui apparteniamo, verso il concetto stesso di ‘genere umano’, nell’accezione più ampia del termine.
Ci stiamo sbranando in discussioni pro e contro questo o quello perdendo tempo prezioso, sperperando energie e risorse individuali e collettive, seguendo le scie dell’odio, della ribellione fine a se stessa, dell’intolleranza cieca, del rifiuto del buonsenso.
Stiamo lanciando segnali di cedimento profondo che preannuncia quasi la totale sconfitta nella battaglia per una vita dignitosa, per un futuro affrontabile, per la sopravvivenza stessa di quella società costruita e conquistata nei secoli, abbandonandoci a manifestazioni di sconforto, rabbiosa pretesa, insane e deleterie prese di posizione spesso manipolate da estremismi, partigianerie radicali, illegalità. Vandalismo selvaggio, saccheggio, aggressione armata, sono gli strumenti dell’irrazionalità, della follia di massa, del disfattismo, che non portano nessun effetto risolutivo ma inaspriscono e accentuano l’imbarbarimento.
Dimentichiamo che la priorità è la salute, la tutela della vita.

Se non comprendiamo o accettiamo questo assioma, non abbiamo costruito e interiorizzato nessuna forma di rispetto per l’esistenza. Navighiamo giorno per giorno a vista, appoggiando tesi e prospettive, demolendo ciò che ci sta scomodo ed esaltando quello che ci conviene al momento, aggregandoci spesso alla massa che deborda, preda del risentimento, della paura e del bisogno di far sentire la propria voce, e si lancia in vigliacche invettive sui social, demonizzando i rappresentanti della politica, appoggiando in tifoserie l’uno o l’altro esperto scientifico ospite dei talk e delle trasmissioni generaliste, gettando anatemi su giornalisti e comunicatori.
Le difficoltà, l’indigenza che in questo momento tocca molti, non devono farci dimenticare la nostra dimensione umana, la nostra capacità di sacrificio e ripresa, il buonsenso nel riconoscere lo spartiacque tra legittimità e insensatezza. Se i nostri morti potessero parlare, ci racconterebbero delle due guerre mondiali che hanno stravolto l’esistenza di più generazioni, di epidemie affrontate senza mezzi e conoscenze attuali, di carestie e fame, di condizioni di vita misere e stentate, di una solidarietà che permetteva la sussistenza e la sopravvivenza, di una pietà che univa gli uni agli altri facendoli sentire un tutt’uno, accomunati sotto un unico cielo, di una grande speranza e voglia di aggrapparsi a un pensiero positivo, a un sogno, a un desiderio, nonostante tutte le avversità, senza retorica o romanticismo: mossi semplicemente dalla voglia di vivere. Una Spoon River in cui ciascuno avrebbe qualcosa da raccontare, come fosse un piccolo testamento i cui destinatari siamo noi.

Nel giorno dei Defunti, novembre 2020, molti cancelli dei cimiteri sono rimasti chiusi per comprensibili motivi di sicurezza che dobbiamo accettare e capire: una tristezza, scorgere le tombe dei nostri cari attraverso la recinzione, avvertita da molti quasi come un tradimento. Sarebbe bello se nella nostra Spoon River parlassero storie di solidarietà, comprensione, lealtà e chiarezza, senso della collettività, generosità e coraggio come molti in questo momento stanno costruendo – medici, infermieri, volontari, uomini e donne di pace, associazioni, imprenditori illuminati, politici del buonsenso e non del consenso, … –  e su quella collina passassero le generazioni future, soffermandosi a dedicare un sorriso e un pensiero.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
direttore responsabile


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