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Ho aperto gli occhi e la mente al mondo che c’era la guerra, ero piccolo, ma la mia memoria non mi abbandona mai, purtroppo, meglio dimenticare a volte, si vive meglio. Ricordo mio padre vestito in grigioverde, presto sarebbe partito per la Russia, ricordo il grande coglione Benito che, tutto felice, informava con voce tonante gli italiani che aveva dichiarato guerra: “Un’era segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria – urlava il “pataca” romagnolo – l’ora delle decisioni irrevocabili”; rimbalzava la parola del duce da altoparlante ad altoparlante, le vie di paesi e città erano invase. “Il destino che batte nel cielo” altro non era che la condanna a morte per migliaia di innocenti, mandati al massacro in gelide terre o in torride plaghe, o, peggio ancora, nelle nostre città bombardate dal nemico. Il nemico? Quale nemico?, chiesi a Joannes Zelemarian, commissario politico della rivoluzione eritrea contro il regime etiopico di Mengistu, per me erano tutti amici, eritrei ed etiopi, ma lì, appiattito nella trincea scavata nella roccia carsica attorno ad Agordat, la città sotto assedio da parte delle truppe eritree, l’amico era Zelemarian con i suoi compatrioti e il nemico era il cecchino che mirava alla mia testa a non più di settanta-ottanta metri di distanza. Giù, mi diceva Joannes, stai giù Gian Pietro, anche se ha il sole negli occhi il cecchino non sbaglia. Era la prima volta che vedevo il “nemico” così da vicino. Non fu piacevole scoprire che c’era un essere umano come me che, senza altra ragione che non fosse il nostro essere nemici, mi voleva uccidere, io lui non lo avrei ammazzato. Ma era la guerra, la peggiore, l’invincibile, l’inesorabile invenzione umana. Speravo di non dover aver mai più a che fare con i conflitti, di non dover più dire questo è mio amico e questo mio nemico. Ma non si può, l’uomo vuole nemici e amici per combattere i nemici e ora i nemici ci sono, sono qui, sono là, sono sotto casa, sono dovunque li portino interessi quasi sempre sconosciuti, immaginati ma non chiari e noi, noi, siamo gli odiati nemici da sconfiggere, da massacrare se possibile, e loro, loro, sono i terribili avversari da annientare: non ci sarà bisogno di dichiarare guerra pomposamente come fece Mussolini, la guerra è già stata dichiarata, guerra globale, all’ultimo sangue, per una volta ancora noi cittadini siamo le vittime destinate a essere usate come carne da macello. Attenti a chi sta dietro l’angolo di casa.

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Gian Pietro Testa


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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