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Bisognerà spiegarsela questa esasperata mania di fotografarsi nei luoghi più disparati e quotidiani. Selfie è la parola dell’anno secondo l’Oxford English Dictionary; la moda intercetta la tendenza ad una esasperata narrazione di sé. Una volta ci si faceva fotografare in vacanza e nelle occasioni speciali, l’autoscatto sembrava triste ed era limitato a condizioni di necessità, quando nessuno poteva aiutarci per la foto-ricordo, adesso sembra che esprima la convinzione che solo noi sappiamo “capirci così bene”.
E non è più solo la vacanza il luogo. Il quotidiano recupera interesse, proprio in quanto scenario reale della nostra vita che deve essere resa significativa da un gesto che la catturi, per non scorrere insignificante. Così, l’autoscatto ci coglie sul treno, all’uscita da un’aula, al bar con gli amici, davanti ad un piatto, in un negozio mentre ci proviamo un abito, in un’abituale scena familiare.
È come se, per vederci, dovessimo essere visti con occhi “oggettivi”, possibili solo quando l’oggetto guardato è distaccato dall’atto del guardare e trova una sua consistenza, acquista stabilità, diventa un supporto fisico.
Per spiegare tutto ciò è fin troppo facile evocare il narcisismo dilagante di un io fragile che cerca conferme e consonanza relazionale in un tempo di diffusa insicurezza.
Con gli autoscatti esprimiamo il bisogno di lasciare tracce: una sorta di ricerca di consistenza in un mondo sempre più veloce, che tende ad evaporare ad ogni istante. Fissiamo i nostri momenti di eternità, ridiamo senso ad un quotidiano che spesso sembra non averne se non nei legami che lo popolano. Cerchiamo il valore delle piccole cose, una sorta di zavorra contro l’evanescenza e l’irrilevanza in un mondo senza ordine, chiediamo di essere riconosciuti e, innanzitutto, di essere visti, Se altri più solidi riferimenti mancano, per costruire l’identità, le pagine dei social network fungono da supplenza.
Lo spazio privato ha bisogno di un palcoscenico pubblico. Lo sguardo degli altri ti fa più bella, recita il claim di un efficace video pubblicitario di una marca di sapone molto diffuso che descrive e confronta ritratti di donne, ritratti realizzati sia attraverso la descrizione diretta delle donne protagoniste, sia attraverso descrizioni delle stesse da parte di altri. Alla fine del video, i ritratti vengono confrontati: in quelli che sono il risultato della descrizione altrui le donne appaiono più belle, sorridenti, meno segnate dalla fatica e dal tempo.
Non potrebbe essere meglio interpretata la ragione del grande impegno di energie per una manutenzione del sé che, abbandonati i canoni di un’attenzione estetica esasperata, si volge ad alimentare quotidianamente le bacheche e i profili, sempre più numerosi e adattati alla diversa cifra comunicativa dei social che li ospitano: da Facebook a Pinterest, da Linkedin a Instagram, per citarne solo alcuni…
La pratica del selfie può essere piuttosto considerata la ricerca di un reciproco, permanente e universale specchio: lo sguardo degli altri è un’indispensabile via di riconoscimento, in assenza di altri più consistenti ancoraggi.

Maura Franchi è laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@unipr.it

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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