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E mentre oscilliamo tra il credere e sperare che un nuovo lockdown non avvenga e il timore che il prezzo di un’estate all’insegna dell’affollamento potrebbe risultare salato, viene in mente la storia di un lockdown anomalo, completamente fuori dagli schemi, uno sbalorditivo fatto di cronaca appartenente ad un’altra epoca. Un lockdown volontario della durata di 24 anni, quello in cui si ritira Ida Mayfield Wood (1838-1932) assieme alla figlia Emma e alla sorella Mary.
Ida, approdata a New York dal Sud degli Stati Uniti – Louisiana – nel 1857, all’età di 19 anni, diventò l’amante di Benjamin Wood, proprietario ed editore del quotidiano New York Daily News nonché fratello di Fernando, celebre politico dell’epoca e sindaco della città per due mandati. Mise gli occhi su quell’uomo di 37 anni, entrando così nel jet set più esclusivo, e lo fece con una lettera indirizzata a lui personalmente: “Signore, ho sentito parlare spesso di Voi da una delle Vostre amanti, la quale mi ha detto che state cercando un ‘volto nuovo’. Io sono nuova in città e in ‘affari di cuore’ e vorrei propormi per un accordo di intimità con Voi […]”.
Ebbero una figlia, Emma, tenuta lontana dai riflettori della cronaca e quando nel 1867 l’uomo rimase vedovo, Ida diventò la terza signora Wood. La ‘Bella di New Orleans”, come veniva chiamata dai reporter e giornalisti, manifestò subito grandi capacità di relazione in quel mondo altisonante, dove venne ripresa mentre ballava col principe di Galles in visita a New York e mentre intratteneva il futuro presidente degli Usa, Abram Lincoln. E, mentre Benjamin Wood dilapidava somme ingenti al gioco d’azzardo e scommesse, da incallito giocatore, lei vigilava sul patrimonio familiare con grande abilità, si faceva intestare gli averi e condivideva le vincite al gioco per preservare i beni, lasciando le perdite al marito.
Alla morte dell’uomo, lei era già intestataria di quasi tutti i possedimenti e, come ultima grande operazione finanziaria, nel 1901 vendette il giornale ricavandone più di 250.000 dollari, all’epoca somma vertiginosa. Qualche anno più tardi, a quel punto della sua vita, Ida decise che era arrivato il momento di lasciare quel mondo dorato, dopo aver ritirato dalle banche tutta la sua liquidità, affittò con la figlia e la sorella la suite con due stanze numero 552, presso l’Herald Square Hotel, dalla quale nessuna delle tre uscì mai più, vivendo decenni di rigida autoreclusione.

In quegli anni di isolamento totale, ebbero pochissimi contatti con i dipendenti e nessuno fu mai ammesso all’interno delle camere se non in due sole occasioni, convinte da una cameriera ai piani.  Aprivano la loro porta per ritirare quanto ordinato, sempre le stesse cose: latte condensato, caffè, crackers, pancetta, uova e occasionalmente pesce, sigari cubani e tabacco da fiuto di Copenhagen. Ida pagava sempre e puntualmente in contanti, anche l’affitto della suite.
La figlia Emma morì dopo il ricovero in ospedale nel 1928, all’età di 71 anni, mentre Mary, la sorella, si ammalò nel 1931 e, dovendo chiedere aiuto, si presentò per la prima volta l’occasione di violare quel lockdown durato un’eternità. Accorse l’ignaro direttore dell’hotel che, in sette anni di lavoro, non si era mai accorto di quelle strane ospiti, accompagnato da un medico legale, un becchino e due avvocati dello studio O’Brien, Boardman & Early.
Lo scenario che si parò davanti era incredibile: il corpo della povera Mary coperto da un telo, pacchi di giornali ingialliti disseminati un po’ ovunque, scatole di biscotti, rotoli di corda, carta da pacchi, una cucinetta nel bagno (si scoprì che le donne non si erano mai fatte il bagno). Si aprì improvvisamente uno squarcio sullo squallore in cui Ida e le altre erano vissute e tutto venne a galla. Vennero trovati centinaia di migliaia di dollari in contanti, oggetti di grande valore e opere d’arte conservate nella suite e in un deposito nel seminterrato dell’hotel, gioielli di pregio come quello donato dal presidente Monroe alla famiglia e perfino una rara lettera firmata Charles Dickens inviata dallo scrittore a Benjamin Wood.

In una scatola di creckers fu rinvenuto un diamante del valore di $ 40.000.  Vennero trovati anche vasetti vuoti di vaselina, con la quale Ida si massaggiava il viso più volte al giorno per molte ore, mantenendo un incarnato da cameo, di colorazione avorio, nessun segno del tempo, nessuna ruga.
Ida Mayfield Wood fu trasferita in una nuova suite al piano inferiore e al momento del suo trasferimento nel nuovo alloggio, ben 1013 richiedenti, presunti parenti, litigavano per reclamare l’eredità, arrivando anche a dichiararla non idonea a gestire la propria ricchezza. Il 12 marzo 1932, Ida morì all’età di 93 anni. Alla sua scomparsa emerse in tutta la sua drammaticità una verità nascosta: Ida Mayfield Wood non era figlia di un piantatore di canna da zucchero della Louisiana, come lei dichiarava, ma di Thomas Walsh, un povero immigrato irlandese che si era stabilito a Malden, Massachusetts. Sua madre aveva vissuto, prima dell’ingresso negli Usa, negli slums di Dublino, ben lontana dal poter vantare ascendenti di piccola nobiltà.
In realtà, Ida Mayfield non era nemmeno il suo vero nome, che era Ellen Walsh.
E per finire, sembra che Emma non fosse nemmeno sua figlia bensì una sorella minore, segretamente protetta con la connivenza del marito Benjamin. La storia di Ida e le sorelle, vissuta gran parte in un assurdo lockdown,  sembra uscita da un romanzo d’appendice dai contorni nebulosi e tutto cominciò, come Ida raccontava nei rari momenti di  loquacità a una cameriera, quando da povera ragazzina incontrò una zingara che le pronosticò un futuro di fortuna e grande ricchezza a cui aveva sempre creduto fino alla fine.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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