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di Ranieri Varese

La fase due della pandemia è, tutti credo ne siamo consapevoli, l’organizzazione dei modi per riportare il paese ad una situazione e ad una operatività che consentano, in forme rinnovate, la ripresa delle attività senza condizionamenti eccezionali. Questo vale anche per Ferrara e di questo devono rendersi conto, insieme a tutti noi cittadini, anche la amministrazione comunale, le forze politiche, di maggioranza e di opposizione. È possibile auspicare trasparenza, condivisione e concretezza? Scelte aperte alla verifica e al confronto?
Tento qualche osservazione su alcuni segmenti del settore cultura e su gli strumenti che vengono utilizzati per fare politica culturale. Il comparto è in fase di riorganizzazione, soprattutto per quanto riguarda i musei. Questo è un dato positivo: il dato negativo è che l’accorpamento dei vari istituti non tiene conto delle specificità ed è affidato ad una dirigenza che non ha alcuna competenza. Sino ad ora nulla appare riguardo a biblioteche ed archivi che pure sono in sofferenza.
Tutti noi desideriamo che, in sicurezza, al più presto riaprano musei e biblioteche. L’importante è che questo avvenga in maniera reale, che non ci si limiti alla apertura dei portoni e delle biglietterie. Per i musei vuol dire dare conoscenza attraverso apparati didascalici, guide, cataloghi che nascano da una analisi dei visitatori e che corrispondano ai loro livelli di sapere. Vuol dire pensare una editoria, a basso costo, che ne diffonda consapevolezza e immagine. Vuol dire sollecitare gli istituti ad essere non solo momento di conservazione ma di ricerca. Vuol dire costruire una didattica permanente aperta non solo alle scuole. Vuol dire costruire itinerari nella città. Vuol dire affrontare il problema del museo della città. Vuol dire organizzazione del personale e valorizzazione delle competenze. Vuol dire costruire un ‘sistema’ come indica la legge regionale, mai attuata a Ferrara. Vuol dire rapporto con la università e con i musei statali e diocesani. Vuol dire esporre a rotazione le opere dei depositi. Vuol dire ricercare e valorizzare le donazioni. Vuol dire accessi facilitati. Altro ancora.
Aggiungo una osservazione banale: per promuovere bisogna conoscere. I musei civici sono, tutti, privi di catalogo e di guide; quelli in passato pubblicati sono tutti fuori commercio, non esiste, né è stata pensata, una linea di editoria non specialistica, a basso costo, che consenta ai visitatori una informazione. Lo smantellamento di una unità museografica eccezionale, quale era la Palazzina di Marfisa, non è solo oltraggio alla memoria del suo ideatore Nino Barbantini ma è il segno della mancanza, politica, della conoscenza, della incapacità a promuovere anche quell’età estense di cui tanto genericamente ci si compiace.
Dai dati che emergono pare che interesse prevalente dell’amministrazione sia quello della promozione turistica, lo conferma la irrilevanza dell’assessore alla cultura escluso dalla maggior parte dei momenti decisionali.
Sconcerta il suo dolore per ‘i 350 mila euro di mancati incassi’. Perché non si domanda e si rammarica per quanto significa in termini di mancata conoscenza di Ferrara, della sua storia e del suo patrimonio. I numeri contano ma debbono avere un significato che non può essere limitato a ‘ahimè meno soldi’.
E’ un errore insistere esclusivamente sulle esposizioni, quando i numeri, drammaticamente in calo, testimoniano che altro bisogna scegliere: momenti di interazione con i musei, percorsi nella città, integrazione fra edifici religiosi e civili. Bisogna evitare la perniciosa contrapposizione mostre-musei ma inserire entrambi in progetti integrati di reciproca promozione. Bisogna puntare ad un turismo che sia attratto da Ferrara per tutto l’anno e non solo da mostre spesso irrelate che ne escludono la storia e impediscono l’attenzione.
Nessuna considerazione al turismo colto che è formato da piccoli numeri ma che costruisce opinioni ed interessi ed ha una larga ricaduta nel tempo.
L’avere delegato ogni cosa relativa ai musei (attraverso quali atti formali, al di là delle dichiarazioni presenti nel D.U.P.?) a ‘Ferrara Arte’ spinge a tentare di capirne meccanismo e intenzioni.
Il sito dichiara immediatamente che “La Fondazione Ferrara Arte è stata costituita dal Comune e dalla Provincia di Ferrara con lo scopo di organizzare mostre in collaborazione con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara”.
Una scelta esplicita a favore di momenti transitori, a deperimento delle strutture permanenti.
La scelta allora compiuta (1991 poi ottobre 2012) fu motivata dalla volontà di aggirare una normativa e controlli che rallentavano i processi decisionali. Fu dichiarato che non vi sarebbero state assunzioni di personale e che le Gallerie d’Arte Moderna sarebbero state il braccio operativo, senza aggravi, di quella opzione.
Oggi vediamo che in organico vi sono quindici persone più quattro a tempo determinato (2019), il loro incidere sulla spesa è di 607.400 euro; la cosa da rilevare è che fra loro non vi è alcun dirigente. Ci si può chiedere come faccia a funzionare.
Le decisioni sono prese dal Consiglio di Amministrazione composto da tre persone. Una volta vi sedevano sia il Sindaco che il vicesindaco oggi la presidenza è stata affidata a un deputato del centro destra che si attribuisce una competenza non confermata dalla comunità scientifica. Non vi è più alcun rappresentante diretto degli enti fondatori.
Il sito è molto opaco: ad esempio lo statuto dice che si deve procedere per progetti triennali dei quali non si vede traccia. I bilanci sono poco analitici. L’unica cosa chiara, oggi, è che la Fondazione Ferrara Arte agisce in piena autonomia e il Comune ripiana i bilanci. A questo fine in quelli comunali di previsione sono stanziati ottocentomila euro ogni anno ma per il 2019 è stato di 890mila euro. Se sommo il costo del personale raggiungo la cifra di 1milione 497mila 400 euro.
Non credo si sia lontani dal vero nel pensare che, negli anni, si è costituito un carrozzone fuori da ogni controllo. La responsabilità non è di questa amministrazione la quale tuttavia vi si riconosce e vi si identifica.
In sostanza la amministrazione comunale delega la parte che ritiene più importante della propria attività, nel settore, a ‘Ferrara Arte’ e rinuncia ad ogni verifica e indirizzo.
Non ci si può attendere molto di buono.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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