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L’amore per la musica può far sopravvivere. La musica, compagna fedele e premurosa, note appassionate e intense che possono aiutare a restare a galla nel mare torbido di una tragedia, come quella dello sterminio degli ebrei polacchi della Seconda Guerra Mondiale. Note che, silenziose ma potenti, accompagnano sempre.
pianista2Tutto questo viene magistralmente raccontato dal film di Roman Polanski, Il Pianista, tratto dal libro autobiografico (“Una città muore – Il pianista”) del famoso compositore Wladyslaw Szpilman, scritto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Vincitore del Premio Oscar come miglior attore ad Adrien Brody e della Palma D’oro al Festival di Cannes nel 2002, il film racconta la storia vera di questo pianista di talento, ebreo polacco vissuto a Varsavia durante il periodo dell’occupazione tedesca. Quella di Wladyslaw è una vera odissea, la storia di uno dei pochi sopravvissuti al ghetto di Varsavia, morto il 6 luglio del 2000 a 88 anni, dopo una prestigiosa carriera di concertista e compositore musicale. E alcuni ricordi riconducono ai pensieri dello stesso artista, perché “nelle sue memorie ci sono polacchi buoni e polacchi cattivi, ebrei buoni ed ebrei cattivi, tedeschi buoni e tedeschi cattivi …”, una visione un po’ diversa ma reale, uno dei motivi per cui Polanski ha deciso di realizzare questo film, bellissimo ma durissimo.

pianista3Wladyslaw (un meraviglioso Adrien Brody) è un pianista polacco noto nella Varsavia bellica della Seconda Guerra Mondiale che vive serenamente grazie alla sua musica, circondato dall’amore di una famiglia unita e numerosa, fino a quando l’ombra dell’Olocausto non si abbatte su di loro. La comunità polacca sembra sottovalutare l’avvento nazista ma, giunto il rigido inverno, la situazione appare chiara a tutti: i nazisti hanno intenzione di sterminare gli ebrei, sistematicamente e con precisione. Sono vietati loro il lavoro, l’accesso a tutti i locali pubblici e diventa obbligatorio indossare la stella di David sul braccio, come segno distintivo di appartenenza alla religione ebraica. I nazisti impongono lo spostamento delle famiglie dai quartieri d’origine ai ghetti ebraici, segregati e divisi dal resto della città attraverso una lunga muraglia di rossi mattoni che ne impedisce ogni collegamento. Oltre 360.000 ebrei, ancora increduli, vengono segregati in questi luoghi dove si impazzisce e si muore di fame ancora prima dei arrivare ai campi. Ma non vi è più alcun briciolo di ragione umana, in tutto quello che sta accadendo. Szpilman, nel 1942, riesce a fuggire poco prima della deportazione nei campi di concentramento, dove, invece, finirà tutta la sua famiglia (padre, madre, un fratello e due sorelle). Da questo momento inizierà a vagare, con rassegnazione, nascondendosi in vuoti appartamenti nei quali coraggiosi polacchi davano asilo agli ebrei scampati alla deportazione. Quella che sembra una colpevole passività e inattività è, in realtà, un’assoluta certezza di nulla potere di fronte alla violenza nazista. Dalle finestre assiste, solo, disorientato, impotente e affamato, al massacro dei suoi amici, alle battaglie tra tedeschi e partigiani polacchi, fino all’arrivo delle guarnigioni russe che liberano la città. Apocalittica è la vista del ghetto di Varsavia ormai completamente distrutto dopo la fuga dell’esercito germanico. Le scene scorrono con immagini crude e intense, intercalate da momenti di rara poesia, sulle ali della musica, della passione per la vita, della resistenza a tutto che solo la forte voglia di sopravvivere fa ritrovare a ogni uomo disperato. L’istinto naturale, quello animale, prevale e si lotta per la vita. L’anima è solo corpo sfinito, ormai. Si diventa ombra funerea di se’ stessi.

pianista4La sequenza finale in cui il pianista si esibisce al pianoforte davanti ad un ufficiale tedesco che, sedotto dalla sua bravura, lo aiuterà a nascondersi è imponente e un momento di grande e intenso cinema. Il film è duro e spietato, non lascia tregua allo spettatore, ma è delicato allo stesso tempo: una ricostruzione meticolosa del vagabondare di esseri umani privati di dignità, alla ricerca disperata di uno spiraglio, nell’oscurità del dolore e della solitudine; la storia del dolore esistenziale di tutti coloro che hanno subito l’atroce sofferenza della deportazione, dell’umiliazione di un popolo. Indicibile, irripetibile.

Il pianista, di Roman Polanski, con Adrien Brody, Thomas Kretschmann, Frank Finlay, Emilia Fox, Maureen Lipman, Ed Stoppard, Julia Rayner, Jessica Kate Meyer, Michal Zebrowski, Wanja Mues, Richard Ridings, Nomi Sharron, Anthony Milner, Lucy Skeaping, Polonia 2002, 148 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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