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Esistono tanti modi di uccidere una persona.
La si può uccidere fisicamente. Le si possono togliere i diritti fondamentali, quelli di cui ogni essere umano dovrebbe godere da quando nasce. La si può mettere in discussione, atterrirla, isolarla, minacciarla psicologicamente. Come fa il musicista Antonio Salieri ai danni del rivale Mozart. Si può tentare di uccidere le sue idee, tentando di spacciare la sua genialità per disonestà, cercando di farlo passare davanti all’opione pubblica o, ancora peggio, davanti alla legge, per fuorilegge, per ladro, per disonesto. Come fanno gli States ai danni di Aaron Swartz.

Il documentario incentrato su Swartz, la cui fama spesso precede il nome, è una raccolta di testimonianze di famiglia, amici e colleghi che ne tracciano un ritratto eccezionale, di grande forza e sensibilità, estremamente difficile da accostare ad altri personaggi. L’evoluzione di Tim Berners-Lee, il visionario che ha inventato il web. La personificazione non-violenta del Guy Fawkes mitizzato e iconografico del film “V for Vendetta”, il rivoluzionario che voleva un mondo uguale per tutti.
Uno che crede nella condivisione e nello scambio di idee. Uno che entra in un sistema informatico downloadando articoli accademici non accessibili a tutti (biblioteca del Mit) e diffondendolo, che permette di conoscere le leggi fino a quel momento scaricabili solo a pagamento (database Pacer della Corte Federale degi Stati Uniti), uno che sfida un sistema non democratico nè giusto, diventando attivista politico e voce di protesta contro il Sopa, legge-bavaglio che impone severissime pene contro i violatori di copyright, quello stesso concetto che Swartz aveva contribuito a modificare prendendo parte alla creazione, a soli quattordici anni, della licenza Creative Commons; conscio che la cultura è, o meglio dovrebbe, essere alla portata di tutti, considerandola come il primo vero divario tra chi è libero e chi non lo è.
Non escogita sistemi per arricchirsi. Nelle librerie universitarie, che lui considera vera e propria miniera d’oro, non entra per sfida o per gioco ma per liberare quel patrimonio inestimabile che solo la cultura può offrire, e creando nel 2007 Open Library, progetto di biblioteca digitale dell’Internet Archive. Creando Reddit, sito di contenuti, notizie e intrattenimento che sta sulla sottile linea tra caos e ordine, tra raggruppamento di dati e libero spazio di tutti.
Non entra nei database per rubare o craccare password con cui poi rubare milioni di dollari.
Swartz è un Robin Hood informatico, un sognatore, un utopico che cerca di fare di Internet un luogo libero, in cui circolino verità e confronto, dove tutti abbiano non solo voce, ma anche uguale grado di ascolto e di possibilità. E che resta schiacciato da una giustizia che gli propone un patteggiamento pur di dichiararsi colpevole del reto di hackeraggio pagando una multa, e che lui rifiuta fino all’ultimo.

Questa è la storia di Aaron Swartz, che si è suicidato l’11 gennaio 2013 in attesa di essere processato con tredici capi di accusa, dopo l’arresto per avere scaricato 4,8 milioni di articoli scientifici dal database accademico JSTOR. Ufficialmente, per avere violato la legge che impedisce di scaricare informazioni da un sistema protetto. Ufficiosamente, personaggio scomodo che scardina quel potere privilegio di una piccola fetta di chi può permetterselo a favore della maggioranza di persone che da qualche parte, là fuori nel web, sanno come utilizzare al meglio quelle conoscenze.
Come Jack Andraka, il sedicenne che ha messo a punto un sensore grazie al quale diagnosticare il tumore al pancreas nella sua fase iniziale. E che, come ha pubblicamente dichiarato, non sarebbe stato in grado di mettere a punto in mancanza dei giornali e documenti che Swartz ha “liberato” alla rete pubblica.

Esistono tanti modi di uccidere una persona.
Eppure, anche se Mozart muore, la sua musica continua a suonare.

Le leggi ingiuste esistono: dobbiamo essere felici di sottostare a esse, o dobbiamo ribellarci?
(Henry Thoreau)

[“Internet’s own boy: the story of Aaron Swartz” nella rassegna Mondovisioni]

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Giorgia Pizzirani


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di Piermaria Romani

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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