La nebbia è senz’altro un fenomeno atmosferico che chi abita in Polesine o nelle zone del ferrarese conosce molto bene. Spesso è vista come una gran seccatura: l’ambiente grigio incupisce gli animi, l’umidità è eccessiva, viaggiare diventa difficoltoso. Eppure, se ci sforziamo di cercare qualche nota positiva, forse la nebbia può sembrarci anche poetica. Quando c’è lei, i sensi si annullano. L’ambiente è fatto di presenze eteree, effimere. Le cose si svelano come apparizioni: piano piano distingui un albero, un lampione, un muro diroccato, un argine, un fosso, un airone… tutto è quiete.
Diversi artisti hanno inteso la poeticità della nebbia, tra cui la fotografa Silvia Camporesi, che la utilizza per diverse foto nel suo progetto “La terza Venezia”. Essa contribuisce a creare un senso onirico, fatto di atmosfere rarefatte, magiche e silenziose.
Per sfogliare le foto del progetto: https://www.silviacamporesi.it/la-terza-venezia/.
Ripenso agli amici della mia infanzia, a quegli anni indimenticabili che vorrei tanto aver dimenticato. Rivedo le facce di allora, il quartiere com’era e tutti quelli che non ci sono più.
Rivivo tutto ogni volta che resto solo coi miei ricordi. I pensieri vanno e vengono lasciando tracce dolorose, solchi che il presente non riesce a riempire.
Possibile che sia tutto irrimediabilmente andato? Che il moto perpetuo del tempo l’abbia dissolto nel nulla? Un nulla confinato in quell’alone impalpabile chiamato memoria?
La memoria, appunto, che ugualmente infiamma e lenisce. Che confonde gioia e angoscia trasformandole in malinconia.
Così distrattamente apro un cassetto del comodino e prendo un mazzo di foto tenute insieme da un elastico. L’elastico si sbriciola tra le dita, restano le foto. Le guardo una ad una e lentamente sale un nodo in gola. Sarà l’età, sarà quella debolezza di cui non ho più vergogna.
Mi adagio sul letto e m’abbandono al pianto. Un pianto silenzioso, liberatorio, e tra le lacrime un sorriso. Sorrido e piango nel vedere tanti sorrisi fissati per sempre, rubati al tempo, imprigionati in qualche grammo di carta. Ma mi bastano.
Bastano quelle immagini, quei volti tornati dal passato, per accendere l’illusione che forse una strada del ritorno esiste. Da qualche parte, non so.
Perché la vita non può essere solo nell’attimo che fugge, la vita è troppo grande per essere intrappolata nel tempo presente. C’è di più, ne sono convinto.
Ogni tanto fa bene ricordare su quale ideale dovrebbe fondarsi ogni decisione da prendere in una città civile. I muri, più di ogni altro luogo, conservano messaggi, non tanto subliminali, che è bene conservare e magari condividere. Messaggi da tenere in tasca. Per non dimenticare.
Si possono dichiarare tante guerre. Alcune possono avere motivazioni futili, altre esiti nefasti. Sicuramente si può consigliare a chi dichiarare guerra e, nel farlo, centrare molti punti per risollevare l’animo umano: è così che un messaggio dato da un certo individuo, sia trasmesso, tramite ciò che si combatte, e diventa più che dichiarazione belligerante, un grido di speranza. Nemmeno a farlo di proposito, tale missiva arriva da un luogo che richiama a quei valori che, oggi più di ieri, ci vedono impegnati come moderni partigiani nella lotta più difficile: quella per la salvaguardia della nostra casa. La Resistenza ci consiglia, spetta a noi accettare o meno quello che ci viene indicato.
Ci si può immaginare di essere al centro del proprio mondo ma, alla fine, si cerca di far coniugare l’esigenza dell’essere a quella del condividere. Si deve rinunciare ad una parte di sé. Non farlo vuol dire semplicemente avventurarsi all’interno del proprio deserto interiore. Da lì, sempre più profondo, è il suono della propria essenza, somigliante ad una vecchia panchina quasi rotta, che aspetta, da anni, di esser trovata.
Solitaria, come un albero in mezzo ad un bosco le cui radici cadono nel buio del terreno.
Fragile, come la pietra erosa dall’acqua di sorgente.
Dura, come come la terra essiccata dal sole.
Mura di lacrime di umidità stagliate nel tempo delle antiche pietre difensive.
Grigia, come il cielo d’estate che si accompagna alla pioggia.
Buia, come la luce nella notte che avanza.
Luogo di riposo, di pensiero, di famiglia.
Luogo del vecchio che non vuole morire
e del nuovo che stenta ad arrivare.
Come immensi scavi archeologici, le strade sovrappongono cumuli di cultura diversi, i quali si susseguono, si sostituiscono, si amalgamano, si contrastano. Lo sguardo destrutturante vi ricostruisce la successione, quello totalizzante ne apprezza il risultato. Tutti ne sono obbligati alla convivenza. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si fa stratigrafia nella realtà umana.
Da tempo mi chiedo cosa manca al Paese, all’Europa, al Mondo.
Finalmente ho trovato una risposta: what the world needs now – come diceva quello – è un altro fotografo.
C’è una certa carenza di persone dedite all’arte della fotografia, una cosa che proprio non mi riesco a spiegare, visto che ormai persino i telefoni fanno le foto.
Ho dunque deciso di lanciarmi in questo settore così poco inflazionato, sono carichissimo e non vedo l’ora di dare anch’io il mio contributo a quest’arte così svalutata.
Per prima cosa ho deciso di lanciarmi proprio in scivolata su quello che per molti è un terreno scivolosissimo: il nudo.
Ho dunque deciso di fotografare esseri umani nudi nelle più svariate situazioni e posizioni, concentrandomi particolarmente sulle loro espressioni facciali mentre vengono sottoposti a quell’esperienza olfattiva che tutti quanti abbiamo sperimentato nella nostra vita: il rilascio di un peto da parte di un’altra persona.
Con questo mio progetto vorrei indagare il livello di comprensione che la razza umana ha raggiunto, nel 2020, a proposito di questo fenomeno che per molti rappresenta ancora un tabù.
Successivamente, vorrei scardinare e distruggere – possibilmente per sempre – quest’altra grassissima bugia che da secoli, ormai, impiccia il mondo dal suo progredire: le signorine queste cose non le fanno.
Mi dedicherò allora ai ritratti di svariati esseri umani di genere femminile, esseri immortalati nel mentre del bel gesto.
Non vedo l’ora di realizzare questi miei progetti e di mandare poi tutte queste foto al sig. Amedeo Umberto Rita Sebastiani così, per simpatia ma soprattutto perché se lo merita.
Magari poi, fa 2 + 2 e la pianta di farle lui col cervello, ‘ste cose qua.
Ma vabbè, buona settimana.
La neve affascina, con la sua caduta lenta. Crea un silenzio che sigilla tutti i rumori, ovattando la natura. Ferma il tempo. Sembra purificare l’aria e rendere tutto più soffice e delicato. La neve, in realtà, nasconde. Rimanda ciò che è lo scorrere del tempo Ma prima o poi, la neve, si scioglie, e restituisce ciò che era, spesso peggiorato. La neve è brava solo a mentire, nel suo bianco vestito di freddo e gelo.
Il giro del mondo riassunto in 140 foto non è un giro spensierato. Ci sono dentro guerra, violenza, intrecci, malattia, pugni e rivalsa. Perché la mostra del premio ‘World Press Photo 2019’ racconta un anno di cronaca da ogni angolo del mondo. Immagini e contenuti sono vagliati, selezionati e verificati dalla fondazione nata proprio per premiare e valorizzare le foto scattate per darne notizia su giornali, riviste, mass media. L’esposizione per il terzo anno è approdata con il festival “Internazionale a Ferrara” sulle pareti del Padiglione d’arte contemporanea (corso Porta Mare 5, Ferrara), dove è visitabile fino a domenica 3 novembre.
In mostra gli scatti dei fotoreporter che con il loro lavoro riescono a far vedere quello che succede dietro i cancelli delle ambasciate, nelle case di persone che hanno subito catastrofi, nei saloni del potere e nelle trincee del lavoro. Il foto-servizio è stato fatto durante la visita guidata ed è firmato dal fotografo Luca Pasqualini. In apertura la sua foto con lo scatto del fotografo statunitense Brendan Smialowski che mostra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, mentre conduce per mano il presidente della Francia, Emmanuel Macron, verso l’ufficio ovale della Casa Bianca, a Washington DC, il 24 aprile 2018.
Gli effetti della povertà in una delle foto della mostra “World Press Photo 2019” a Ferrara (foto Luca Pasqualini)
A fare da guida in lingua italiana a una selezione di fotografie tra le più significative è stata, durante il festival, Margherita Ferro del centro 10B Photography che lavora con la fondazione World Press Photo di Amsterdam per organizzare l’esposizione delle foto di un premio arrivato alla 62.a edizione.
La guida Margherita Ferro davanti al fotoreportage sulle sfilate di moda a Dakar, in Senegal (foto Luca Pasqualini)
La bambina che piange sulla frontiera Messico-Usa. Premiata come Foto dell’anno, quella di John Moore (fotografo statunitense) intitolata “Crying Girl on the Border”. Al centro dell’immagine la piccola Yanela Sánchez, originaria dell’Honduras, che si dispera mentre, sopra alla sua testa, la madre Sandra Sánchez viene perquisita da un’agente della polizia di frontiera, in Texas. Era il 12 giugno 2018. “Questa foto – racconta la guida – ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma dei bambini che la politica di Trump aveva deciso di separare dai genitori per disincentivare l’immigrazione clandestina. In sei settimane sono stati separati 2mila minori. La foto è significativa, perché con semplicità mostra il pianto di una bambina e, con quelle scarpe già senza lacci di madre e figlia, rivela come venga applicata già la procedura prevista per chi sta per essere messo in carcere. Dopo la pubblicazione della foto, a fine giugno, è stata interrotta la politica di separazione di genitori e figli di immigrati clandestini. Per valutare la capacità di coinvolgimento, non è poi forse un caso che il fotografo abbia un figlio della stessa età di Yanela”.
John Moore_(Getty Images) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara
La carovana dei migranti. Vincitore del World Press Photo of the Year il fotoreportage di Pieter Ten Hoopen (fotografo olandese) intitolato “Civilian Act”. Ha fatto il giro dei media lo scatto “The Migrant Caravan”: un gruppo di persone che corre verso un camion, fermo a dare loro un passaggio vicino a Tapanatepec, in Messico, il 30 ottobre 2018. “L’idea dietro a questo progetto – dice la Ferro – è quella di raccontare il lungo viaggio e i momenti quotidiani di alcune tra le oltre 7mila persone che, tra ottobre e novembre 2018, dall’Honduras si sono messe in movimento per raggiungere gli Stati Uniti”.
Pieter Ten Hoopen con “Civilian Act (Agence Vu) per la mostra del premio World Press Photo 2019
La stampa fuori dai cancelli del potere. Uno dei cinque finalisti per il premio ‘World Press Photo of the Year’ è Chris McGrath (fotografo australiano) con uno degli scatti del suo lavoro di documentazione su “The Disappearance of Jamal Kashoggi”. “La foto – dice Margherita – mostra un uomo che cerca di trattenere giornalisti e fotografi il 15 ottobre 2018, mentre gli investigatori sauditi arrivano al consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, in Turchia, dove il 2 ottobre il giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi è entrato e mai più uscito, ucciso probabilmente su ordine del regime dell’Arabia Saudita. Un’immagine che diventa anche simbolo della volontà di tenere l’informazione lontana dal cuore del potere”.
Chris McGrath (Getty Images) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara
Il lago prosciugato. “Era il quarto lago più grande dell’Africa, ma ora si è ridotto del 90 per cento”, racconta la guida davanti a una fotografia di Marco Gualazzini che fa parte del suo reportage intitolato “La crisi del lago Ciad”. Di acqua, qui, se ne vede poca. C’è invece un ragazzino che passa davanti a un muro segnato da graffiti che con tratti infantili disegnano tanti mitra. Gli scatti che hanno portato il fotografo italiano ad essere selezionato tra i tre finalisti del ‘World Press Photo of the Year’ sono dedicati – continua Margherita – “al lago che bagnava le terre di quattro stati diversi (Ciad, Camerun, Nigeria e Niger) e il cui prosciugamento ha gettato nella miseria più profonda le popolazioni che dalle sue acque traevano la sussistenza”. Ecco allora poca acqua fotografata e i tanti effetti della devastazione, “che creano le basi per l’avanzata delle idee estremiste degli jihadisti di Boko Haram che arruolano gli orfani anche più piccoli per farne dei combattenti”.
Una delle foto di Marco Gualazzini (Contrasto) in mostra a Ferrara sulla realtà intorno al lago Ciad
La Siria e la guerra invisibile. Mostrare le ferite che non si vedono e che uccidono da dentro: è questo il lavoro di Mohammed Badra, fotografo siriano che racconta gli attacchi di armi chimiche che continuano a devastare il suo Paese. “I due uomini che guardano lo spettatore – fa notare la guida – sembra che rivendichino la volontà di far guardare in faccia al mondo questa situazione terribile che va avanti, ma di cui ormai non si parla più”. L’immagine mostra “Un uomo e un bambino che ricevono cure dopo un gas-attack”.
Mohammed Badra (European Pressphoto Agency) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara
Anche il mondo degli animali e quello della natura viene indagato nei suoi aspetti più materiali e crudi in questo viaggio nelle due sale della palazzina accanto a Palazzo Massari di Ferrara, come accade nel racconto per immagini della vita dei puma in Patagonia, Cile, documentata da Ingo Arndt, vincitore del terzo premio della categoria ‘Natura’.
Terzo premio della categoria Natura per Ingo Arndt e le sue foto sulla vita dei puma in Patagonia, Chile, al WPP2019 (foto Luca Pasqualini)
Quello che le cronache non dicono più è narrato da alcune immagini meno famose e che qui trovano una ribalta. Come la vita delle guerrigliere dopo che la guerriglia è finita, raccontata dagli scatti di Catalina Martin-Chico che ha vinto il secondo premio per le ‘Questioni contemporanee’.
Reportage di Catalina Martin-Chico tra le ex guerrigliere in Colombia (foto Luca Pasqualini)
“World Press Photo 2019″ in mostra al PAC-Padiglione d’arte contemporanea, giardino di Palazzo Massari, corso Porta Mare 5, Ferrara. Dal 4 ottobre al 3 novembre 2019, ore 10-13; 15-19 (ingresso consentito fino a un’ora prima della chiusura). Chiuso il lunedì. Biglietti: intero 6€, ridotto 4€.
Non si può sfuggire dal fascino della memoria, ed il ricordo diventa tale solo nel momento in cui venga stimolato da un’epifania. L’immagine serve a ciò. Quando questa si tramuta in un quadro di realtà, dà non solo il senso di memoria, ma anche quello della realtà dei fatti. Una luce sospesa nella desolazione. Realtà su carta incastonata in un piccolo rettangolo. Non posso descrivere questa immagine in poche righe se non dicendo che per guardarla bene bisogna chiudere gli occhi e osservare un proprio luogo dell’infanzia, dell’adolescenza, della propria vita. Proprio lì dove si ferma il tempo troverete il significato più profondo. Ma dietro si cela anche un aspetto più pragmatico: il vuoto delle sedie, la desolazione, la morte degli affetti, la solitudine, l’oscurità. La memoria è cara, ma non sempre bella… proprio come la realtà.
“La notte non fa più paura” è un lungometraggio sul terremoto del 20 maggio 2012 che sconvolse l’Emilia. Le riprese, cominciate il 20 settembre del 2014, durarono solo 10 giorni, e ad immortalare quei momenti di set e backstage c’erano gli obiettivi di Enrique Olvera e Marco Caselli.
La mostra fotografica, inaugurata ieri alla libreria Feltrinelli di Ferrara, è stata pensata proprio in quei giorni: le riprese erano terminate da poco, il regista Marco Cassini, gli ideatori Stefano Muroni, Walter Cordopatri, Ilaria Battistella e Samuele Govoni organizzarono un incontro alla Feltrinelli per raccontare “a caldo” quei giorni frenetici fatti di poco riposo e molte riprese. L’allora direttrice Erika Cusinatti, ospitò con entusiasmo il giovane staff durante la giornata conclusiva di Internazionale: in tanti si fermarono in libreria per ascoltare quella storia fatta di passione e sacrificio. Fu proprio in quell’incontro di due anni fa che nacque l’idea della mostra che sarà visibile al pubblico fino al 3 maggio.
Clicca le immagini per ingrandirle.
“La notte non fa più paura”, attualmente in corsa al Valdarno Cinema Fedic e presentato lo scorso venerdì in anteprima nazionale a Teramo riscuotendo grande successo di pubblico (due proiezioni sold out e un tanto affetto dimostrato dalla gente in sala), “si racconta” attraverso le fotografie di Enrique Olvera e Marco Caselli in una mostra realizzata grazie al contributo del Cpa (Centro preformazione attoriale).
Ne avevamo già parlato all’avvio del progetto [vedi] e come testata avevamo partecipato all’iniziativa pubblicando per più di una settimana la foto del giorno [vedi]. Stiamo parlando di #MyFerrara, il progetto di collaborazione tra la community Igersferrara ed il Comune di Ferrara, che dal 23 aprile scorso ha pubblicato circa 10.000 immagini di Ferrara scattate dai seguaci di instagram (amministratori, studenti, cittadini). Un successo eccezionale che ha spinto gli organizzatori a mettere in piedi una mostra dal titolo “#MyFerrara – La nostra città raccontata su Instagram” che esporrà 52 foto: 40 pubblicate dagli amministratori e 12 estratte dalle 10mila finora taggate.
La mostra sarà inaugurata domani martedì 15 dicembre alle 16.30 nel salone d’onore della residenza municipale, e rimarrà aperta gratuitamente ai visitatori fino al 7 gennaio 2016.
Un altro evento in programma sempre domani sarà l’escursione fotografica condotta da Francesco Scafuri, responsabile dell’ufficio comunale ricerche storiche, “I segreti del Palazzo Ducale svelati agli Instagramers” che si terrà alle 15, articolata tra gli spazi dello scalone municipale, la sala delle lapidi, la sala dell’arengo, la stanza dorata, il salone d’onore, la sala dell’albo pretorio, il camerino delle duchesse e via coperta (L’escursione fotografica è aperta a 25 partecipanti, l’iscrizione è gratuita ed effettuabile al sito http://agendadigitale.comune.fe.it).
Le foto degli instagramers pubblicate su Ferraraitalia, clicca le immagini per ingrandirle.
Un fotografo dilettante, così si dice, ma guardando i suoi scatti abbiamo tutt’altra sensazione. Forse vengono definiti dilettanti coloro che non hanno avuto grandi riconoscimenti pubblici (alcuni erano arrivati, prima della Rivoluzione) o eclatante successo, in tal caso possiamo anche concordare con l’utilizzo di tale sostantivo, ma se invece l’appellativo viene affibbiato a chi non abbia particolare tecnica, fantasia, curiosità o inventiva, allora non possiamo che dissentire con chi definisca dilettante Sergey Chelnokov (1861-1921), uno dei fotografi russi di inizio secolo le cui immagini in bianco e nero sono state esposte qualche tempo fa al Museo della Città di Mosca. Nella mostra “Carpe diem”, oltre 200 immagini della capitale russa (ma non solo), di fine XIX-inizi XX secolo, hanno dato vita a un interessante diario visivo dell’epoca realizzato da un uomo brillante e curioso che, passeggiando e viaggiando, ha fissato su pellicola le manifestazioni della vita di tutti i giorni, dalle celebrazioni alle scene domestiche e più intime, la vita di persone di varie condizioni sociali e appartenenti a culture diverse. Una testimonianza autentica e una visione panoramica di quel momento storico. Opere che fanno parte di un archivio, che contiene più di 1500 fotografie con le immagini delle città della Russia e dell’Europa, dove non erano presenti didascalie particolari. Lo sforzo di identificare luoghi e personaggi è stato grande e internet ha molto aiutato nel confronto fra il prima e l’oggi, permettendo di ritrovare città e quartieri degli scatti.
Sul Vesuvio, non datato
Fra questi, le piazze di Mosca e di Londra, l’esposizione mondiale di Parigi del 1900, la linea del tram sul Kuznetsky Most, le celebrazioni dell’Epifania, la primavera sulle Colline dei passeri, il ghiaccio sulla Moscova, il lavoro nei campi nella provincia russa, la difesa di Port Arthur, l’apertura del monumento a Gogol a Mosca, le celebrazioni della ricorrenza della guerra patriottica del 1812. Sergey Chelnokov era immerso in questa realtà, aveva anche partecipato alla gestione della città: nel 1900, era stato eletto alla Duma di Mosca, aveva dedicato molto tempo ed energie allo sviluppo dei trasporti e avrebbe viaggiato molto, anche nel Belpaese. Una parte importante della mostra, infatti, è rappresentata dalle immagini dell’Italia: Venezia, Genova, Napoli, Firenze e altre città.
Venezia, Settembre 1900
Venezia e Napoli rappresentano probabilmente la maggioranza degli scatti italiani, fra il 1900 e il 1912. Vi sono poi fermi su Merano o sul Vesuvio misterioso e fumante. Uno sguardo russo sull’Italia dell’epoca. Bello.
Sul Vesuvio, non datato
Nel 2016, la mostra, organizzata in collaborazione con l’Istituto italiano di cultura di Mosca, sarà presentata in Italia.
Per vedere alcune fotografie. alcuni link e un libro (anche se non leggete il russo, le immagini parlano da se’):
Cancelli che, anziché chiudere, aprono la vista, inquadrano un pezzetto di mondo, raccontano. E’ quello che succede con le immagini fotografiche della mostra “Cancelli d’autore antichi e moderni” in corso al museo del Mondo agricolo ferrarese di San Bartolomeo in Bosco. Gli scatti di Franco Ardizzoni documentano questi elementi d’ingresso a proprietà private. Creati per isolare, finiscono per aprire lo spazio, delimitare e raccontare un territorio. Così – come insegnano le inquadrature del grande Luigi Ghirri – lo scatto va a dare significato anche a paesaggi che, altrimenti, non avrebbero una cornice, un centro, un punto di vista significativo.
“Cancelli d’autore” fotografati nel territorio tra Bologna e Ferrara, in mostra da martedì a venerdì ore 9-12; domenica e festivi ore 16-19. Fino a domenica 12 luglio 2015, Centro di documentazione del Mondo agricolo ferrarese (Maf), via Imperiale 263, San Bartolomeo in Bosco, Ferrara, tel. 0532 725294
OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFIA
Cancello di Villa Zarri a Castel Maggiore (foto Franco Ardizzoni)
Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura [clic sulla foto per ingrandirla]
ll Parco del Delta del Po candidato Unesco come area da proteggere per le sue caratteristiche bio-naturali e paesaggistiche. In termini tecnici sito da classificare come Mab che sta per “Man and biosphere”, luogo che mette insieme la valorizzazione dell’insediamento socio economico dell’uomo e la biodiversità in un’ottica sostenibile. La candidatura è stata ufficializzata in aprile, a Venezia. Il progetto andrà all’esame del Comitato internazionale dell’Unesco che si riunirà dall’8 al 12 di giugno.
Le fotografie di Luca Zampini raccontano aspetti di bellezza di questi luoghi. (gio.m)
OGGI – IMMAGINARIO NATURA
Sacca di Scardovari nel Delta del Po (foto di Luca Zampini)
Acqua e terra a Sacca di Scardovari (foto di Luca Zampini)
Sacca di Scardovari (foto di Luca Zampini)
Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…
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Bella la locandina e uno slogan riuscito: “Niente fumo, tanto Ariosto”. E’ il titolo del concorso fotografico appena concluso, incentrato su cura e rispetto dei luoghi della città. In gara tutti quelli che hanno inviato una fotografia inedita e svincolata da diritti d’autore, scattata nell’ambito del comune di Ferrara e capace di comunicare sensibilità per l’ambiente cittadino. Domenica, 19 aprile, al pomeriggio, l’esposizione di tutte le foto in piazza Ariostea e, alle 18.30, la premiazione dei vincitori: quelli che hanno avuto più MiPiace per la foto pubblicata sul profilo Facebook di “Niente fumo, tanto Ariosto”. Organizzatore il clan Anduril Fe 3 dell’Agesci.
OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFIA
Piazza Ariostea, a Ferrara, per “Niente fumo, tanto Ariosto”
Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…
Il listone in un drammatico bianco e nero che racconta la bellezza dei lavori di rifacimento, un anno fa a Ferrara, di piazza Trento Trieste. Uno scorcio di scala a chiocciola che sembra farti entrare in una gigantesca conchiglia. Poi le volte di un’antica via, pioggia, acqua, vento. Sono le immagini scattate dal fotografo Roberto Mascellani. Le presenta stasera, ore 21.15, con ingresso libero nella sala multimediale del Comune, piazza della Repubblica 10, a Vigarano Mainarda.
OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFIA
Piazza Trento Trieste, a Ferrara, durante i lavori di rifacimento 2014 (foto di Roberto Mascellani)Scala a chiocciola (foto di Roberto Mascellani)
Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…
“Chi non vede nulla di buono nell’Italia deve cambiare occhiali, oppure Paese. C’è bisogno di speranza e vitalità. Gli italiani hanno molti problemi ma anche grandi risorse. Devono quindi essere più ottimisti sul proprio futuro”.
Finalmente un libro che rende merito a un’Italia spesso bistrattata, maltrattata e criticata dalla stampa estera (e non solo), centocinquanta pagine di angoli segreti della penisola visti dai principali corrispondenti della stampa estera. Angoli con le loro peculiarità, con l’esaltazione di quei luoghi comuni sul Belpaese che diventano pregi e riflessioni affettuose, con il cuore nei rioni dei quartieri e le parole dei fornai e degli artigiani.
L’autore di questo libro, “Il bello dell’Italia. Il Belpaese visto dai corrispondenti della stampa estera”, è un olandese,Maarten van Aalderen, da quasi vent’anni corrispondente del maggior quotidiano olandese, De Telegraaf, per l’Italia e la Turchia. Le pagine contengono 25 interviste a colleghi che da anni vivono e lavorano fra Roma, Napoli e Milano, per citarne alcune. Un vero e intenso atto d’amore da parte di chi, l’Italia, la vive ogni giorno.
Così, la brasiliana Gina de Azevedo Marques, corrispondente per Globo News, che vive a Roma dal 1987, esalta l’ironia, l’autoironia, la satira e il senso dell’umorismo degli italiani, capaci di ridere di sé stessi, di sorridere dolcemente ma anche amaramente su loro difetti e vite; la turca Esma Cakir, che lavora per l’agenzia Dogan Holding, elogia la convivialità di un popolo che trasforma cibo e bevande in un’arte, che si delizia di un’alimentazione consapevole ed eccellente, come sottolinea lo spagnolo Rossend Domenech di El Periodico do Barcellona; la giornalista romena Mihaela Iordache, corrispondente di Antena 1 e 3, rimane colpita da solidarietà e volontariato, così come lo è Nacera Benali, dell’algerino El Watan. Nella sezione “Made in Italy”, il finlandese Petri Burtskv ammira la buona e intelligente ricetta di Eataly, capace di coniugare sapientemente cibo e marketing; sua eccellenza Loro Piana affascina la moscovita Elena Pouchkaraskaia, corrispondente per il quotidiano Kommersant, una storia antica di sei generazioni che spopola in Russia. Interessanti le considerazioni, nella parte intitolata “Lo splendido stivale”, sul ruolo strategico italiano nel Mediterraneo, fin dai tempi di Enrico Mattei, con particolare riferimento all’Egitto (Mahdi El Nemr); sulla bellezza di Stromboli (Peter Loewe, Svezia) o di Pantelleria (Jesper Storgaard Jensen, Danimarca). E poi ci sono le sorprese, quelle che meravigliano Elena Llorente, corrispondente dell’argentino Pagina 12 e collaboratrice di France Presse, che incrociano in ogni momento e luogo, perché in Italia, “non c’è nemmeno bisogno di viaggiare, basta camminare per le strade”; o i tesori, come il cinema colto e raffinato, passato e presente (Carmen Cordoba, Colombia) e la creatività dell’arte contemporanea (Agnieszka Zakrewicz, Polonia). La lingua, secondo l’iraniano Hamid Masoumi, è un’altra grande bellezza dell’Italia, bella di per se’, melodica e avvolgente. “Cartoline da Roma”, la città eterna che se ore si muove, se pur lentamente, chiude la serie di incontri, con bei dipinti dell’australiana Josephine McKenna sull’archeologia romana, che, come un privilegio, si regala ai più fortunati, con i colori della tipica trattoria della capitale (Tetsuro Akanegakubo, Giappone) e del parco di Villa Ada (Megan William, Canada) e, infine, con la vita di popolo della Garbatella (della giovane olandese Sarah Venema), dopo si possono ammirare giardini e persone che brulicano in case e strade. Sorte di piccoli alveari creativi che trasmettono vita. Voci, sulle colline, che chiamano a raduno una felicità che si respira in ogni angolo. Perché questo quartiere, concepito come città giardino, rappresenta la vera Italia, un giardino fiorito un po’ decadente ma sempre vivo e profumato. Una meraviglia fra le meraviglie.
Un invito, dunque, agli italiani a esser ottimisti, a vedere i propri pregi, smettendo di lamentarsi e di piangersi addosso, ritrovando la speranza, grazie alla propria forza e vitalità, come “L’Icaro caduto” di Igor Mitoraj della copertina, che sempre avvolto dagli angeli e con le loro ali, cerca, in essi e in quelle stesse ali, un po’ di pace e di serenità.
“Il bello dell’Italia. Il Belpaese visto dalla stampa estera“, di Maarten van Aalderen, Albeggi Edizioni, 2015, 151 p.
Una ragazza, un sorriso, un lenzuolo bianco con tante scritte come una bandiera aperta di libertà. E’ una delle immagini scattate dai ragazzi del presidio studentesco ferrarese di “Libera”. Le foto sono appese alle pareti del locale “381-Storie da gustare”, gestito in cooperativa per cercare di dare spazio a chi non sempre ce l’ha. Come queste foto, che raccontano il viaggio fatto dai giovani del gruppo, partiti da Ferrara per andare a Palermo a festeggiare i vent’anni dell’associazione.
“Libera” ha appena compiuto vent’anni, fondata nel marzo 1995 per promuovere legalità e giustizia coinvolgendo le persone nel sostegno di questi valori in una lotta aperta e civile contro la mafia. Il presidio studentesco cittadino si è formato poco più di un anno fa per iniziativa di allievi dell’istituto Ariosto e del liceo Roiti di Ferrara. La mostra è visibile fino a martedì 7 aprile, piazzetta Corelli 24, ore 11-15.30 e 18.30-22.30.
OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFIA
Un’immagine della mostra del presidio studentesco ferrarese di Libera in mostra al caffè 381
Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura… [clic sulla foto per ingrandirla]
Un “patchwork” è un lavoro fatto di tanti pezzi di colori, forme o materie diversi. E quello della mostra che si intitola “Patchworks”, nel salone d’ingresso del palazzo Municipale, è un lavoro fatto di immagini inedite della città e delle sue presenze femminili. Volti e luoghi inquadrati e fotografati da donne che vengono dall’Africa, dell’Est Europa o dal Sud America e che in comune hanno l’arrivo qui, in questa città, dove hanno trovato accoglienza per fuggire da violenze, schiavitù, sopraffazione. La mostra è il risultato di un progetto del Centro donna giustizia di Ferrara in collaborazione con le fotografe professioniste Ippolita Franciosi e Letizia Rossi. Una carrellata di immagini che dà forma per la prima volta alla creatività e ai pensieri di donne migranti, che raramente hanno l’occasione di raccontare la loro visione della realtà o di esprimere la propria fantasia nello spazio pubblico della città. Il titolo è in inglese perché questa è la lingua che accomuna il dialogo tra le partecipanti di varie nazionalità.
“Patchworks, the face of freedom is female” è visitabile liberamente in cima allo scalone del Municipio, a Ferrara, fino a giovedì 2 aprile.
OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFIA
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L’immagine usata anche nella locandina della mostra “Patchworks”
Un’immagine della mostra “Patchworks” in palazzo municipale di Ferrara
Una delle foto di “Patchworks”esposta fino a giovedì 2 aprile
Passi tra le nuvole. Il meteo annuncia pioggia, ma la stagione va verso la primavera. Questa composizione fotografica di Luca Pasqualini mette insieme l’energia sferzante di una svolta anche climatica e la bellezza degli addensamenti piovosi; la focosità del rosso e l’algido blu.
OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFICO
“Walking on clouds” di Luca Pasqualini
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“Picnic ad Hanging Rock” di Peter Weir stasera sul grande schermo ad Argenta. La proiezione fa parte della rassegna cinematografica legata alla mostra fotografica “Occhi di vetro nel labirinto dei giganti”, in parete al Centro culturale mercato di Argenta.
I giganti sono Michelangelo Antonioni e Stanley Kubrick, registi che, per ragioni differenti, sono intimamente legati all’universo della fotografia. Il labirinto è quello dei tanti riferimenti sottesi ai loro film e in particolare a “Blow up” e “Shining”. Gli occhi di vetro, invece, sono gli obiettivi dei 17 fotografi che hanno partecipato a due insoliti workshop fotografici, promossi da Fotoclub Ferrara e Osservatorio nazionale sulla fotografia del Comune di Ferrara, dai quali sono poi venute fuori le due mostre ora riunite negli spazi dell’ex mercato di Argenta: “Ai margini della realtà”, di inspirazione antonioniana, e “Giallo Noir e perturbante”, dedicata idealmente al film kubrickiano. Oltre 160 i pezzi in mostra a cura di Emiliano Rinaldi e Roberto Roda che, oltre alle foto, includono oggetti di scena, abiti, dipinti, sculture. Cataloghi di Sometti editore di Mantova.
Il tema dell’inquietudine, del perturbante freudiano, è quello che lega qui idealmente “Blow up” a “Shining”, nonché a altre pellicole citate nella mostra fotografica. Per questo, durante l’esposizione, il Centro culturale mercato organizza proiezioni di film, come quello di stasera, legati alla narrazione espositiva e pure alcune serate speciali dedicate a fotografi e sodalizi fotografici.
Artisti in mostra: Alfredo Castelli, Claudio Chiaverotti, Guido Crepax, Elisabetta Dell’Olio, Gianni De Val, Ferruccio Gard, Titti Garelli, Lanfranco, Arnika Laura Gerhard, Anna Silvia Randi, Plinio Martelli, Alessia Pozzi, Antonello Silverini, Silvia Vendramel, Gianfranco Vanni “Collirio”, Ivano Vitali, Matteo Zeni e altri.
Interpreti: Luna Malaguti, Laura D’Angelo, Damiano Varzella, Sarah Gabrielle Scheider, Sonia Santini, Gio Scalet, Luna Vago, Leonardo Ferrioli e altri.
Fotografi: Ilaria Borraccetti, Carlo Boschini, Deborah Boschini, Paolo Cambi, Lucia Castelli, Franca Catellani, Sara Cestari, Roberto Del Vecchio, Greta Gadda, Pieranna Gibertini, Anna Maria Mantovani, Stefano Pavani, Stefania Ricci Frabattista, Emiliano Rinaldi, Maurizio Tieghi, Luca Zampini, Nedo Zanolini.
Ingresso gratuito oggi alle 21, sala Piccolo teatro del Centro culturale Mercato, piazza Marconi 1, ad Argenta.
OGGI – IMMAGINARIO CINEMA
Occhi negli occhi in una scena di “Pic nic ad Hanging Rock” di Peter Weir
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Una mostra che vuole raccontare la comunità pachistana che vive a Portomaggiore, nel ferrarese, con un titolo significativo: “Welcome, la speranza di un’integrazione”. L’idea di fondo è quella che l’ostilità venga meno se ci si conosce un po’, quando si condividono idee o magari anche solo pane e abitudini. Significativa, allora, l’immagine di una bici in riparazione nella provincia di Ferrara, riconosciuta proprio come città delle biciclette. I fotografi ferraresi che firmano gli scatti e fanno parte del gruppo Shoot4Change sono Francesco Cavallari, Fabio Folicaldi, Erik Ghedini, Pierpaolo Giacomoni, Francesca Mascellani, Luca Zampini. Fino a sabato 7 marzo al bar-ristorante “381, Storie da gustare”, piazzetta Corelli 24 a Ferrara, ore 11-15,30 e 18,30-22,30.
OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFIA
Reportage sulla comunità ferrarese di pakistani, al bar 381 di Ferrara (foto di Erik Ghedini per Shoot4Change)
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FERRARAITALIA Testata giornalistica online d'informazione e opinione, registrazione al Tribunale di Ferrara n.30/2013
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