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Prosa classica che porta sul palco del Teatro comunale di Ferrara un’analisi lucida e serrata della società e degli umori di massa. È questo lo spettacolo offerto da “Piazza degli eroi” (Heldenplatz), al Teatro Claudio Abbado venerdì 10 dicembre, sabato 11 dicembre e domenica 12 dicembre 2021 (ore 16), che mette in scena l’ultima opera di Thomas Bernhard, pubblicata nel 1988 e considerata un testamento spirituale dello scrittore e drammaturgo austriaco.

Gli attori di “Piazza degli eroi” sul palco del Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli NIrmal)

La narrazione evoca lo spettro dei totalitarismi, la minaccia dell’oppressione antisemita ma anche contro ogni tipo di diversità e di libera opinione, che possono rendere insopportabile la vita a chi non si identifica con il pensiero dominante. “Piazza degli Eroi” scava pure dentro le relazioni di famiglia, facendo emergere piccole e grandi prevaricazioni, sentimenti contrastanti, legami che mescolano l’affetto con l’insofferenza, la costante ricerca di una serenità che sfugge ai tentativi di raggiungerla.

La figura del musicista Vincenzo Pasquariello sovraintende la scena della tavolata conclusiva di “Piazza degli eroi” (foto Marco Caselli NIrmal)

L’incedere dello spettacolo è caratterizzato poi dall’accompagnamento musicale dal vivo, affidato al pianista Vincenzo Pasquariello. La presenza del pianista è una scelta felice del regista che non era prevista nel testo originale. Il musicista sta in scena anche quando non suona, come un testimone invisibile agli attori, sempre presente sul palco, al punto da dare la sensazione di essere l’anima di tutta la storia. Il pianista incarna la musica e proprio la musica è la grande passione del protagonista. “La musica – diceva Schuster – è l’unica ragione valida per restare a Vienna”.

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La scena domestica d’apertura di “Piazza degli eroi”
Particolare del musicista (foto di Marco Caselli Nirmal)

“Piazza degli Eroi” è finalista del prestigioso Premio Ubu 2021 come ‘Spettacolo dell’anno’, e l’intensità espressa dal lavoro del regista Roberto Andò riesce a trasmettere tutta la forza critica dei suoi contenuti, come quelli del sovranismo e delle derive totalitariste, facendoli vibrare di incredibile attualità.

Fa effetto pensare che la prima rappresentazione di “Piazza degli eroi” andò in scena il 4 novembre 1988 al Burgtheater di Vienna, a poche centinaia di passi dalla piazza Heldenplatz che dà il titolo a questo lavoro e che, ovviamente, scatenò scalpore e scandalo per i temi che tira fuori, di denuncia esplicita del suo Paese e del populismo nazionalista che in quegli anni stava prendendo piede con la crescente popolarità del leader del partito conservatore Jörg Haider. Thomas Bernhard morì pochi mesi dopo, il 12 febbraio 1989, e dopo oltre trent’anni questo lavoro viene portato in scena in Italia per la prima volta.

Il direttore artistico del Teatro comunale Marcello Corvino all’incontro della compagnia con il pubblico (foto GioM)

Una scenografia tradizionale, godibile e lontana da sperimentazioni e minimalismi, immerge il pubblico nell’atmosfera di un’abitazione borghese di fine secolo. Il soggetto principale dell’opera è l’unico personaggio che non compare mai, il professore Josef Schuster che si è appena tolto la vita gettandosi dalla finestra che si affaccia sulla piazza degli Eroi. Attorno a questa figura si dipana tutta la trama, che il direttore artistico del Comunale Marcello Corvino ha paragonato a quella del “Convitato di pietra” di Puškin (1869), titolo di un’opera che è diventato ormai anche un’espressione figurata per indicare una presenza invisibile e muta, eppure continuamente incombente.

La scena iniziale del dramma (foto Marco Caselli Nirmal)

È il professore suicida, infatti, il soggetto al centro dei dialoghi di cui si compone il dramma, diviso in tre momenti. Il primo tempo è ambientato all’interno dell’appartamento borghese, in una dimensione più intima e domestica, che affida alla governante (la signora Zittel interpretata da Imma Villa) il ruolo di narratrice, molto coinvolgente e convincente nel raccontare la dimensione più privata e personale dell’uomo, dispotico e geniale, tanto preso da sé stesso e dalle sue manie di precisione e ordine, al punto da rendere la vita tanto ossessionata dalla ricerca di perfezione quanto intollerabile.

La scena ambientata in esterna che apre il secondo tempo del dramma di Thomas Bernhard (foto Marco Caselli Nirmal)

Si poi passa al momento di ambientazione esterna, dopo il funerale. Questo secondo atto è incentrato sul personaggio del fratello (Robert Schuster), interpretato dall’ottimo Renato Carpentieri, lapidario e tagliente nell’analisi di quanto accaduto e di quanto sta accadendo intorno a loro. Robert vede il mondo come una grande messa in scena, definisce “l’Europa un immenso palcoscenico” popolato da una “moltitudine di comparse che si detestano”. I riferimenti al teatro sono molto ricorrenti, nel testo, al punto da suonare come volontà di denuncia di una realtà dove ciascuno finisce per rappresentare parti e ruoli che non sempre sono congeniali o piacevoli, una messinscena dove autenticità e felicità sono chimere difficili da raggiungere.

La sena conviviale di “Piazza degli eroi” (foto Marco Caselli Nirmal)

Il terzo momento conclusivo è contraddistinto dalla scena conviviale, di grande effetto scenico, ambientata attorno alla grande tavola dei parenti riuniti, che fanno emergere la figura del padre-marito-fratello-amico nella sua dimensione familiare.

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L’attrice nell’efficace sequenza fotografica di Marco Caselli Nirmal
Betti Pedrazzi in scena
Betti Pedrazzi-signora Schuster

Il regista Roberto Andò ha raccontato di aver considerato necessario e urgente rimettere in scena questa pièce, come testo “visionario e catastrofico” di un qualcosa che per lui ha una valenza ben più ampia dei confini geografici e temporali entro i quali è ambientata. L’attore Renato Carpentieri – nell’incontro con il pubblico ferrarese di sabato 11 dicembre – ha definito l’opera “l’analisi lucida di un autore come Bernhard che, arrivato alla fine della propria vita, si guarda intorno ed esprime i suoi giudizi con chiarezza, consapevole di essere arrivato al punto di poter dire quello che pensa. Così usa la prosa come un cavatappi, che scava e scava. Non è che ce l’abbia con qualcuno, si guarda intorno e racconta con lucidità le magagne che vede e di cui non si fa più scrupolo a dare la sua libera opinione”.

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Renato Carpentieri
L’attore in scena
Carpentieri-Schuster ritratto da Marco Caselli Nirmal

Il messaggio di radicale drammaticità di “Piazza degli Eroi” – si legge nelle note di regia – suscitò nel pubblico della prima rappresentazione di quest’opera di Bernhard “un’emozione talmente intensa da risultare insopportabile”. E la sensazione resta attuale, sia a livello politico sia a livello personale, forse persino esistenziale.

L’incontro con la compagnia nella tarda mattinata di sabato è stato un regalo che ancora una volta il Teatro Comunale ha organizzato, libero e aperto a tutti i cittadini. Quest’occasione ha consentito di entrare nelle pieghe dell’interpretazione, attraverso la spiegazione e i contributi di confronto diretto con gli attori, che hanno fatto loro i caratteri dei diversi personaggi, incarnandoli e sentendo sulla loro pelle sia le ragioni sia l’emotività più profonda di ogni carattere. Alla luce di queste ulteriori suggestioni, esco in strada fuori dal Ridotto del Teatro di Ferrara in una giornata di sole novembrino, e mi tornano in mente i versi di Eugenio Montale, che in “Ossi di seppia” ha saputo rendere con tanta poetica efficacia questo tipo di sensazioni: “E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com’è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”.

Cover e foto nel testo di Marco Caselli Nirmal

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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