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Da MOSCA – Molti di noi hanno il virus del viaggio. Non vogliamo certo curarlo, perché, come sappiamo, è assolutamente incurabile, desideriamo però cercare di capire insieme come convivere con esso.

Per questo, dopo avervelo introdotto qualche articolo fa (in Un inverno nel Medioevo russo), vogliamo ora presentarvi un autore che ha vissuto un’esperienza incredibile in Russia, e per la precisione, sulle rive del misterioso e ricco lago Bajkal. E con esso, il suo libro più recente.

Se volete specchiarvi nella luce delle acque di un lago immenso, profondo e lungo, e correre a braccetto con la Natura nella fredda tundra siberiana, allora, dovete davvero leggere e rileggere Sylvain Tesson. Tuffatevi, in particolare, nel suo ultimo Nelle Foreste Siberiane, edito da Sellerio.Buttatevi a capofitto, senza pensare o riflettere, nelle sue pagine pergamenate e curiose.

Meditatelo con attenzione, se volete assaporare la bellezza del contatto solo con il vostro Io, quello più puro, con la vostra autentica essenza, con quanto siete veramente e con quello che respirate, con quanto credevate e credete ancora di essere. Di fronte agli spazi smisurati, abbandonati a se stessi e con se stessi, ci vogliono la forza e il coraggio che solo i solitari possono avere. Credo di avervelo già detto. Forti unicamente dei propri pensieri, delle proprie sensazioni, della propria libertà di correre e di volare via, lontano. A volte terribilmente lontano.

Eremita, per sei lunghi e rigidi mesi, sul russo lago Bajkal, Tesson vi si recò per cercare l’ispirazione. Ritiratosi nel 2010 in una capanna di nemmeno dieci metri sulle rive del lago, all’estrema punta del Capo dei Cedri del Nord, in compagnia unicamente di un’accurata e nutrita selezione di libri (che sogno…), di cibi e di vivande, il giornalista e scrittore parigino operò quasi un miracolo, ricominciando a fare quello che ormai viene considerato un lusso dalla ricca e benestante società moderna: pensare e riflettere liberamente, nonché scrivere di getto quei pensieri leggeri ed avvolgenti, su un umido e stropicciato taccuino che diventerà un libro da 250.000 copie vendute, oltre che vincitore del famoso Prix Médicis francese.

Perché ci piace pensare che il vero scrittore usi ancora il taccuino intarsiato manoscritto.

Perché crediamo ancora che la Natura sia un’immensa e potente fonte d’ispirazione per la scrittura più nobile e sincera. Perché si può fare pace col tempo, addomesticarlo, come dice lo stesso scrittore, con l’immobilità quasi totale ed il fermarsi a pensare ed a scrivere. Quasi una necessità, ormai. Un bisogno che, credo, molti di noi ormai sentano assiduamente.

Perché ci piacerebbe davvero tanto essere come Sylvain che, colpito dal virus del viaggio, dopo tanto e lungo girovagare (quasi vent’anni di viaggi su e giù per il mondo, Russia inclusa, comprese le scalate delle cattedrali ed i giri del globo in bicicletta…), si ferma ad ascoltare l’infuriare della Natura, nella sua tempestosa solitudine e silenziosa immensità, a capire e a capirsi, ad immaginare e ad immaginarsi, a sognare e a sognarsi.

Perché per noi ha proprio ragione questo illuminato e curioso scrittore, quando considera l’esperienza dell’immobilità sul Bajkal come la continuazione del viaggio con altri mezzi.

Sylvain si era definito come Goethe, un vero Wanderer ossia un vero girovago, già nel suo Piccolo Trattato sull’Immensità del Mondo del 2005, dove evocava il viaggiatore senza alcun attaccamento materiale o legame, un uomo che non si aspetta nulla dal mondo ma che si accontenta di percorrerlo, di viaggiare, solitario, in ascolto solo dei bisogni del proprio corpo e senza attendersi nulla dal cammino preso energicamente in prestito. Un uomo capace di rispondere all’appello dell’esterno, solo con esso, e con sé il stesso forte ed autonomo. Noi crediamo tuttavia che a quel mondo esterno si possa almeno chiedere di sorriderci, di non lasciarci soli, di accompagnarci con la sua luce e i suoi riflessi, magari con qualche bel romanzo, qualche favola, racconto o poesia nello zaino leggero. O magari con un bel disegno colorato.

Fra i libri che accompagnano lo scrittore nel suo ritiro pensoso e produttivo, vi sono L’Amante di Lady Chatterly, La Mia Africa, Foglie d’Erba, Robinson Crusoe, Walden, il De Rerum Natura, ma si uniscono anche Shakespeare, de Sade e Casanova, oltre ad Hegel, Kierkegaard, Nietzsche, Schopenhauer ed Heidegger, poesie cinesi e romanzi polizieschi.

La mattina legge, pensa, fuma, disegna, spacca la legna, spala la neve, scrive.

In Nelle Foreste Siberiane Tesson raccoglie pagine di giorni, sfondi, solitudini, stati d’animo, sentimenti, pensieri, riflessioni, panorami e di bio-compagni, come li chiama simpaticamente ed intelligentemente Fulvio Ervas nel suo commento al libro, intitolato “nelle gelide foreste a servire la bellezza”, apostrofando gli orsi, le cince, le foche, i cani, i pesci-omul, che affollavano le difficili ma intense giornate dell’amico francese. Perché ormai lo consideriamo amico.

Spazio, silenzio, solitudine fertile, ritmo, spettacolo, confidenze alla e sulla carta, voglia di librarsi in aria, pace e ancora pace. A volte disperazione, ma poi fiducia e nuovamente fiducia.

Ricchezza, solitudine, assenza di qualsiasi legge che non sia quella della Natura. Freddo rigido ma anche tepore, il caldo dei pensieri liberi da ogni condizionamento, in pace con se stessi. Spazi vergini ed incontaminati, aliti di vento leggermente intorpiditi e ricoperti di brina. Esperimento di vagabondaggio interiore, lontano da viaggi in superficie più che in profondità che contraddistinguevano il primo Elogio dell’Energia Vagabonda.

Con l’ebbrezza del nulla intorno, un nulla che è tutto per chi ama e rispetta il diverso da sé, la realtà animata ed indipendente che è il mondo naturale, dal sapore angelicamente divino.

Perché la noia non mi spaventa. Ci sono cose che fanno più male: il dolore di non condividere con la persona amata la bellezza dei momenti vissuti”, ci ricorda Tesson.

Cosa che io sto facendo, con queste righe, e che invito anche voi a fare, lettori attenti e sensibili.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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