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“Le grandi imprese di solito si compiono a prezzo di grandi pericoli” affermava Erodoto nell’antichità, e questa è anche la sintesi attualissima di tutto ciò che riguarda l’universo degli sport estremi dove ricerca di emozioni straordinarie, ottenute attraverso la sperimentazione del rischio elevato, è accompagnata da un intenso sforzo fisico. Costituiscono ormai un esercito coloro che si sottopongono a sfide estreme verso se stessi o contro altri, che richiedono anche una rapida e precisa elaborazione percettiva e cognitiva che le situazioni oltre limite richiedono. Forti velocità, sfide ad altezze, ambienti ostili alla natura umana, forze naturali avverse, profondità inaffrontabili, climi e condizioni del terreno, dell’aria e dell’acqua proibitive, costituiscono il palcoscenico dello sport estremo ed allo stesso tempo sono le variabili che sfuggono alle classificazioni precise e costanti del controllo umano, determinando i successi o decretando i tragici fallimenti delle performances. E per questo motivo, gli standard di valutazione di questi sport differiscono radicalmente rispetto i criteri tradizionali, che sono applicati in situazioni e ambienti controllati. Lo sport estremo di qualunque categoria concentra la sua essenza nella scarica di adrenalina in risposta alla paura: pochi minuti che sembrano un tempo lunghissimo che aumentano endorfine e serotonina nel cervello per l’elevata tensione e sforzo fisico e mentale in chi si appresta all’impresa. Sono i “sensation seekers”, i “cercatori di emozioni”, che hanno bisogno di stimoli e attivazioni fisiologiche molto elevate, di brivido, avventura oltre ogni barriera dell’umano agire. Oggi si sta ancora discutendo sul termine ‘sport estremo’ e su ciò che si considera realmente estremo perché il confine si è spostato e l’asticella si è notevolmente alzata verso tentativi sempre più spregiudicati e spericolati. Ci si chiede perché alcuni sport tradizionali come il rugby non possano essere considerati alla stessa stregua di pericolosità dell’estremismo e al contempo si creano nuove forme di sport ‘beyond the limit’ come se non fossero mai sufficienti quelli già sperimentati. Una rincorsa al nuovo orizzonte da conquistare, a una nuova frontiera da esplorare e un vecchio muro da abbattere perché superato. Il target demografico dei praticanti gli sport estremi è costituito prevalentemente da giovani che agiscono in solitaria un’esperienza strettamente intima e personale che non disdegnano, a volte, di condividere sui social attraverso dirette elettrizzanti sotto gli occhi del mondo web: qualcuno fanatico, qualcun altro raffinato tecnico del rischio, chi folle e incosciente sperimentatore, chi aspirante a fama (e carriera) internazionale, per raggiungere elevati livelli, trovare sponsor, produttori, mass media che assicurino traguardi economici ed esaltazione personale. Li troviamo in una miriade di ambiti sportivi perché queste performances un tempo sporadiche, di nicchia, per pochi appassionati silenziosi, sono diventate successivamente una mania vera e propria ed oggi attività molto conosciute, consolidate e diffuse nel mondo del brivido: torrentismo, sci di velocità in quota, skateboarding, immersioni in grotta, arrampicata su ghiaccio, funambolismo, hydrospeed (nuoto in correnti e corsi d’acqua sconnessi) surf da onda, lancio con tuta alare, deep water soloing (arrampicata libera solitaria senza assicurazione su scogliere a picco sul mare). Alcuni di questi sport come rafting e parapendio sono diventati sport olimpici. L’origine dell’espressione ‘sport estremo’ viene fatta coincidere con la frase attribuita allo scrittore Ernest Hemingway “Ci sono solo tre sport: corrida, corse automobilistiche e alpinismo; tutto il resto sono solo giochi.” Un’affermazione che definiva un’attività in cui era possibile morire. Nell’agosto del 1974 il funambolo e artista di strada Philippe Petit salì al 110° piano di una delle Twin Towers a New York e percorse camminando, saltellando, correndo e sdraiandosi ogni tanto, un cavo d’acciaio teso utilizzando arco e frecce tra i due grattacieli. Furono 20 minuti di percorso a 417 metri d’altezza e 61 metri di estensione. Era la ricerca di un istante di bellezza, non inseguiva la gloria, affermò Philippe Petit, in un triste e cupo momento storico degli USA, tra scandalo Watergate e guerra del Vietnam. Occorrerà arrivare al 1979 per assistere alla prima manifestazione di Bungee Jumping (lancio da altezze elevate con una corda elastica, assicurati con imbragatura) organizzata dal Dangerous Sports Club di Oxford che attirò molta attenzione con i lanci dal ponte sospeso di Cliffon a Bristol. Ne seguì un’altra sul Golden Gate di S. Francisco. Memorabile l’appuntamento del Club a St. Moritz in Svizzera negli anni successivi, dove i concorrenti dovevano creare una grande scultura dotata di sci e lanciarla lungo una ripida discesa. Il Club si presentò sulla pista a bordo di un autobus londinese a due piani ma fu fermato in tempo dal divieto delle autorità elvetiche. Tra gli anni ’70 e ’80 Toni Valeruz, maestro di sci e guida alpina di Alba di Canazei (TN), è l’indiscusso protagonista e precursore dell’estremismo, rimanendo agli annali come uno dei più forti praticanti di sci estremo: più di 100 discese spericolate sulle Alpi e su cime extraeuropee, come quella da quota 4200 del Cervino e 8100 del Makalu in Nepal, la quinta montagna più alta della Terra. In una recente intervista, Valeruz ha commentato come si sia perso il buonsenso con youtube e la voglia di spettacolarizzare le proprie prestazioni e di come i giovani scelgano questi sport per mancanza di affetto o considerazione. A volte, ha dichiarato l’alpinista, entra in campo la voglia di isolarsi dal resto del mondo in un’esperienza rischiosa. Ma solo negli Anni ’90 il fenomeno dello sport estremo ha raggiunto un’adesione vasta e diffusa, quando le compagnie di marketing inaugurarono gli X Games trasmessi dal canale televisivo Extreme Sport Channel, guadagnando popolarità e visibilità. Da allora ad oggi, gli eroi o antieroi dello sport estremo si sono moltiplicati e hanno dato il loro contributo in imprese che sembravano irrealizzabili, un contributo che spesso, troppo spesso è costato la vita. Oggi tocca ad Armin Schmieder, 28 anni, Armin Holzer, Alex Polli, Uli Emanuele e, ultimo di questi giorni, Matteo Pancaldi, 30 anni, lasciare traccia di sé in un’impresa mortale. Volevano volare, il desiderio più ancestrale dell’uomo, con la loro tuta alare da scoiattolo volante o lanciarsi in base jumping nel vuoto o ancora camminare tra le nuvole, sospesi a un filo. Matteo Pancaldi, modenese, è precipitato per circa 200 m tra due cime della Val d’Adige in Trentino, abbandonando definitivamente quel filo teso sul vuoto e la sua giovane vita, sotto gli occhi attoniti degli amici. Dimenticanza? Sbadataggine? Errore umano? Errore tecnico? Ciò che resta e importa di questi epiloghi è il ricordo di chi non c’è più, poveri pionieri della generazione Y, moderni Icaro che hanno ‘osato’ sfidare l’universo.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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Pescando un pesce d’oro
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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

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Francesco Monini
direttore responsabile


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