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“Il singolare influsso esercitato dalla luce che filtra attraverso il vetro colorato” scriveva Paul Scheerbart nel 1914, “era già noto agli antichi sacerdoti assiri e babilonesi; essi furono i primi a introdurre lampade di vetro colorato nei loro templi”: da queste lampade si passò, nell’epoca gotica, alle finestre di vetro colorato: “che queste producano un effetto di particolare solennità” concludeva lo scrittore tedesco, autore di Architettura di vetro, “non dovrebbe destare particolare sorpresa […] il suo effetto sulla psiche umana non potrà essere che positivo”.

La ferita, per certi versi irreversibile, portata al nostro millenario patrimonio artistico dal violento sisma del 20 e del 29 maggio 2012, abbattutosi al centro dell’Emilia, e in parte sulle aree confinanti a nord e a ovest, ci ha ricordato, improvvisamente e quasi l’avessimo distrattamente dimenticato, che la nostra storia si rispecchia e si rigenera nelle torri civiche, nelle quinte scenografiche e abitate delle chilometriche strade porticate, nei campanili, nelle chiese. In sostanza, nell’insieme del patrimonio artistico immobile e mobile, all’interno del quale spiccano per originalità le pareti di luce invetriate e istoriate.
La tradizione che ha creato questo libro aperto, luminoso e colorato, posto sulle pareti sacre e profane del nostro patrimonio storico risale, nel mondo occidentale, a oltre mille anni fa: nel XII secolo, il monaco tedesco Theophilus, ovvero Rogkerus di Helmarhausen, scrive un trattato che definisce i canoni costruttivi delle vetrate istoriate, e l’abate Suger di Saint Denis pone le basi del significato mistico e religioso delle rappresentazioni, che hanno raccontato, in controluce, alle molteplici generazioni che le hanno osservate, le vicende dei santi, le emozioni interiori della devozione, le rappresentazioni araldiche e le perpetuazioni nobiliari.

Fatta eccezione per alcune rappresentazioni del Quattrocento, realizzate a Bologna ad opera di artisti importanti quali il Francia, Lorenzo Costa o Francesco del Cossa e dal loro contemporaneo vetraio-artista operante a Bologna, il monaco benedettino beato Jacobs Griesinger di Ulm, la maggior parte delle vetrate istoriate oggi visibili nel nostro territorio, sono state manufatte, legate e installate nel corso del XX secolo. I primi anni del Novecento, con l’elevazione delle innumerevoli chiese ispirate all’imperante stile Neogotico, e il secondo dopoguerra, con il piano di ricostruzione, videro, fra Bologna, Ferrara e Modena, un’intensa attività edificatoria nel comparto religioso. Le vetrate istoriate, da parte loro, in un percorso stilistico originale aderente alle architetture o talvolta collegato a uno stile più moderno, hanno sempre rivestito un ruolo di prim’ordine in entrambi i periodi.

Le riprese trasmesse dai media e dalla rete, con le immagini del lavoro prezioso, e talvolta rischioso, degli operatori impegnati nell’emergenza post-sisma, hanno consentito di apprezzare appieno le frenetiche operazioni di salvataggio, di recupero e messa in sicurezza del patrimonio artistico mobile: degli arredi e degli oggetti che erano conservati all’interno degli edifici storici e religiosi. Sullo sfondo, all’interno del campo di ripresa, a un’attenta osservazione delle immagini che scorrevano, non poteva sfuggire lo sfolgorio delle multicolori vetrate istoriate legate al piombo poste sulle pareti: il frutto di un’arte “difficile, artificiosa e bellissima”, come scriveva Vasari nelle Vite alla metà del Cinquecento. Un’arte che spesso, in Italia, è stata considerata un ibrido tra la rappresentazione per immagini di un soggetto sacro e la funzione svolta a protezione di ciò che si trova all’interno delle pareti.
Quando non sono crollate insieme alle strutture architettoniche di cui facevano parte, queste vetrate, con i loro santi spesso ieratici e severi, sono rimaste sostanzialmente al loro posto e, dopo diversi mesi dall’evento sismico, si trovano ancora lì: simbolo, testimone e auspicio di una volontà di rinascita.

Nella chiesa di Mirabello, nel Ferrarese – pressoché azzerata nel timpano principale, nel portale, sul tetto e nella parte absidale completamente crollata – sono andate perdute in modo irrimediabile le due eccellenti vetrate figurate degli anni Cinquanta, che misuravano più di tre metri di altezza ed erano poste dietro l’altare. Realizzate dall’artista pittore Giuseppe Cassioli e legate al piombo dal maestro fiorentino Guido Polloni, le due vetrate, che rappresentavano in figura intera San Tommaso e San Giuseppe con Gesù, erano il frutto di una donazione effettuata da una famiglia locale, poi espatriata.
In situazioni meno devastanti ma critiche, come nella chiesa di Poggio Renatico, sempre nel Ferrarese, le crepe più profonde si sono originate in corrispondenza delle discontinuità presenti nelle pareti, ovvero le finestrature. La violenza del sisma ha procurato spesso il distacco dei telai in ferro dalle murature; in alcuni casi è stato il telaio a mantenere in parte aggregata la muratura, in altri la vetrata è uscita dai ritegni metallici perimetrali ed è caduta al suolo all’interno della chiesa, danneggiandosi. In una parte consistente delle chiese i vetri applicati all’esterno, a protezione delle vetrate istoriate (in alcuni casi inefficaci, pericolosi e in parte dannosi), si sono rotti, in quanto rigidi; le vetrate legate al piombo, al contrario, hanno opposto una soddisfacente resistenza al movimento oscillatorio, conservando un’apparente buona coesione dei tasselli in vetro legati.
La spiegazione di quest’ultimo fenomeno può essere ricercata proprio nella peculiarità manifatturiera della legatura dei tasselli in vetro soffiato che compongono la vetrata: dopo il taglio sagomato e la cottura della grisaglia dipinta e fissata a caldo sulla loro superficie, i tasselli vengono assiemati in base al disegno e costretti da righelli in piombo con sezione a forma di H; poi saldati agli incroci o alle giunzioni. Al termine dell’assiemaggio di vetro e righelli, affinché la vetrata composta si mantenga unita e rigida, su di essa viene disteso un impasto collante che entra negli spazi residui fra piombi e vetro e che viene lasciato riposare fino a essicazione. Il tutto viene poi inquadrato, in genere all’interno di una solida armatura di ferro, che porta legature destinate a un altro telaio fisso e zanche per il fissaggio della vetrata alla muratura.
In alcuni casi l’oscillazione e la vibrazione laterale provocate del sisma potrebbero avere distaccato le paste collanti interstiziali pregiudicando la stabilità delle vetrate e deformandole (per valutarlo occorrerebbe un’ispezione ravvicinata); inoltre alcune saldature negli incroci dei righelli potrebbero essersi aperte, con grave pregiudizio alla coesione complessiva e con rischi di rottura o di fuoriuscita dei tasselli in vetro dai piombi in caso di esposizioni prolungate alla pioggia e al vento.
Una ricerca che da alcuni anni porto avanti sul territorio fra Bologna e Ferrara, mi ha consentito di approfondire la conoscenza della storia manifatturiera e artistica delle vetrate istoriate, applicate nel secolo scorso all’interno delle nostre chiese. Lo studio itinerante ha messo in evidenza, fra l’altro, già prima dell’evento sismico, lo stato di sofferenza di molte realizzazioni: l’umidità persistente sul vetro istoriato, le aggressioni biologiche generate da fattori climatici, gli agenti inquinanti presenti nell’aria esterna e nel microclima interno a causa dell’attività antropica, la naturale pressione del vento, alcuni interventi di protezione eseguiti in modo non sempre idoneo, e un’antica predisposizione alla manutenzione minimale del patrimonio, hanno creato una serie di danni che, inaspriti dal sisma, in diversi casi potrebbero essere fatali.

I drammatici eventi del maggio 2012, potrebbero rappresentare un’opportunità decisiva per intervenire con un progetto che, mettendo in campo le migliori competenze e le conoscenze ottenute grazie alle sperimentazioni e alle esperienze condotte in questi ultimi anni, conduca a una campagna di manutenzione, di recupero e di restauro di questi manufatti creativi e cangianti, con la dovuta attenzione a evitare i frettolosi, e talvolta impropri interventi occorsi nel passato.

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Marco Bonora

Nato sul confine fra le province di Bologna e Ferrara, dove ancora vive e risiede . Si occupa di marketing e di progettazione nel settore Architettura per una industria vetraria, lavora in una multinazionale euroamericana. E’ laureato in Tecnologie dei beni culturali e in Scienze e tecnologie della comunicazione presso l`Università di Ferrara. Scrive articoli su riviste del settore e ha pubblicato due volumi tematici sul vetro contemporaneo innovativo e sul vetro artistico delle vetrate istoriate del `900 presenti nelle chiese del nostro territorio. Grande passione da sempre per i viaggi a corto e lungo raggio e il mare.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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