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Per una curiosa come me, amante dei giardini, lo scorso fine settimana nella mia città, Ferrara, era un’opportunità troppo ghiotta. Un’occasione da non lasciarsi assolutamente sfuggire, per nulla al mondo, come si direbbe. La manifestazione sui Giardini estensi, di cui abbiamo parlato [vedi], avrebbe, infatti, avvolto la città di colori e di profumi. Le avrebbe dato quella luce che un po’ mancava, perché le nuvole passeggiavano per un cielo imbronciato che, tuttavia, si manteneva silenzioso e discreto e non osava piangere. Il tempo reggeva, qualche nuvoletta non avrebbe fermato la mia avanzata verso il verde. Fra una peonia, una margherita, una rosa, una petunia e un’orchidea, volevo assolutamente vedere uno dei giardini privati aperti per l’occasione, uno di quei posti che mi attirava come il miele un un orso, un miele dolce e profumato. Quel giardino m’incuriosiva, in tanti anni non ero riuscita mai a entrarvi. Dovevo vederlo, ora. Parlo del bellissimo giardino di palazzo Scroffa, in via Terranuova, che nel week end sarebbe stato aperto al pubblico per una mostra di quadri di Ludovica Scroffa, una dei proprietari di quella meraviglia.

Il palazzo era stato edificato fra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, come testimonia l’iscrizione di Giovanni Bellaja, datata 2 agosto 1503, rinvenuta nel sottotetto dell’edificio durante i lavori di ristrutturazione resisi necessari dal terremoto del 2012. Si estendeva da via Terranuova a via Vecchie, includendo abitazioni e scuderie. A metà del ‘600, parte del complesso fu acquistato dal conte Giuseppe Scroffa, trasferitosi da Vicenza. Alcuni studiosi di araldica ritengono che la famiglia derivasse dallo stesso ceppo degli Scrovegni di Padova. Quello che è certo è che un ramo di essa si trasferì a Ferrara nel XVII secolo, e qui, l’8 maggio 1677, un conte Giuseppe, con deliberazione del magistrato decemvirale, ottenne la cittadinanza ferrarese. Agli inizi del ‘900, la famiglia Scroffa divenne proprietaria dell’intero stabile di via Terranuova e ridisegnò il giardino nella configurazione attuale.
Qui si possono ammirare piante secolari, il Gingkobiloba e il folto Cercis Siliquastrum (o albero di Giuda), dal diametro di oltre 4 metri e dai fiori color rosa vivace, oltre che piante di ogni tipo, amorevolmente e attentamente curate dal proprietario, il conte Francesco. Rose, iris, glicini, sicomori, peonie, agapanti, nasturzi, tulipani, camelie, plumbago, orchidee e gardenie.
In questo posto magico, incontro sia Francesco che Ludovica, entrambi molto gentili e disponibili, come solo le persone dal cuore generoso sanno essere. Francesco cura personalmente questo giardino, che lui stesso definisce il giardino segreto. E questo mi fa tornare alla memoria uno dei miei libri preferiti, l’omonimo racconto di Frances Hodgson Burnett. Come non innamorarsi subito di questo posto…

Documentandomi un po’, scopro che i due fratelli sono i nipoti di Edoardo Scroffa, penultimo Conte di Pentolina, borgo medievale a sud-ovest di Siena. In effetti, Ludovica, con la quale mi sono intrattenuta a chiacchierare nel mezzo di quel giardino magnifico, mi ha parlato di Pentolina, e di quando, da piccola, con la nonna, aveva imparato a dipingere la natura in quella tenuta estesa della campagna toscana. Nel tono della sua voce e nei suoi occhi, ho percepito la forza di quei colori e di quei ricordi. Me la sono immaginata giovane, bella, serena e tenace, intenta a dipingere i suoi fiori con la leggerezza dei suoi pensieri e il vento fra i lunghi capelli chiari. L’ho vista correre fra le colline sinuose, alla ricerca di un fiore prezioso da pressare per riprodurlo fedelmente qualche settimana dopo. Sì, perché la tecnica di Ludovica, oggi, parte proprio dalle foglie e dai fiori pressati, colorati nella parte posteriore e appoggiati delicatamente sulla tela, per lasciare un’impronta reale ma arricchita da una fantasia molto personale. Quasi una traccia leggera che vuole lasciare un ricordo di sé che può, però, variare le sensazioni dello spettatore, perché lui saprà cogliere le proprie sfumature e tracce, quelle a lui più congeniali. I quadri che Ludovica Scroffa espone nel suo giardino ferrarese, un’artista che vive tra la città estense e Firenze, sono immersi in esso, quasi a perdersi con esso. Infinitamente.

Quando si varca la soglia dell’imponente portone, si è affascinati da colonne, antichi porticati e lanterne che accolgono il visitatore e lo introducono in un mondo incantato.

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Giardino di palazzo Scroffa – Foto FeDetails

L’esplosione di colori è immediata, colpisce subito il violetto, e gli alberi imponenti che guidano verso un angolo nascosto. Rose rosse ci attraggono, quello che meraviglie è che vicino ad esse, piantine di pomodori fanno capolino quasi a volerci dire che il rosso è sempre rosso, poco importa da dove arriva. Ludovica, mentre mi parla, mi offre delle fragole (e questo mi riporta ancora al colore rosso, un gesto gentile e spontaneo che mi piace davvero tantissimo). In una bella corrispondenza di sensazioni e dolce armonia, mi confessa di avere iniziato a dipingere con la voglia di portare la natura nelle case, lei che è natura pura nelle curve di pennellate delicate che disegnano ombre di storie felici. Anche la sua piccola pronipote pare avere ereditato quella passione per la pittura, e per mano, così come avevano fatto con lei, passeggiano per il giardino fiorito, in cerca d’ispirazione. Un’ispirazione che arriva a chiunque voglia entrare in quella favola. Su un tavolino di una delle sale che si affacciano sul giardino, vi è un libro per lasciare firme e commenti. Mi sono permessa di annotare una sola cosa: “Un angolo di paradiso, dove un angelo dipinge”. Questo è, se vi pare.

Galleria fotografica a cura di Simonetta Sandri.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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