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13 Gennaio 2014

Transenne

Tempo di lettura: 2 minuti


transenne-natalizie

Avendo trascorso per intero le ultime festività a trastullarmi in occupazioni propedeutiche all’insorgenza di malattie cardiovascolari, cioè a dire a mangiare come un ludro, non ho avuto occasione di frequentare il centro storico di Ferrara. Così, proprio ier l’altro ho portato i miei quattro chili in più a fare un giretto per la città. I quali quattro chili sono rimasti fortemente impressionati, devo dire, quando, proprio davanti al grifo in pietra rossa che osservava il tutto con l’aria paziente di chi ne ha visti di tutti i colori nella sua quasi millenaria vita, hanno intravisto l’abete che troneggiava ancora in un angoletto di piazza Duomo. Circondato tondo tondo di vezzose riproduzioni in chiave futurista della slitta di babbo Natale, affettuosamente soprannominate transenne zincate dalla popolazione autoctona, e graziosamente agghindate con festoni luminescenti bianchi e rossi, familiarmente detti catarifrangenti, vieppiù impreziositi dalle scritte criptiche “Comune di Ferrara – U.O. Mobilità e Infrastrutture”. Che, tradotte dal linguaggio babbonatalesco, costituiscono un caloroso messaggio di saluto ai tanti turisti in visita: ‘Benvenuti nel centro storico della città Patrimonio dell’Umanità, piaciuto l’ambaradan?’
I sofisti sempre a caccia del pelo nell’uovo potrebbero magari trovare stridente o, per dirla ancora più grossa, intollerabile il contrasto fra le superbe architetture rinascimentali della piazza e l’essenziale corona ferrea che rinserrava la sparuta pianta; ma le due cose ben rappresentano lo spirito pratico dei ferraresi, che sono gente che, venendo dalla campagna, è abituata a badare al sodo e non sta tanto lì a spaccare il capello in quattro: l’importante è che sotto le Feste ci sia il suo bell’albero di Natale a farci la sua porca figura in piazza, come tradizione comanda, il resto son puttanate. Filosofia di vita evidentemente apprezzata dal nuovo vescovo della città, che pure nel recente passato non aveva mancato di rimarcare con asprezza taluni aspetti di degrado presenti proprio davanti alla cattedrale, e che stavolta non ha invece avuto nulla a che ridire.
Il che significa che il presule si è già perfettamente integrato nel caloroso clima casereccio che si respira a Ferrara. Buon post-Natale ai lettori dai miei quattro chili in più, forse cinque.

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Andrea Poli

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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