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Francesco per 15 anni aveva fatto il funzionario in un’associazione di categoria, ogni giorno si recava nei in ufficio ed ogni sera, o quasi, presenziava alle riunioni cercando di convincere gli associati delle iniziative in corso. Ogni giorno era alla costante ricerca di elementi che gli permettessero di fare un lavoro e di credere in ciò che faceva. Poi un giorno accadde una cosa imprevista, nella sua città furono evidenziate risorse energetiche di grande rilevanza, “finalmente potrò mettere in atto le mie competenze”, pensò Francesco e si mise all’opera da subito… Non sapeva il giovane funzionario che questa era l’occasione che attendevano alcuni suoi colleghi per metterlo in difficoltà, forse era gelosia delle sue presunte capacità, forse semplicemente era l’incomprensione per un modo nuovo di lavorare, l’unica certezza fu che il giovane decise di dimettersi e di abbandonare il buon lavoro ben retribuito. Si prese un periodo di riflessione per valutare le nuove opportunità che gli si potevano presentare, alla fine decise che poteva avere la propensione per diventare un piccolo imprenditore, cosi di fretta e furia si recò dal commercialista e si mise all’opera per aprire una nuova attività imprenditoriale dove la sua fantasia e le sue conoscenze tecniche potevano creare ottime opportunità di guadagno.
Fu cosi che Francesco divenne un imprenditore di successo, i suoi fatturati crescevano di anno in anno, finalmente libero da condizionamenti della “politica” poteva fare le scelte che più si addicevano alle strategie aziendali, finalmente poteva togliersi quelle soddisfazioni che il precedente lavoro gli aveva negato, al bar con gli amici nel giustificare le sue scelte amava dire con passione “cari miei la libertà non ha prezzo e i fatti mi stanno dando ragione”.

Poi, improvvisamente, ad un età in cui si dovrebbe pensare alla pensione e con essa immaginare una vita serena fatta di tempo da passare con la famiglia e con gli amici, improvvisamente e pericolosamente negata da una parte della politica, è sopraggiunta la peggior crisi che il nostro paese ricordi. A causa di questa situazione Francesco ha perso alcuni clienti ed alcune commesse importanti, giorno per giorno le sue capacità finanziarie venivano erose da tasse, imposte, impegni bancari e recupero crediti, ma non si è arreso, ha accettato di lavorare in nero per un’altra azienda nella speranza di ricominciare una volta che le nebbie della crisi si fossero diradate, ma, purtroppo, l’azienda per cui lavorava è entrata in difficoltà e non è riuscita a pagare le sue spettanze, allora ha dovuto rivolgersi a finanziarie ed ha iniziato un percorso di indebitamento, non erano pesanti i suoi debiti, corrispondevano all’incirca a quanto avrebbe dovuto incassare dal suo datore di lavoro, i mesi passavano e la luce in fondo al tunnel invece di avvicinarsi si allontanava sempre più. Giovanna era la moglie di Francesco, aveva 65 anni, era stata una brava dipendente pubblica (di quelle che con il sudore quotidiano mandano avanti la scassata macchina dello stato) ed aveva (si direbbe fortunata lei) raggiunto una misera pensione di circa 850 euro che, fin quando Francesco aveva mantenuto il suo lavoro, consentiva ai due una vita dignitosa, ma che ora non bastava più. Di dignità, però i due coniugi, ne avevano persino troppa, al punto che per vergogna o per riservo avevano deciso di non avvalersi degli ausili che i servizi sociali potevano loro offrire. Giorno dopo giorno l’angoscia si impossessava delle loro menti, non riuscivano a pagare l’affitto di casa e i contributi e faticavano a comprarsi il minimo per sopravvivere, forse non se ne rendevano conto ma stavano scendendo inesorabilmente verso gli inferi di una vita a cui non si riesce a dare una spiegazione. Fino a quella brutta mattina, quando, forse si sono guardati in faccia, forse hanno pianto un po’ sulle loro disgrazie e poi hanno preso una decisione, hanno scritto un biglietto di scuse per il gesto che si accingevano a fare, si sono recati nel loro garage e, nell’illusione o nella certezza di porre fine alle loro sofferenze si sono impiccati. Poche ore dopo Massimo (fratello di Giovanna) dopo essere stato avvisato dell’accadimento, si è recato nell’appartamento dei due congiunti e dopo averli visti ha iniziato a fuggire verso la campagna con il preciso intento di raggiungere la sorella tra i disperati che si sono tolti la vita, cosi dopo una lunga corsa in auto si è fermato in quello che riteneva fosse il posto giusto e si è sparato nella tempia.

Questa terribile storia è certamente frutto della fantasia di qualche malinconico narratore, ma è anche frutto della realtà che ci circonda, è frutto di un imbarbarimento dei costumi che ha portato questa società dapprima agli arricchimenti facili, e poi, una volta che il “gioco” non ha più retto, nel crollo ha rovinosamente travolto i deboli, ha impoverito pesantemente la classe media e non ha dato a tutti prospettive per un futuro nemmeno migliore ma quantomeno credibile e percorribile. Questa storia frutto di fantasia dovrebbe contribuire a farci riflettere sui modelli di società che vogliamo costruire, dobbiamo dapprima vergognarci e poi scusarci se il nostro egoismo ci fa volgere lo sguardo altrove quando ci scontriamo con i nostri fantasmi e impone di impegnarci per imparare dagli errori a costruire un futuro migliore.

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Stefano Peverin


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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