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Da SENDAI – In Giappone la primavera è attesa al punto che il primo giorno è festa nazionale. Ma quest’anno, a dispetto del calendario, tarda ad arrivare e Sendai è ancora nelle braccia lunghe dell’inverno. La mattina del 22, la città è stata addirittura colta da una grande bufera di neve, e tutti gli studenti che solitamente raggiungono il campus universitario sulla collina con i loro scooter, hanno deciso di prendere l’autobus. Alle 8:51, alla mia fermata, la solita fila di quattro gatti congelati in attesa di salire è almeno triplicata. L’autobus si ferma, apre la porta e… è completamente stipato! Ma come facciamo ad entrare anche noi dodici?! Nessuna paura, per puro incantesimo e alla faccia di qualsiasi principio fisico di incomprimibilità dei corpi, i passeggeri giapponesi lentamente e con saggi movimenti dettati da una tradizione millenaria, si strizzano l’uno contro l’altro, tanto da poter far entrare tutti quelli che devono salire, e finché questa operazione non è stata completata, il bus rimane fermo in attesa: nessuno si lamenta, tutti comprendono. Vi chiederete sicuramente cosa ne sarà poi stato dei poveri malcapitati che dovevano scendere alla fermata successiva.

Bene, al suono ininterrotto della parola sumimasen (espressione pronunciata in modo bi-tonale in levare, che significa “scusate”), si apre un corridoio perfetto nel centro del bus, fra due ali di passeggeri compressi… avete presente l’apertura del Mar Rosso? I passeggeri scendono regolarmente, le porte si richiudono, i volumi corporei riprendono l’originario aspetto, e via per la prossima fermata!
Dovete sapere che in Giappone è severamente vietato usare il cellulare sull’autobus e su tutti i mezzi pubblici (treno, metropolitana), quindi non solo non si sente nessuno declamare pubblicamente a voce alta i propri interessi, ma oltretutto si raggiunge un tale livello di sinergia tra i passeggeri, tutti intenti nel contribuire alla buona riuscita delle fasi di riempimento e svuotamento del mezzo.
Ad ogni fermata dell’autobus, una voce suadente e sensuale femminile anticipa il nome della fermata, a seguire la voce mugugnata e iterante dell’autista che ripete il nome della fermata: vogliono essere sicuri che chi esce sia davvero sulla giusta strada! Pensate se sbagliassi fermata solo perché persuaso dalla voce femminile: esco, mi guardo in giro e… ma nooooo, non è qui che volevo scendere!

Provo ad immaginarmi lo stesso sistema a Ferrara. Autobus numero 11, fermata di piazza Travaglio, la voce femminile: “Stiamo per raggiungere la fermata di piazza Travaglio, chi è intenzionato a scendere si avvicini all’uscita, prego”, l’’autista: “A sen’ dré arivar in piaza Travai. I barbagian chi dev’andar a ciacarar sul Listòn, tachi a’ smisiaras!”. Però che bello l’uso di “barbagian”: me li vedo questi ferraresi, infreddoliti e intenti a lamentarsi delle ultime novità lette sui quotidiani locali, uniti assieme sul lato al sole del grigio Listone, a seguire i lavori infiniti di ripavimentazione… non ricordano gli omonimi saggi uccelli allineati lungo un ramo?

Ma torniamo all’autobus: è giunto il momento di pagare il biglietto, sì perché a Sendai il biglietto si paga all’uscita. Sopra all’autista c’è un tabellone elettronico che specifica il prezzo del biglietto per ogni fermata; si paga direttamente di fronte all’autista il quale, per ogni passeggero in uscita, verifica il pagamento e ringrazia. Ed ora, tutti al lavoro, stanchi e sfibrati da queste intense attività logistiche che si ripeteranno nel viaggio di ritorno a casa!

Morale per il giapponese: non avere fretta, tanto l’autobus fa sempre lo stesso tragitto e deve arrivare in orario a tutte le fermate.
Morale per l’italiano: spingi, impreca, lamentati, sbuffa, rispondi al cellulare e, se hai ancora energie… non pagare il biglietto!

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Davide Bassi

È Professore di Paleontologia e Paleoecologia presso il Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Ferrara. Amando l’Arte si occupa di paleoecologia e sistematica delle comunità bentoniche fossili del Giurassico e del Cenozoico. La ricerca scientifica universitaria e l’Arte lo hanno indirizzato verso il Giappone dove è stato visiting professor presso il Tohoku University Museum (Institute of Geology and Paleontology, Graduate School of Science) e l’Università di Nagoya.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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