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25 Ottobre 2018

Se non ora, quando?

Tempo di lettura: 3 minuti


interventi

Da: Ottavio Malavasi

Caro passante, mi vedi seduto qui in piazza, solo, con la bandiera europea in mano perché ho
deciso di reagire a quanto accade in questi giorni in Italia.
Nelle specifico, è con autentico dolore e senso di vergogna che verifico che ancora una volta
l’Italia si qualifica come Paese inaffidabile e incapace di mantenere gli impegni che ha liberamente
assunto. Il problema non è tanto che la Commissione europea (che è figlia di una maggioranza
politica e come tale è ovviamente pro tempore) bocci la manovra applicando le regole
in vigore, quanto il fatto che l’aumento del deficit è in assoluto contrasto con gli impegni che
l’Italia, anche lo stesso Governo in carica, aveva preso e confermato orsono pochi mesi. Come
se in una partita di calcio si desse la colpa all’arbitro che applica le regole del gioco a cui si è
deciso di partecipare.
Il disegno politico di questo modo di agire a me appare chiaro: poichè (per dichiarazione degli
stessi leaders della maggioranza) non c’è spazio alcuno di trattativa sulla manovra, si aprirà
un conflitto ancora più profondo con la UE, che non potrà che avviare la strada della procedura
di infrazione. Cosicchè alle prossime elezioni europee i partiti di governo porranno agli elettori
italiani l’alternativa “volete l’Europa o i soldi subito (reddito di cittadinanza, condono)?”.Temo
che stravinceranno. E a quel punto, l’Unione europea, priva dell’apporto dell’Italia,
sarà in via di disfacimento: eppure, è quell’Unione che ha garantito 70 anni di pace, reso tutti
più ricchi, promossa la libertà (certo con infiniti difetti ed errori: ma non si butta via il bambino
con l’acqua sporca).

Più in generale, i politici che ci governano non hanno la minima considerazione per i fondamenti
del pensiero politico liberal-democratico (nemmeno della distinzione fra Governo, Stato
e Popolo, che per loro sono la stessa cosa): l’aver ottenuto il consenso degli elettori non li legittima
a trascurare i valori della Costituzione, come più volte ha ribadito lo stesso Presidente
della Repubblica. Questo Governo ci fa avvicinare a grandi passi alla replica di una tragico
passato: la prossima campagna elettorale riciclerà slogan come “perfide sanzioni” (l’inevitabile
procedura di infrazione europea), ma già sono moneta corrente “plutocrazia” (la finanza), “governo=stato=popolo”,
“congiura ebraica” (Soros), “difesa dell’identità” (razza), “sacri confini”,
“me ne frego”, ma anche, “marciare fino alla vittoria”, “molti nemici molto onore”, per non dire
del disprezzo per gli stranieri o i cittadini che a loro insindacabile giudizio appaiano “diversi”
(migranti, Rom e Sinti, ecc.); e via così. Considerato il loro livello di cultura, i sovranisti non
hanno molta fantasia e svelano l’origine del loro “pensiero”: la cultura nazionalista dalla fine
dell’800 in poi, nelle sue versioni maurassiana, fascista, nazista, panrussa, ustascia, cetnica
ecc.
Di fronte a tutto questo la mia coscienza mi dice che non posso rimanere indifferente, ripetendo
il tragico percorso che, ad esempio, portò all’affermarsi del nazismo nella Germania degli
anni ’30. E non posso più permettermi di aspettare che le forze di opposizione si mobilitino
contro il pericolo di una fascistizzazione dell’Italia e della distruzione dell’Europa: mi sembrano
infatti occupati soprattutto a gestire i “fatti loro” ballando inconsapevoli sull’orlo del baratro.
Sarò quindi snob o presuntuoso, ridicolo o velleitario, ma io DEVO far qualcosa, subito, in tutti
i modi in cui mi è possibile: seduto, solo, in piazza, con la bandiera europea in mano.

Domani sarebbe già tardi

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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