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A guardare i numeri della grande batosta, ma anche solo ‘le facce del giorno dopo’ di tanti amici ferraresi, la partita sembra già chiusa e il ballottaggio solo una penosa quanto inutile ginnastica elettorale. Il dato più inquietante? Le 1.200 preferenze raccolte da un eroe popolare come Naomo Lodi. Il distacco tra il primo e il secondo pare davvero incolmabile: una salita più impervia di Cima Coppi. Troppo travolgente l’onda leghista; e troppi gli errori, le divisioni, le timidezze di chi da Sinistra a quell’ondata si voleva contrapporre.
Ci sarà tempo – molto tempo temo, cinque anni tondi tondi – per riflettere su quanto si doveva dire, fare, proporre ai ferraresi e non si è fatto, per ammettere di aver sottovalutato il disagio diffuso che serpeggiava in città e la profonda voglia di cambiamento dopo settant’anni di continuità nel governo cittadino, per capire fino in fondo quanto fosse assolutamente necessario mettere in campo nomi nuovi, proposte inedite e coraggiose: non una edizione riveduta e corretta del passato, ma una nuova idea di città per il prossimo futuro.

Si dirà che ben poco qui, nella piccola periferica Ferrara, si poteva fare per opporsi al vento impetuoso della nuova Destra – quasi una bufera – che ha spazzato tutto il Belpaese e in particolare il Nord d’Italia. E’ vero, ma non del tutto. Qualche cosa si poteva e doveva fare. In due parole: schierarsi non per la continuità, per la conservazione – di quanto, anche di buono, si era fatto negli anni e decenni passati – ma puntare decisamente il proprio obbiettivo sul cambiamento. Invece, un grande pezzo di città che sentiva il bisogno e la voglia di cambiare, alla fine ha trovato casa solo nello slogan assai furbo ‘Ferrara cambia’, e lì ha votato, pensando che quello sarebbe stato l’unico modo per ‘smuovere un po’ le acque’. Purtroppo dall’altra parte non c’era una proposta altrettanto chiara e radicale, ma candidati – onesti e preparati quanto si vuole – ma comunque rappresentanti della vecchia classe politica e dei governi passati. Cambiare, è ovvio, non significa di per sé cambiare in meglio. Un deciso cambio di direzione può portarci nel futuro oppure regalarci decadenza e malgoverno. Ed è precisamente questo, un pericoloso salto all’indietro, ciò che ci aspetta se, com’è probabile, Alan Fabbri uscirà vincitore al 2° turno.
Inutile però correre avanti. Oggi siamo ancora nella Terra di Mezzo. E diventa obbligatorio chiedersi se il 48,5% raccolto da Fabbri al primo turno sia davvero una quota inarrivabile e insuperabile o se Modonesi, rimasto indietro di così tanti punti, possa recuperare. Chiedersi insomma se, e come, una apparente mission impossible possa diventare possibile. Siamo nel campo dell’improbabile, del difficile, del complicato, ma è giusto ricordare che i precedenti ci sono: in qualche altra occasione, in qualche altra città, chi era in basso, chi sembrava inesorabilmente battuto, è riuscito a recuperare tutte le posizioni e a tagliare per primo il filo di lana e laurearsi Sindaco.
L’esempio più vicino a noi è quello della città di Padova, dove alle scorse elezioni comunali due liste progressiste (una a guida Pd e una grande Coalizione Civica autonoma dai partiti) erano state battute entrambe al primo turno da un Centrodestra leghista vicinissimo al 50%. Al secondo turno, e senza bisogno della Madonna o di un miracolo del locale Sant’Antonio, il Centro Sinistra uscì alla fine vincitore.

Nemmeno a Ferrara occorre un miracolo. Oppure sì, ma i miracoli bisogna meritarseli. Per risalire una china ripidissima, per rendere possibile una missione impossibile, bisognerebbe che il Centrosinistra in questi pochi giorni ‘cambiasse spartito’ – non ho scritto partito ma spartito – fosse capace cioè di parlare in modo muovo e dire cose nuove e diverse agli elettori, presentando un progetto concreto e coraggioso nel segno del cambiamento. Immagino Aldo Modonesi impegnato in queste ore a dialogare e trattare per raccogliere l’appoggio degli altri candidati sconfitti. Non credo ci riuscirà – non tutti lo sosterranno – ma anche dovesse riuscirci, non saranno operazioni del genere a consentirgli, non dico di vincere, ma nemmeno di avvicinarsi al bottino di voti raccolto da Alan Fabbri.
Cambiare registro, mettere sul piatto un disco nuovo, mi pare essere l’unica strada per farsi ascoltare da cittadini finora attratti dalla propaganda leghista e conquistare nuovi consensi. Ci si può provare in così pochi giorni? Probabilmente no, ma se non basterà per vincere, sarà comunque questo il cammino da percorrere nei prossimi cinque anni.
Non c’è ovviamente una ricetta infallibile da applicare al caso Ferrara, ma mi vengono in mente due scenari – difficili ma necessari – che potrebbero mostrare a tutti gli elettori un deciso cambio di marcia. Due fatti che potrebbero rimescolare il mazzo e magari, chissà, regalarci qualche sorpresa.

Il primo fatto, la prima mossa, deve venire dalla politica, cioè in primis dal candidato sindaco Aldo Modonesi che dovrebbe assumere alcuni obbiettivi precisi da perseguire nel prossimo quinquennio. Non semplici promesse o buone intenzioni, ma impegni concreti da realizzare nel corso del mandato e che, presi nel loro insieme, propongano un cambiamento nelle politiche fin qui attuate, un deciso cambio di passo nel governo della città. Alcuni di questi punti qualificanti sono stati già suggeriti da gruppi ed esponenti della società civile. Ne elenco alcuni: dall’impegno per la ripubblicizzazione del servizio idrico e del servizio rifiuti allo stop alla esternalizzazione dei servizi comunali, dall’allargamento e promozione di nuovi spazi della democrazia partecipata e decentrata alla costituzione di un grande osservatorio per l’occupazione giovanile e il lavoro dignitoso, dall’impegno per mettere soldi (tanti) e idee (anche) per un progetto sociale, economico e culturale per la rinascita del Gad, al rilancio della mobilità urbana pubblica, alla difesa e valorizzazione dell’ambiente, all’aumento dei servizi, specie quelli domiciliari, rivolti alle fasce deboli e alle famiglie sotto la soglia di povertà. E si potrebbe continuare: a Modonesi basterà prendere in mano e assumere come impegno di mandato almeno alcune delle idee e delle sollecitazioni elaborate dalle tre grandi assemblee civiche: Il Battito della Città, Addizione Civica e La Città Che Vogliamo.
Per marcare ancora di più questa scelta di cambiamento, lo stesso Modonesi potrebbe dichiarare già da ora che a formare la sua squadra di assessori e collaboratori non saranno funzionari, esponenti di partito membri della tradizionale classe politica dirigente, ma personalità scelte dalle fila della società civile, competenti e impegnati in prima persona in campo sociale, economico e culturale.

Intanto dovrebbe accadere qualcosa anche nel più vasto orizzonte sociale. La società civile ferrarese – tanto attiva e propositiva in questi ultimi mesi – dovrebbe ritrovare una unità di intenti che si è andata purtroppo sfilacciando e parlare con un’unica voce. Le tre grandi assemblee civiche, le decine e decine di gruppi e associazioni culturali e di volontariato sociale, i sindacati, le tante centinaia di cittadini che si sono mobilitati in queste settimane, potrebbero tutti assieme fare un appello pubblico per invitare gli elettori ferraresi a votare per cambiare la città. Ma cambiarla davvero e in meglio. Non per tornare indietro, come propone la Lega, ma per costruire insieme una Ferrara più democratica, più civile, più solidale, più moderna.
Mancano pochi giorni al ballottaggio ed è difficile pensare che possa avverarsi un cambio così radicale di prospettiva e di proposta politica. Passare dall’idea della continuità e quella del cambiamento è quasi una rivoluzione copernicana. Significa, soprattutto, attraversare il territorio dell’autocritica, un esercizio difficile, anche doloroso, che la Sinistra – a Ferrara come nel vasto mondo – ha sempre preferito evitare. Ma sarà da lì che occorrerà passare: nei prossimi 10 giorni o nei prossimi 5 anni.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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