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La Bolognina, mi colse di sorpresa, stavo regalando il mio anno allo Stato, notizie frammentarie, non c’erano telefonini e le informazioni non esplodevano così velocemente come nel nuovo millennio. Ero un ragazzo, avevo votato per il mio partito solo una volta, ero già tesserato al Pci, come prima lo fui della Fgci. Non ricordo bene quale fu il primo pensiero di mio padre, che fu la mia guida politica dai tempi delle elementari. Mi ricordo cosa disse, nei pochi mesi successivi, anche durante la malattia, forse la sua ultima analisi e il suo ultimo pensiero fu: “Non è importante il simbolo, oppure il nome, importante è che rimangano i nostri valori”.
Purtroppo, non ebbe il tempo per capire, per spiegarmi, la sua vita si interruppe il 23 gennaio 1991, quella del suo partito, come in un rapporto simbiotico si interruppe il 3 febbraio 1991 durante il XX° congresso, quando la maggior parte dei delegati approvò la svolta avvenuta alla Bolognina due anni prima.
Per lunghi anni, per troppo tempo le parole di mio padre mi risuonarono nella testa, forse lui aveva capito prima di me la necessità di questo disfacimento, forse ci sarebbe servito per essere più moderni, per accettare la novità della dissoluzione delle ideologie, forse politica significa mediazione, moderazione, importante è sapere chi siamo e chi rappresentiamo.
Si, forse.
Sinceramente, io credo che il 3 febbraio 1991, sia stato l’inizio della fine. Scissioni, contro scissioni, frammentazione, pulviscolo di idee, disperse nei rivoli di mille però. Nessun partito potrà mai prendere il posto del mio partito, la deriva mai finita ha portato l’ex più grande partito della sinistra Europea ad essere un ex partito di sinistra.
Poche idee, nessun ideale, perdita continua del contatto con la propria gente, fino ad arrivare a regalare la classe lavoratrice ai moderati, alle destre, ai sovranisti.
Quante volte papà, avrei voluto confrontarmi con te, in questi trent’anni passati troppo in fretta, sono sicuro che la tua delusione nei confronti di quello che fu il tuo partito ed il tuo mondo sarebbe stata ancora più cocente e indelebile, di quanto lo sia stata per me. In neanche una generazione, è sparita la voglia di lottare, i traguardi raggiunti col sangue degli operai sono stati erosi a poco a poco, la solidarietà non è più un valore, l’antifascismo non è più scontato, in fabbrica si odiano gli immigrati e non il capitale, in campagna sono riemersi i caporali che aveva sconfitto Di Vittorio.
Ma quale modernità?
Ma quale progresso?
Papà avresti visto un mondo ‘all’arrovescio’, dove i poveri combattono contro i più poveri e i ricchi diventano sempre più ricchi, dove evadere le tasse è un valore, dove il furbo fa carriera, diventa manager, diventa capo, governa.
Esistono politici che non hanno lavorato un ora in vita loro, che fanno diventare un manifesto politico l’odio nei confronti di chi si siede sulle panchine.
Un mondo senza né capo e né coda, papà.
Quando eri in ospedale, un’infermiera ti chiese che mestiere facevi, tu le rispondesti: “un mestierazz…”. Eri sindacalista per vocazione e ne sentivi il peso e la responsabilità, ora in questo mondo senza sinistra, in tanti denigrano e rinnegano il tuo lavoro, tanti operai pensano di difendersi da soli, tanti padroni ci sguazzano in questa melma e votano come i loro dipendenti.
Assurdo.
Senza speranza, un mondo senza lotta di classe, dove gli sfruttati calpestano i diritti degli ultimi arrivati, dove dalle fogne riemerge il guano che pareva sconfitto nell’aprile del ’45.
Lo so che le mie sono solo parole, parole al vento, io per primo non ho la tua forza, papà, tu eri un trascinatore, io scrivo e mi difendo, cerco ancora, tra la polvere del tempo, la tua bandiera. Vorrei pulirla e riconoscendone il colore rosso, la alzerei, gridando al mondo che non siamo morti, non siamo estinti, non siamo superati, siamo ancora lì, ed ora, più che allora ne siamo convinti, trent’anni fa non diventammo moderni, diventammo moderati. Da quella porta cominciò ad entrare il vento freddo della dissoluzione.
E’ da troppo tempo che aspettiamo, torniamo ad essere ciò che siamo.

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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