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Tutte le grandi questioni, quelle che incidono sulla vita di noi cittadini, meritano i dovuti approfondimenti. La stampa e la televisione dovrebbero rappresentare i luoghi nei quali tali temi e i loro approfondimenti trovano naturale sfogo, affinché le informazioni arrivino a tutti cittadini che saranno poi eventualmente chiamati a esprimere la propria volontà. Quest’anno accadrà riguardo due questioni: se continuare ad autorizzare le trivellazioni, cioè continuare a estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine, e sulle riforme costituzionali volute dal nostro Presidente del Consiglio e dal Ministro Boschi, a seconda di come andrà il voto alla Camera in aprile, anche se Renzi ha dichiarato di volere in ogni caso il referendum, quindi l’approvazione popolare.
Sono decisioni importanti, che presuppongono un ampio dibattito; è necessario farsi un’idea, su argomenti di tale portata le opinioni possono essere diverse e tutte meriterebbero ampio spazio. E’ necessario appropriarsi (o riappropriarsi) della capacità e della voglia di partecipazione, che deve tornare a essere parte della nostra vita quotidiana. Inoltre le grandi questioni devono tornare a far parte del nostro patrimonio dialettico. Forse nella vita di uno Stato ci sono momenti di democrazia talmente evidenti e conclamati, che possiamo permetterci di distrarci e lasciar fare ai nostri rappresentanti, ma non mi sembra questo il caso. E allora diamoci da fare, partecipiamo, studiamo e interveniamo per colmare spazi che stanno diventando troppo ampi tra il cittadino e le decisioni politiche.

Marco Mori esercita la sua professione di avvocato prevalentemente sul foro di Genova. E’ uno studioso della Costituzione e dei trattati internazionali, nonché promotore di varie iniziative a tutela dei diritti dei cittadini, ma si occupa anche di economia, partendo sempre dai bisogni comuni, tenendo presente che legislazione ed economia devono lavorare per il bene supremo dell’interesse pubblico.
A febbraio ha pubblicato “Il tramonto della democrazia. Analisi giuridica della genesi di una dittatura europea”: si parla della nascita della Costituzione Italiana, spaziando dalle opinioni dei Padri Costituenti al modello economico che questi si prefiggevano per la futura Italia, dall’analisi dei trattati europei alle implicazioni della loro introduzione nella legislazione italiana, non solo da un punto di vista giuridico, ma anche di aspettative e impatto sulla nostra vita quotidiana.
E’ quello che si può definire un ‘bel libro’, da non far mancare nella libreria personale.

Marco, il tuo libro parla di Costituzione, di diritto e di diritti a tratti violati, ma non è solo per addetti ai lavori. Io l’ho letto di getto, quasi di corsa, mentre qualcun altro mi ha detto che ci sarebbe addirittura della poesia, cosa ne pensi?
Intanto grazie, grazie di cuore. Lo scopo era consentire anche ai non addetti ai lavori di comprendere profondamente le fondamenta, i valori su cui si basa la nostra democrazia, per poi confrontarli con quelli, diametralmente opposti, alla base della dittatura europea. I verbali dell’Assemblea Costituente effettivamente hanno qualcosa di poetico, esprimono i massimi valori di cui la società umana è stata capace, troppo elevato il pensiero dei fondatori rispetto alla nullità culturale dell’attuale classe politica.

Tu riporti i verbali che raccontano il percorso di stesura della Costituzione e li affianchi ai tuoi ragionamenti mettendo in contrasto il pensiero e gli intendimenti dei Padri Costituenti con l’introduzione dei trattati europei. Perché li ritieni non in linea con il loro pensiero?
I verbali parlano appunto da soli. Il modello neoliberista, fulcro dell’Ue, non solo era stato cassato dai Costituenti, ma era unanimemente considerato come la causa della Seconda Guerra Mondiale. Le violente crisi economiche provocate da un mercato senza regole furono il terreno fertile per la crescita dei nazionalismi e il verificarsi del conflitto. Si voleva dunque che lo Stato controllasse, coordinasse e disciplinasse l’economia affinché l’egoismo umano non potesse mai contravvenire al pubblico interesse.

Dal punto di vista giuridico, perché i trattati europei sono in contrasto con il dettato Costituzionale?
A monte i trattati sono cessioni a titolo definitivo di quote della nostra sovranità e dunque radicalmente incompatibili con gli artt. 1, 11 e 139 della Costituzione. I Padri Fondatori, riaffermando la sovranità e l’indipendenza nazionale, acconsentirono unicamente alle limitazioni di sovranità necessarie, in condizioni di reciprocità tra le nazioni, per l’adesione dell’Italia a un ordinamento internazionale che assicurasse la pace e la giustizia. La norma era pensata unicamente per le Nazioni Unite, non contemplava minimamente le cessioni di sovranità in materia economica e monetaria compiute. Peraltro, una limitazione di sovranità è, a prescindere, qualcosa di molto diverso da una cessione, che anzi è un delitto contro la personalità dello Stato sanzionato dal codice penale vigente (artt. 241 e ss). Cedere sovranità significa conferire a terzi il potere d’imperio dello Stato spogliandosi della facoltà di esercitarlo. In ogni caso, anche superata la differenza cessioni-limitazioni, i trattati sono incostituzionali anche nel merito del loro contenuto: il trionfo di quel modello economico neoliberista cassato nella Costituzione del 1948 (artt. 41-47). La Carta costituzionale non si fonda sull’assurdo concetto della competitività, ma su quello della solidarietà economica, politica e sociale (art. 2). Chiariamo infine, come specifico nel mio libro, che i principi fondamentali della Costituzione prevalgono sui trattati, come ribadito ancora in una recente sentenza della Corte Costituzionale.

Ultimamente si parla molto di risparmio non tutelato da parte dello Stato. Anche qui la Costituzione aveva provveduto con l’Art. 47.
L’articolo 47 nasce in un contesto molto diverso da quello attuale. Se i Padri Fondatori avessero già avuto a disposizione l’attuale moneta fiat (moneta non legata all’oro, n.d.a.), avrebbero sicuramente codificato la norma con ancora più chiarezza. Nonostante ciò, l’art. 47 esprime due concetti fondamentali: l’obbligo di creare il risparmio e l’obbligo di coordinare, controllare e disciplinare il credito. La Repubblica dunque non può subire i capricci della finanza, dovendo disporre della piena sovranità monetaria, oggi perduta in forza ai trattati; inoltre non può adottare il pareggio in bilancio. La creazione di risparmio, infatti, è possibile solo con politiche di deficit nel lungo periodo. Mi spiego meglio. Se uno Stato immette moneta nell’economia con la spesa pubblica, per creare risparmio diffuso e lasciare moneta nelle mani dei cittadini, dovrà tassare decisamente meno di quanto ha speso. La creazione di moneta telematica da parte delle banche commerciali non crea risparmio nel lungo periodo poiché ogni prestito va restituito maggiorato degli interessi. Le banche commerciali tamponano le politiche dello Stato opposte al dettato dell’art. 47, solo fino a quando aumentano il totale dei prestiti. Neppure le esportazioni possono consentirci di recuperare moneta all’infinito poiché presuppongono che le altre nazioni adottino politiche monetarie perennemente espansive. Se tutto il mondo esporta chi mai importerà? Forse i marziani? Il Governo Monti, oltre a distruggere l’economia nazionale demolendo volontariamente la domanda interna con politiche di recrudescenza fiscale, ha addirittura modificato l’art. 81, inserendo il pareggio in bilancio in Costituzione: per la prima volta nella storia abbiamo un contrasto evidente tra norme costituzionali, l’art. 47 e l’art. 81 sono tra loro opposti. L’inserimento del pareggio in bilancio è stato un vero attentato alla Costituzione, anche perché con il pareggio lo Stato non può più perseguire la tutela dei diritti inviolabili della persona a partire dal lavoro.

Quando viene meno la sovranità territoriale si può ancora parlare di Stato?
No. I tre elementi indispensabili e fondanti di uno Stato sono il popolo, il territorio e la sovranità. Senza uno solo di essi lo Stato non esiste più. Oggi l’Italia, in virtù delle illecite cessioni di sovranità compiute non è più definibile con il termine Stato.

Dell’art. 243 del codice penale parli anche durante le tue conferenze. Di cosa si tratta? È su questo articolo che si basa la denuncia presente sul tuo sito?
La denuncia si basa sul concetto, assai banale, che se si cede la sovranità si compie un delitto contro la personalità dello Stato. L’art. 241 del Codice penale che puniva pacificamente la menomazione dell’indipendenza e della sovranità è stato sorprendentemente modificato nel 2006. Oggi, ai sensi di questa norma, per commettere reato, serve che la cessione di sovranità sia stata imposta con la violenza. Tuttavia la violenza è anche la coercizione, la crisi economica. E’ lo strumento con cui ci obbligano fisicamente a cedere sovranità, lo ha dichiarato Monti.
Anche non aderendo a tale impostazione giuridica, la punibilità delle cessioni di sovranità commesse con i trattati europei sarebbe possibile comunque in forza dell’art. 243 del Codice penale. Tale norma punisce anche i meri accordi (atti d’intelligenza), tra cui rientrano anche i trattati internazionali, diretti a compiere atti ostili contro lo Stato. La menomazione della sovranità è l’atto più ostile possibile contro la personalità giuridica dello Stato.

La nostra Costituzione è democratica, ma c’è ancora democrazia in Europa? E se mi risponderai di no, come presumo, in quali articoli questa scarsezza di democrazia europea contrasta con la piena democrazia espressa invece dal nostro dettato costituzionale?
La democrazia è tramontata. Non c’è più, proprio come dico nel libro. Oggi viviamo in una dittatura finanziaria, è l’ora che questo si comprenda: una nuova forma, decisamente più subdola, ma altrettanto feroce, di totalitarismo.
Il fulcro di una democrazia è il Parlamento, il luogo in cui i rappresentati del popolo legiferano nel dibattito e nel confronto, senza alcuna fretta peraltro. Ogni dittatura vuole svilire il ruolo del Parlamento per rafforzare quello dell’esecutivo, in una dittatura le leggi si scrivono lontano dalla volontà del popolo. In Italia, per prassi avallata da alcuni Presidenti della Repubblica, si abusa costantemente dello strumento del decreto legge, non ricordando che l’attività legislativa del governo è addirittura vietata. Ai sensi dell’art. 77 della Costituzione: “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere emanare decreti aventi forza di legge”. Eccezione è solo la decretazione d’urgenza, che però aveva il paletto della straordinarietà, dell’urgenza dell’evento giustificativo, nonché della successiva verifica del Parlamento. Oggi in Parlamento siedono i nominati delle segreterie di partito e dunque la conversione del decreto legge è atto imposto dall’esecutivo. Il Governo così usa il decreto d’urgenza per tutto, proprio perché non ostacolato dagli organi di garanzia istituzionali.
Tornando alla domanda e dunque all’Europa, lì si è fatto peggio: si è addirittura tolto il potere legislativo al Parlamento, che agisce come un inutile notaio in differita. L’iniziativa legislativa è propria della Commissione Europea, organo non eletto direttamente dai cittadini, e per legge assolutamente indipendente dalla politica che non può più intervenire. Se si leggono i verbali della Costituente sul ruolo del Parlamento viene davvero il magone, hanno vergognosamente tradito i milioni di caduti per la libertà.

La nostra Costituzione dà centralità al Parlamento, le nuove riforme in atto vanno in una diversa direzione. Cosa ci guadagniamo o cosa ci perdiamo?
La riforma, di cui parla splendidamente l’avvocato Giuseppe Palma nel libro “Figli Destituenti”, tende proprio a rendere legale la prassi illegittima in corso, subordinando definitivamente il potere legislativo all’esecutivo. L’Italicum, sommato all’abolizione del sistema bicamerale perfetto, accentra i poteri sul partito che prenderà anche un solo voto in più degli altri. Chi è minoranza relativa nel paese legifererà a suo piacimento e avrà il controllo degli organi di garanzia dello Stato, mettendo una sua maggioranza in Corte Costituzionale e nominando, anche da solo, il Presidente della Repubblica. Neppure il Fascismo, con la storica legge Acerbo, osò tanto. Basti pensare che, almeno, la legge elettorale fascista prevedeva il voto di preferenza. Tutto questo viene fatto perché l’esecutivo non incontri ostacoli da parte del Parlamento per approvare le leggi che, via via, Bruxelles commissionerà.

Nel libro scrivi, parafrasando un ex Presidente del Consiglio a cui hai dedicato il retro della copertina, che le riforme si basano sulle crisi. Cosa vuol dire?
Come ti dicevo la sofferenza causata dalla crisi economica diventa così forte da convincere il popolo a fare le riforme e in particolare alla rinuncia a resistere alla cessione di sovranità e al proprio senso di appartenenza. Questo è ciò che ebbe il coraggio di dichiarare espressamente Mario Monti, una frase di natura così eversiva da essere ancora oggi senza paragoni nella storia della Repubblica, malgrado anche Napolitano prima, e Mattarella poi, abbiano provato a porsi su livelli di illegalità molto vicini, parimenti invocando le cessioni di sovranità.

In più occasioni scrivi della necessità dell’intervento e del controllo statale nell’economia, intendi una sorta di pianificazione di tipo sovietico?
Ti risponderò citando le parole dell’On. Ghidini, che nel 1947 così rispose alla stessa domanda:
“È possibile parlare di un progetto social-comunista quando si afferma all’articolo 38 che la proprietà privata è assicurata e garantita e all’articolo 39 che l’iniziativa privata è libera?
Non è dunque un progetto social-comunista. È vero che sono affermati vincoli e limiti al diritto di proprietà. Ci sono limiti, perché non si vuole che si formino delle grandi concentrazioni di proprietà che sottraggono all’iniziativa privata grandi strati di produttori e costituiscono a un tempo delle potenze economiche tali che, se anche potessero condurre ad un grado di produttività più elevato, portano altresì a quella potenza politica che, non avendo altro intento che il vantaggio patrimoniale privato, disconosce e travolge gli interessi materiali, morali e politici della collettività scatenando quelle conflagrazioni che ci hanno portato alla miseria attuale”.
L’egoismo umano non punta al bene collettivo e dunque serve che la democrazia ne garantisca la giusta direzione. L’attuale sistema neoliberista, come il vecchio Comunismo, sono i due estremi opposti, entrambi non possono funzionare. Il primo per i motivi già detti, il secondo perché senza il motore dell’egoismo, senza poter avere qualcosa in più di un altro, l’uomo non si darebbe da fare. Fermo restando che a livello morale il Comunismo è certamente superiore al Liberismo, il miglior modello, vista la natura umana, è esattamente quello voluto dai Padri Costituenti e codificato negli artt. 41-47 della Carta.

1. continua

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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