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Una cara amica, una con cuore e cervello vicini al mio sentire e al mio pensare,  mi ha detto: “Le cose che scrivi sono giuste, ma un po’ scontate. Sappiamo tutti dove sta andando il mondo e la nostra Italia. A che serve parlare, a che serve scrivere? L’unica cosa che conta è il fare”. Si parlava di immigrati e di accoglienza, di dialogo e integrazione, di decreto Minniti e di respingimenti.
Giusto, occorre prima di tutto fare: lavorare, impegnarsi in prima persona, in ogni più piccola realtà perché l’onda montante dell’Inumano non prevalga. Rimango però della mia idea: oggi, soprattutto oggi, parlare, scrivere, farsi sentire, bucare il muro dell’indifferenza e dell’ignoranza è ugualmente decisivo.

Inumano? Ne scriveva poco tempo fa su ‘Il manifesto’ Marco Revelli: “Negli ultimi giorni qualcosa di spaventosamente grave è accaduto, nella calura di mezza estate. Senza trovare quasi resistenza, con la forza inerte dell’apparente normalità, la dimensione dell’“inumano” è entrata nel nostro orizzonte, l’ha contaminato e occupato facendosi logica politica e linguaggio mediatico. E per questa via ha inferto un colpo mortale al nostro senso morale”.
Ezio Mauro su ‘Repubblica’ denuncia una vera e propria “inversione morale”: una maggioranza dell’opinione pubblica che fino a qualche mese fa stava per i soccorritori, plaudiva alla messa del papa a Lampedusa, rivendicava il dovere morale di salvare i disperati…. oggi si scopre improvvisamente minoranza. Nei media (tranne poche eccezioni), in rete (si leggono commenti atroci), nelle direzioni di partito (e non solo a destra), nei bar (mentre si affilano le armi per l’inizio del campionato) è un coro assordante, a più voci, ma tutto orientato verso la chiusura: “Adesso basta”, “Sono troppi”, “Ci stanno invadendo”, “Aiutiamoli a casa loro”.

Me ne sono accorto a mie spese. Ho scritto un mese fa proprio su questo giornale sulla Ius soli e sull’accoglienza. Bene, la stragrande maggioranza dei commenti ricevuti attaccavano la mia “tiritera buonista” e minacciavano fuoco e fiamme  contro gli invasori.
Siamo insomma giunti a uno spartiacque e forse – spero di no – a un punto di non ritorno. La ex maggioranza che metteva sopra di tutto i diritti dell’uomo – e in primis il diritto alla vita – sembra essersi disgregata, come sommersa dall’onda dell’egoismo identitario, magari e opportunamente travestito da realismo.
Ma mi chiedo, dove è finita la minoranza che ancora crede nell’Umano? Certo, in Italia centinaia di migliaia di volontari, operatori, associazioni, gruppi spontanei continuano a lavorare per soccorrere, aiutare, nutrire, accogliere. E anche nella nostra città, sotto la sigla ‘Ferrara che accoglie’ si sono ritrovate decine di realtà, centinaia di persone impegnate attivamente nel campo dell’accoglienza, dell’integrazione, del dialogo interetnico. Rimane però il fatto che, anche a Ferrara – sulla sua stampa, sulle lettere, sui social – questa minoranza virtuosa sembra non riuscire a far sentire la propria voce. Ci prova – per il 16 settembre è previsto in piazza Castello un grande momento di confronto e di festa, ‘Ferrara che Accoglie: musica, talenti e culture internazionali’ – ma l’impressione è che anche nella civile e democratica Ferrara prevalgano le voci della chiusura e del rifiuto.

Per questa ragione alla mia amica ho risposto che non è proprio vero “che tutti sanno com’è la situazione”. E anche se… anzi, proprio quando la maggioranza, invece di guardare gli orrori di una tragedia umana, ascolta solo la propria pancia, è importante parlare, scrivere, dare informazioni corrette, riflettere sulle conseguenze tragiche di un chiudersi in un miope egoismo identitario. Proprio ora è importante levare la propria voce per contrastare questa pericolosa amnesia collettiva verso i principi della nostra coscienza, inutilmente sanciti dalla Carta dei Diritti dell’Uomo, dalla Costituzione Europea e dalla nostra Carta Fondamentale. E’ importante raccontare cosa sta succedendo. Sotto i nostri occhi. Sicuramente riceveremo risposte e commenti ringhiosi e arrabbiati, ma anche questo è da mettere in conto.

Proprio ieri (18 agosto) su tutti gli organi di informazione venivano diffusi con grande baldanza i dati del Viminale sui “primi successi” del Decreto Minniti e dell’accordo tra lo Stato Italiano e il Governo Libico. Uno dei due governi, quello riconosciuto dall’Occidente. Traduco la notizia in parole povere: “Evviva, abbiamo chiuso il rubinetto!”. Ecco i dati. Nel mese di luglio 2017 gli sbarchi – guai a chiamarli soccorsi o salvataggi – sono dimezzati rispetto al luglio 2016. E nei primi quindici giorni di  agosto “gli sbarchi sono crollati”, ridotti a un decimo: 2.245 questo agosto, contro i 21.294 dell’agosto 2016.
Evviva, non sono arrivati! Ma dove sono finiti tutti quanti? Non risulta che per i disperati si siano aperte altre vie di fuga: chiuso il corridoio greco-turco, sprangati i porti maltesi e spagnoli. E chiusi di fatto, da un paio di settimane, anche gli approdi più vicini, quelli italiani. Gongola il Ministro dell’Interno: “Abbiamo spostato la frontiera europea in Libia”. Infatti. Le navi delle ong che avevano salvato migliaia di vite sono ferme: sia le ong – come Medici senza Frontiere- che si sono rifiutate di firmare l’accordo vergognoso per i militari a bordo, sia quelle che hanno firmato. Semplicemente perché non si può salvare più nessuno. La guardia costiera di Tripoli – dell’altro governo libico, quello riconosciuto dalla Russia e corteggiato dalla Francia – ha spostato il raggio d’azione a 80/100 miglia oltre le acque territoriali: Fermi o spariamo! Il governo italiano dà una mano e promette di fornire ai libici un po’ di motovedette, armi comprese.

Riassumendo. Quelli che non sono arrivati e quelli che non arriveranno mai sono tutti in Libia, nei campi di detenzione, sottoposti a violenze, stupri e torture, ridotti alla fame, senza servizi igienici, esposti alle epidemie, sempre più in balia delle bande dei trafficanti di esseri umani. Lo denunciano le agenzie dell’Onu – la più internazionale e ormai la più imbelle delle organizzazioni – e lo testimoniano foto e video che ci arrivano dai lager libici.
Forse alcuni di loro, i più pazzi e disperati, proveranno a fuggire dai “campi di concentramento” e cercheranno di prendere il mare. Ma tranquilli, in Italia sarà sempre più difficile arrivare. Li fermeranno le pallottole. E nessuna nave solcherà più il mediterraneo per salvarli.

Sono pronto ad ammettere il mio idealismo d’antàn, accetto anche tutte le accuse più infamanti: buonista, cattocomunista, venduto agli invasori, traditore della patria. Ma in cambio voglio un po’ di onestà. Un po’ di chiarezza sulla vera frontiera che ci sta davanti: all’Italia e a ognuno di noi.
Non sto parlando di una frontiera fisica, ma di una frontiera morale. In queste settimane si sta consumando non solo un dramma umanitario, ma un vero genocidio. Salvare vite umane, tendere la mano, accogliere i migranti è faticoso, complicato, a volte urtante, tutto quello che volete; ma l’alternativa, l’unica alternativa oggi sul tappeto è essere complici, lasciare i migranti nei lager della Libia o spedirli in fondo al mare. Ecco il bivio, la scelta che ci sta davanti: salvati o sommersi? Stare per la vita umana o condannare uomini, donne e bambini a una fine orribile?

L’Italia, questo governo, sembra aver fatto la sua scelta. Dopo che per anni il nostro Paese – l’isola di Lampedusa in testa – è stato un esempio luminoso di fratellanza e solidarietà, si è deciso di “fare come  gli altri”: chiudere occhi e orecchie, accodarsi a un Europa blindata, scegliere il calcolo geopolitico, rincorrere qualche voto alle prossime elezioni.
Rimane però la ex maggioranza, l’attuale ‘minoranza troppo silenziosa’.  A questa, ai milioni di italiani e alle migliaia di ferraresi, che non hanno ceduto all’Inumano e alla ‘banalità del male’ vorrei rivolgere un piccolo appello. Continuiamo a parlare a raccontare, a scrivere, non stanchiamoci di spiegare l’abisso in cui ci stiamo cacciando.  Condividiamo post su Facebook, cinguettiamo su Twitter, inviamo foto e video su Instagram e Whatsapp. Mandiamo commenti, scriviamo lettere ai giornali, parliamone a tavola.
Schieriamoci per i salvati, non per i sommersi.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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