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La classe dirigente della destra è nel pallone. Ufficialmente si inventa complotti internazionali per denigrare il nuovo governo, ma se parli con qualcuno di loro ti dicono ciò che pensano: Salvini ha fatto harakiri. Si comprende la soddisfazione a sinistra per la fine di un’alleanza sciagurata e il ritorno al governo. Ma per il Pd i motivi per festeggiare finiscono qui. La nuova maggioranza è il frutto di un’occasione politica sfruttata con intelligenza, ma non espressione di un cambiamento maturato nella società. Gramsci parlerebbe di un episodio classico di ‘rivoluzione passiva’.
a) Il Pd torna al governo avendo alle spalle una sconfitta storica (4 marzo 2018) le cui cause non sono mai state analizzate. E il M5s passa disinvoltamente da un’alleanza con la destra estrema ad un governo con la sinistra senza dare spiegazioni, quasi si trattasse semplicemente di cambiare di spalla al fucile.
b) La nomina di Roberto Gualtieri al ministero dell’Economia è la vera novità politica della nuova maggioranza. Insieme al neo-commissario europeo Gentiloni e al ministro Pd per gli Affari Europei costituisce un asse che mette fuori gioco il folle nazionalismo anti-europeo della destra salviniana. A sostegno di questa svolta sono opportune le parole del Presidente della Repubblica: “Ora è necessario rivedere il patto di Stabilità europeo per tornare a crescere”. Insieme alla revisione delle regole di Dublino sull’immigrazione e alla creazione di un’area fiscale comune.
c) La filosofia del programma di governo è opposta a quello della maggioranza precedente: prevalgono i valori dell’inclusione e della solidarietà. E questa è buona cosa per cominciare ad archiviare il tempo dell’odio e dei capri espiatori. Ma le proposte sono generiche e aperte a interpretazioni diverse. Alcuni esempi. Si dice che bisogna realizzare nuove infrastrutture tenendo conto dell’impatto sociale e ambientale. Bene. Ma sono bastate alcune dichiarazioni della neo-ministra De Micheli per aprire una polemica nella maggioranza ancora prima del suo insediamento ufficiale. E sull’immigrazione e sui decreti salviniani disumani, oltre ad evocare le responsabilità dell’Europa, come verranno radicalmente cambiati? Senza dimenticare che c’è ancora una nave, con i profughi a bordo, che aspetta di poter attraccare in porto. E sulla giustizia? E’ un po’ poco parlare genericamente di riduzione dei tempi e riforma del Csm. Fermiamoci qui, con solo un’ultima e fondamentale aggiunta. Non si parla con chiarezza su come intervenire per diminuire il debito pubblico e come mettere insieme le risorse finanziarie indispensabili per una crescita di qualità e per creare lavoro. Si rischia di passare dalla demonizzazione dell’Ue alla fede nello ‘stellone’ d’Europa, ma ciò non ci assolve dalla nostra responsabilità nell’aver creato un debito-mostro che non è fra gli ultimi dei nostri problemi strutturali.
d) Il distacco tra la società e la politica è grande. E il Pd ritorna al governo senza aver fatto i conti con le cause della perdita di legami sociali fondamentali per una forza popolare. Scriveva nell’aprile 2013 l’inascoltato Fabrizio Barca: “L’incapacità di governare della sinistra non deriva da un deficit di potere, bensì da un deficit di conoscenza e partecipazione nelle decisioni e nell’attuazione. Bisogna costruire un nuovo partito per un nuovo programma e un nuovo metodo di governo”. Siamo ancora fermi lì. Non c’è stata batosta elettorale sufficiente a far capire ai dirigenti del Pd che devono uscire dai loro stanchi e infecondi riti. Sì, è vero che il nuovo segretario Zingaretti ha vinto le primarie parlando della necessità di aprire porte e finestre, ma nella pratica non è ancora successo nulla in questa direzione.
Conclusione. Il nuovo governo è frutto di un disastro tattico della destra, di una manovra intelligente della classe dirigente del Pd e di un ruolo positivo svolto da Conte. Ma dietro alla nuova maggioranza non c’è un cambio di segno culturale e civile nel Paese. Se non si lavora per risolvere questa contraddizione il Conte due anziché rappresentare un ‘nuovo inizio’, sarà archiviato come l’ennesimo episodio di trasformismo all’italiana. E per la sinistra potrebbe significare una catastrofe.

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Fiorenzo Baratelli

È direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Passioni: filosofia, letteratura, storia e… la ‘bella politica’!

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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