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Da: Teatro Nucleo PonteLagoscuro

Il Festival di Internazionale incontra il Carcere
Il Teatro della Casa Circondariale di Ferrara presenta lo spettacolo

“Me che libero nacqui al carcer danno”

Giovedì 29 settembre h 20,30 – Venerdì 30 settembre 2016 h 17,30

Gli spettacoli sono aperti al pubblico cittadino, per partecipare iscriversi al seguente link:

http://www.teatronucleo.org/29-30- settembre-teatro- carcere-nellambito- del- festival-di- internazionale/

A causa del tempo necessario per l’autorizzazione all’ingresso si prega di iscriversi tempestivamente.

Drammaturgia sulla “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso.
Con gli attori detenuti nella Casa Circondariale di Ferrara Lester Batista Santisteban, Lefter Culi, Sotirios Kalantzis, Edin Ticic, Federico Fantoni, Desmond Blackmore
Regia Horacio Czertok
Formatore Davide Della Chiara
Assistenti Nicola Schincaglia, Alessandro Primavera
Musiche originali di Claudio Monteverdi e di Federico Fantoni, elaborazioni a cura di
Gianfranco Placci. In collaborazione con il Conservatorio “Girolamo Frescobaldi” di Ferrara
Costumi Maria Ziosi
Video Marinella Rescigno.
Produzione Teatro Nucleo
Nell’ambito del progetto del Coordinamento Regionale Teatro-Carcere, con il patrocinio del Comune di Ferrara, Regione E-R, ASP Ferrara.

Lo spettacolo

O musa / rischiara il mio canto
Torquato Tasso

Ecco la trama leggera che struttura il nostro lavoro: nella sua cella al Sant’Anna i compagni di prigione di Torquato Tasso incarnano i versi del suo Canto, per aiutarlo a combattere la tristezza in cui lo ha precipitato la decisione del duca, di incarcerarlo. Studiando il Tasso dove Goethe esplora i difficili rapporti tra poeta e committente troviamo questo verso, che il sommo tedesco attribuisce al Nostro: me che libero nacqui al carcer danno. Sarà il nostro titolo. Dalla Gerusalemme abbiamo scelto il “Combattimento di Tancredi e Clorinda”. Vi troviamo l’essenza della tragedia. Combattere senza requie né respiro contro un altro 2 che ci appare un nemico mortale e che ne dà a noi quante ne prende. Finché uno cade affogato nel proprio sangue. E quando la pietà si impone sopra la soddisfazione della vittoria, dell’avercela fatta, scoprire che hai ucciso ciò che più al mondo ami, ciò che fino a quel momento ha dato senso al tuo esistere. Che la vittoria era anche, esattamente, una sconfitta. Oltre al Tasso vi é Monteverdi e la nascita dell’opera lirica, dove per la prima volta degli attori cantano e agiscono. Una grande sfida: così facciamo da sempre nel nostro teatro, con gli attori, detenuti o meno. Deve sembrare e deve anche essere così alta da far paura. La fiducia che c’è tra di noi funziona da supporto. Quando leggiamo per la prima volta il testo, si fa un silenzio pieno di incredulità. Non ci abbiamo capito niente. Per giunta più della metà dei detenuti conoscono poco l’italiano, ma anche gli italiani conoscono poco la loro propria lingua. Non possiamo semplificare? qualcuno osa proporre. Usare l’italiano corrente, così si capisce. Nasce una bellissima discussione su cos’è capire, sulla storia, sul racconto. Cosa c’è da capire? La storia si racconta così in fretta che finisce subito. Ma nella discussione affiora tanto altro. E poi, alle porte di Gerusalemme ancora oggi i cugini – discendenti di Isacco e di Ismaele- continuano a massacrarsi per fare gli affari di tanti e il diletto di chi, avendo provocato la situazione con la Shoah, ora si arroga il diritto di dare lezioni di comportamento. Cosa c’è da capire? La complessità con cui ci viene raccontata la cosa impone la riflessione su molti livelli. Capiamo la sapienza del poeta nel scegliere e fare lavorare le parole e la metrica per costruire immagini e sentimenti. Tutto è lì, in quelle sedici ottave, un messaggio in codice che dobbiamo scoprire. Di storie ne sentiamo tante oggi, dai media, persino da certe pubblicità ben costruite –le migliori menti della nostra generazione oggi lavorano per la pubblicità, mica per l’opera lirica. Là nel profondo ‘600 Tasso aveva solo quello per mostrare tanto; perciò ogni parola è impregnata, ogni parola conta: ogni parola canta, ogni parola lìbera. Il progetto Teatro Nucleo ha iniziato Il progetto teatro nella Casa Circondariale di Ferrara nel 2005 e d’allora è continuato ininterrottamente.
Due e paralleli sono i lavori in corso. Anzi, tre sono.
Primo: Il prosieguo del lavoro pedagogico. La formazione è essenziale. Per divenire attori le persone detenute devono crearsi una cultura scenica, superare schemi comportamentali legati ad archetipi culturali tanto definiti quanto inconsapevoli, sui quali possono agire per produrre consapevolezza e cambiamento, processi utili non solo per la scena.
Secondo: Di concerto con altre sei realtà regionali per il progetto collettivo “Stanze del teatro carcere” del Coordinamento Regionale Teatro Carcere (Associazione dei teatri- carcere, Regione Emilia Romagna, Prap e Università di Bologna) ha aperto un cantiere sulla “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso. I teatri associati hanno prodotto spettacoli ispirati a quell’opera in sei carceri regionali. Ci si è misurati con lo straordinario sforzo compiuto dal poeta, elevandosi alla sua altezza, entrando nel suo universo di immagini, nel suo laboratorio del linguaggio. Terzo: è il lavoro per creare una metodologia utile a migliorare l’efficacia dell’alfabetizzazione in carcere utilizzando il teatro. Collaboriamo, tramite il partenariato strategico KA2 “Arte di leggere” nell’ambito del programma europeo Erasmus +, del quale siamo coordinatori, con partner della Germania e della Spagna, il monitoraggio scientifico dell’Università di Liegi (Belgio), e con l’associazione Alpha Centauri.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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