Skip to main content

Proviamo a entrare nel dibattito sul conflitto di interesse in cui, secondo il consigliere governativo Marattin, si trova ad operare il nostro sindaco Tagliani. Ci entriamo con qualche riflessione non polemica, né pro né contro. Uno spunto per contribuire al dibattito politico con il non celato tentativo di riportarlo verso sponde più comprensibili e utili ai cittadini.

Tra la domanda di Luigi Marattin e la risposta del Sindaco Tagliani (entrambe formulate sulle pagine di estense.com) c’è, a mio avviso, un buco da riempire, con un po’ di memoria, un pizzico di dati, qualche pezzo della nostra Costituzione e, aggiungerei, anche con un po’ di rispetto per i cittadini italiani, di cui i ferraresi sono una parte.
Se partiamo dal presupposto che il conflitto di interessi si palesa quando un soggetto pubblico, che dovrebbe essere imparziale data la sua funzione, che ha potere di decisione su una determinata questione ha anche degli interessi privati, personali, professionali nella stessa questione, allora la domanda posta dall’ex assessore al bilancio è mal posta, non trova fondamento ed è fuorviante perché porta, ancora una volta, il discorso politico su falsi problemi, sui contorni che non sono sostanza.
Il conflitto di interessi su cui Marattin si interroga, e chiede conto, ci potrebbe essere solo se i sindaci (o il Sindaco Tagliani in questo caso) avessero interessi privati, prendessero soldi da Hera o da qualche altra azienda privata, ma escludo che Marattin volesse intendere questo.
Per il cittadino, se i soldi arrivano sotto forma di minor costi a fronte di un servizio efficiente e funzionale oppure nelle casse comunali attraverso i dividendi azionari, semplicemente non cambia niente perché il suo interesse è avere libero accesso alle cose pubbliche e che queste siano gestite nel migliore dei modi a costi accessibili.
E allo stesso modo e in quest’ottica non ha senso la risposta di Tagliani. Cassa Depositi e Prestiti lavora per lo Stato e di conseguenza per i cittadini italiani, in ogni caso quello che fa sotto forma di servizi, tutela del patrimonio, aiuto al credito, tutto ritorna al cittadino, quindi anche a Marattin o a Tagliani.

Come al solito il dibattito politico ci porta lontano dall’essenza del problema reale e i maligni potrebbero anche pensare che forse serve proprio a quello. Il punto, infatti, non è questo inesistente conflitto di interessi, ma la sostanza della politica che gira, gioca con le parole, ci confonde e ci porta a discutere del nulla allontanandoci dai reali problemi che invece dovremmo affrontare.
L’argomento sul quale si glissa sta alla base ed è l’argomento di cui realmente si dovrebbe discutere: pubblico o privato? Ovviamente e scontatamente privato! Così la pensa Marattin seguendo gli insegnamenti di Giuliano Amato, Prodi, Draghi, Monti, che hanno dato l’avvio o le hanno sostenute a spada tratta. Sono partite nel 1992, più o meno, e all’epoca lo Stato aveva in carico il 16% della forza lavoro del Paese, controllava l’80% del sistema bancario, tutta la logistica (treni, aerei, autostrade), la telefonia, le reti delle utility (acqua, elettricità, gas), pezzi importanti della siderurgia e della chimica, la Rai. E non è finita, c’erano le assicurazioni, meccanica, elettromeccanica, fibre, impiantistica, vetro, pubblicità, spettacolo, alimentare. Persino supermercati, alberghi e agenzie di viaggi.
Qualche tempo fa chiesi a Giuliano Amato, qui a Ferrara alla libreria Ibs, qualche conto su queste privatizzazioni, ma mi rispose che lui non ne aveva poi fatte così tante. Io ne cito una per tutte: la dismissione del sistema bancario e assicurativo, cioè Credito Italiano, Comit e Ina attraverso quella che fu chiamata ‘Legge Amato’. Insomma si completava quanto iniziato da Ciampi e Andreatta nel 1981 con il ‘divorzio’ tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, quel processo che iniziò l’innalzamento del nostro debito pubblico verso i traguardi attuali grazie al fatto che da allora, per il finanziamento dei bisogni statali (ovvero: vendita dei Btp), siamo costretti a rivolgerci al mercato senza poter decidere il tasso di interesse (come fa ad esempio il Giappone) e senza nessuna protezione dagli umori del mercato finanziario.
Scelte di questo tipo (cioè la scelta tra privato e pubblico, con capitolazione di quest’ultimo), in questo caso, per dare un’idea delle conseguenze, ci hanno portati a pagare qualcosa come 3.000 miliardi di interessi in trent’anni sul debito pubblico (per qualcuno non siamo affidabile ma per quelli che contano siamo buoni evidentemente da spremere come limoni). 3.000 miliardi e noi di cosa parliamo? Del conflitto di interessi tra il nulla cosmico e la materia invisibile che tiene insieme l’universo.

Poi appunto, dopo l’opera di Ciampi e Andreatta, arrivò Amato a privatizzare completamente la moneta e affidare i nostri destini allo spread e alle altalene della borsa.
E a chi sono state cedute e in quale modo i gioielli dello Stato, cioè di tutti noi cittadini italiani? Agli amici degli amici ovviamente e oggi per andare a farci un bagno al mare da Ferrara ad Ancona ci tocca pagare 20 euro all’andata e 20 al ritorno con sosta forzata perché da 3 mesi un ponte è venuto giù, ma l’efficienza ricostruttiva del privato ancora non si vede. Sarà per questo che in Germania se le sono tenute strette le autostrade. Come del resto sempre la Germania si è tenuto stretto la sua Banca Pubblica, la Kfv, con la quale finanzia a basso costo i suoi imprenditori, e le circa 1.500 Sparkassen pubbliche, semi pubbliche e a partecipazione statale.
Qui da noi invece le banche o le facciamo fallire oppure facciamo ripagare i danni ai risparmiatori. Carife è solo un timido esempio.

E cosa c’era di tanto sbagliato nel controllo statale delle aziende strategiche, dei beni comuni (trasporti, telecomunicazioni e acqua)? Ci sono beni e servizi che vanno tutelati e il privato non può e non deve essere chiamato a farlo, il privato fa i suoi interessi come è giusto che sia. Il debole, l’indifeso, chi non è furbo e intraprendente come i giovani renziani, chi è portatore di handicap o ha bisogno di cure, chi non riesce a competere con le leggi della giungla, nel mondo dorato dei liberisti viene affidato alla pietà o è relegato a margini.
Eppure mi piace ricordare che lo stesso Adam Smith, il padre delle teorie liberiste, scriveva nella ‘Ricchezza delle Nazioni’: “…la proposta di una nuova legge o di un nuovo regolamento di commercio che provenga da quest’ordine (uomini del commercio e delle manifatture), deve sempre essere ascoltata con grande precauzione, e non deve essere adottata se non dopo essere stata lungamente e diligentemente esaminata, non solo con scupolosissima, ma con sospettosissima attenzione. Essa proviene da un ordine di uomini di cui l’interesse non è esattamente lo stesso di quello del pubblico; che in generale hanno un interesse ad ingannare ed anche ad opprimere il pubblico, e che in molte occasioni l’hanno ingannato e oppresso…”.
Nel 1776 il ragionamento era molto più avanti e lungimirante di quello odierno operato dai neoliberisti incalliti del Pd, che tra privatizzazioni, globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia a tutti i costi sembrano davvero aver perso il senso della realtà oltre che dell’umanità.

E per finire, quanto abbiamo incassato da queste privatizzazioni, che chissà perché qualcuno osa chiamare “svendite” oppure “selvagge”? La cifra si aggira sui 100 miliardi, in pratica un tozzo di pane, rispetto ai danni ‘bellici’ subiti grazie alle scelte politiche di cui abbiamo prima parlato.
Immaginiamo invece per un attimo di avere ancora a disposizione tutte quelle aziende, quei posti di lavoro da gestire, una banca pubblica che finanzia le opere o i programmi di sviluppo. Immaginiamo… ma non ce la facciamo. Perché davanti agli occhi ci ritroviamo i reali problemi dell’Italia: la nostra inconcludente classe politica, ma anche la scarsa capacità di individuare i problemi da parte dei cittadini, la nostra scarsa memoria e quindi il nostro rimanere attaccati sempre agli stessi uomini che a volte si clonano e ti spunta un Marattin dal cappello invece del coniglio. Un Marattin che ti propone che “tutto deve cambiare perché nulla cambi”.

Pubblico o privato? Nel mezzo ci sono anche le tutele della nostra Costituzione, già scritte e che andrebbero messe in pratica, visto che sono sopravvissute all’ultimo tentativo di ‘deforma’ a furor di popolo (anche se in blocco il Pd ha fatto finta di niente). L’iniziativa privata è libera e va tutelata, ma ancor di più va tutelato l’impianto keynesiano della stessa, ovvero l’intervento e il controllo statale, la tutela dei più deboli e tutto l’impianto della res pubblica che ne scaturisce.
Creiamo un dibattito allora su questo, ci facciano intervenire sulle cose serie, chiedano a noi, che ne siamo i proprietari, se vendere o affidare o trattenere i beni pubblici e si ricordino, magari, che loro ne sono solo i momentanei gestori e di conseguenza, a voler essere onesti, non dovrebbero avere nessun conflitto di interessi. In un Paese a popolazione attiva e recettiva, ovviamente.

tag:

Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it