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Calarsi nei panni di un bambino, che vive nel quartiere più multietnico di Parigi, in un buco di casa arrampicato al sesto piano di un palazzo della periferia, tra prostitute e travestiti, e guardare il mondo provando insieme a lui tutte le emozioni più profonde: un disperato bisogno d’affetto, divertimento comico, scoperte, paura dell’abbandono, commozione, senso di inadeguatezza, istinto di nascondersi, ma allo stesso tempo una voglia disperata di essere preso in considerazione. È una situazione lontana anni luce dallo scintillio degli Champs Elysées e dagli ambienti alla House of Cards, quella messa in scena da Silvio Orlando come interprete unico de “La vita davanti a sé”. L’opera, da lui stesso diretta e adattata partendo dal romanzo omonimo di Romain Gary, in scena sul palco del Teatro Comunale di Ferrara da giovedì 18 a domenica 21 novembre 2021.

Silvio Orlando ne “La vita davanti a sé” sul palco del Teatro Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

“Di solito non mi piacciono le letture di testi narrativi – ha spiegato Silvio Orlando nell’incontro con il pubblico che si è tenuto sabato 20 novembre nel Ridotto del Comunale – ma tutto questo è nato proprio dalle pagine che mi chiesero di leggere al Festival della spiritualità di Torino del 2017. E quel romanzo da allora mi si è attaccato al cervello come un virus e, grazie al virus della pandemia, ho trovato il tempo e l’occasione per lavorarci su. Il musicista Simone Campa, che è con me sul palco e dirige l’orchestra Terra Madre, è l’unico superstite del gruppo che era con me a Torino, e l’opera si sviluppa insieme alla musica”.

Silvio Orlando durante l’incontro con il pubblico al Ridotto del Comunale (foto GioM)

La rappresentazione è tutta incentrata sull’interpretazione di Silvio Orlando, che si mette nei panni del bambino arabo di dieci anni (“l’ultimo degli ultimi”), ma anche di tutti gli altri personaggi che via via compaiono nel racconto. In questo l’attore riesce a passare con disinvoltura dal broncio del ragazzino alle pose della ex prostituta ebrea di origini polacche Madame Rosa (“95 chili, uno più brutto dell’altro”), fino all’espressione spettrale dell’ipotetico padre e all’evocazione della vezzosa e muscolosa Madame Lola, senegalese passata dal ring della boxe ai viali del Bois de Boulogne, facendo vivere allo spettatore tutta l’emozione e l’intensità di questi personaggi e di questi incontri. Lo spettatore riesce a crearsi un’immagine viva, forte e densa per ogni carattere, grazie alle parole e alle espressioni di Silvio Orlando. La naturalezza della recitazione è tale che rende concreta ogni visione, facendo dimenticare che in scena c’è un’unica persona, che ne evoca così tante e svariate.

Kaw Sissoko al Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

Lo spettacolo è accompagnato dalla musica diretta da Simone Campa, che ne è anche interprete alla chitarra e alle percussioni, insieme con Gianni Denitto al clarinetto e sax, Maurizio Pala alla fisarmonica e il senegalese Kaw Sissoko che suona un enorme strumento costruito con una zucca vuota e corde da pesca (kora) e un tamburo africano (djembe).

Silvio Orlando con l’orchestra Terra Madre sul palco del Teatro Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

“La musica arriva dove non arriva la parola”, ha sottolineato il direttore artistico del teatro, Marcello Corvino, nei panni di moderatore dell’incontro con il pubblico e che, nel bel mezzo della sala affollata dagli spettatori venuti ad ascoltare la compagnia, tira fuori il violino e si mette a suonare in una travolgente e improvvisata sessione, che vede il contributo anche di Silvio Orlando perfettamente a suo agio al flauto traverso.

“Da ragazzo credevo che la musica fosse la mia vocazione – ha raccontato sempre pieno di autoironia l’attore – e suonavo con molta partecipazione e convinzione a tutte le manifestazioni studentesche, dove gridavo il mio impegno interpretando con molto trasporto gli Inti-Illimani. È da lì che un mio amico ha visto in me un grande talento, comico però, e praticamente mi ha obbligato a recitare. Così la mia carriera musicale si è interrotta!”.

Silvio Orlando suona con i musicisti al Teatro Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

Poi Orlando ha spiegato come l’incontro con questo testo sia stato per lui un’illuminazione. La storia – come si legge nella scheda descrittiva – è quella di “Momò, bimbo arabo di dieci anni che vive nel quartiere multietnico di Belleville nella pensione di Madame Rosa, anziana ex prostituta ebrea che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli ‘incidenti sul lavoro’ delle colleghe più giovani”. L’autore del romanzo, Romain Gary – fa notare l’attore – era a sua volta “un immigrato, arrivato in Francia dalla Lituania, perché sua madre aveva il mito di Parigi, come il posto dove, chi ha talento e impegno, può diventare quello che vuole. E in effetti lì, Gary, raggiunge tutto ciò che può desiderare di diventare: diplomatico, attore, scrittore e vincitore del premio Goncourt. Ma al culmine della carriera, quando ormai lo davano per decotto, trova la voglia di debuttare di nuovo, scrivendo sotto pseudonimo la storia di un clandestino arabo, figlio di una prostituta morta, costantemente diviso tra il bisogno di nascondersi e la voglia di farsi notare. Una storia che racconta che un’altra possibilità di stare al mondo c’è. I migranti sono un po’ come le api: ci sembrano un fastidio, poi scopriamo che senza di loro l’umanità non avrebbe molto tempo per cessare di esistere”.

Silvio Orlando ne “La vita davanti a sé” sul palco del Teatro Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

La visione che viene fuori – ha sottolineato Orlando – è quella che esce dagli occhi di un bambino, questo romanzo “non è solo un racconto o la storia di immigrati, è la creazione di un mondo, di un universo infantile”.

Locandina de “La vita davanti a sé” sotto i portici del Teatro Comunale di Ferrara (foto GioM)

Quando una signora del pubblico ha fatto notare che a teatro, così come davanti alle pagine del libro, la storia riesce ad acquistare un significato più universale di quello che può offrire una trasposizione cinematografica, l’attore ha concordato: “Il fatto di essere in scena a fare tutti i personaggi ti aiuta a non essere didascalico, usi la parola e la fantasia per trasportare il pubblico in un mondo immaginario. In questo il teatro è più vicino alla letteratura, fa evocare delle immagini dentro ciascuno di noi, a differenza di quanto accade al cinema dove figure e situazioni sono ben definiti”.

MUSICA IN REGALO – Nel breve filmato sotto si può ascoltare un assaggio del brano della tradizione ebraica, basato sul terzo salmo, improvvisata davanti al pubblico del Ridotto del teatro Comunale di Ferrara  dall’Orchestra Terra Madre insieme con Silvio Orlando e con il direttore artistico Marcello Corvino 

La musica – come ha commentato Corvino – è un elemento fondamentale, che “accompagna lo spettatore in questo viaggio, trasferendolo nei luoghi d’origine dei personaggi, ma anche nella Francia di Belleville”. Suoni che evocano mondi e situazioni e fanno entrare nell’intensità delle vibrazioni e delle emozioni di questa vicenda umana, toccante, coinvolgente e divertente. La dimostrazione di ciò si ha davanti al palco del teatro Claudio Abbado, così come nella sala del Ridotto del teatro: la musica trasporta in una dimensione altra, dominata dalle emozioni, dal sentirsi tutt’uno con qualcosa che senti dentro e che può trasformare un uomo con i capelli grigi in un bimbo di dieci anni o in un’anziana signora.

E gli applausi confermano la realizzazione dell’incanto: alla luce ovattata del Teatro così come in quella di pieno giorno del suo Ridotto.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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