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Ukraina, ovvero: sul confine.

Il mondo è già pieno di virologi che si sono appena riconvertiti in esperti di relazioni internazionali. Quindi non c’è bisogno che io mi aggiunga alla lista come esperto riqualificato, per quanto lodevole possa essere l’intento di acquisire nuove competenze da spendere sul mercato delle cazzate. Mi limito sommessamente a qualche osservazione.

La NATO è una alleanza militare, fondata nel 1949. Essa fu fondata dagli Stati occidentali vincitori della seconda guerra mondiale come argine alle mire espansionistiche dell’altro vincitore della guerra contro il nazismo, il vincitore “orientale”: l’URSS. Simbolo di questa contrapposizione è Berlino, la città del Fuhrer, entrata nell’orbita dell’Unione Sovietica per la sua collocazione geografica, e sineddoche della Germania sconfitta e poi suddivisa tra i vincitori in Germania Ovest, sotto l’ombrello occidentale, e Germania Est, aderente al Patto di Varsavia, nato nel 1955 come alleanza militare uguale e contraria alla NATO. Sia l’una (Berlino) che l’altra (la Germania) furono letteralmente oggetto di spartizione territoriale tra vincitori occidentali e vincitori orientali (nota: nutro un’ammirazione sconfinata e inquieta per la Germania. Nessuna nazione sarebbe riuscita a ridiventare la locomotiva economica dell’Europa poco dopo che i vincitori si erano divisi le sue spoglie. Pensate solo a cosa saremmo diventati al suo posto. Pensiamo a cosa siamo in effetti diventati).

State tranquilli: chi parteggia per la NATO dirà che gli imperialisti, gli espansionisti sono i russi. Del resto, come dar loro torto quando lo Stato retto dallo Zar Putin, in tempo di “pace”, si riprende con l’esercito la Crimea e adesso bombarda l’Ucraina?

State tranquilli: chi parteggia per la Russia dirà che gli imperialisti, gli espansionisti sono gli yankee, spalleggiati dagli euroccidentali e dagli stati dell’est che hanno aderito alla NATO, per cui ormai la Russia è circondata. Del resto, secondo voi cosa farebbe Biden se Putin gli piazzasse dei missili Cruise in Messico? Vi siete scordati di Cuba, della Baia dei Porci, del Vietnam, del Cile?

Entrambi hanno le loro ragioni. L’unico dettaglio è che si tratta di ragioni costruite con la testa rivolta all’indietro, la direzione prevalente cui sembra guardare il genere umano, ed in particolare i suoi esponenti di vertice, gli uomini di potere. Personalmente, mi rifiuto di iniziare con l’escalation della realpolitik d’accatto, di cui tutti siamo capaci quando ci mettiamo a fare gli strateghi della domenica. Mi rifiuto di appuntare l’attenzione sul fatto che il Patto di Varsavia non esiste da più di trent’anni, mentre la NATO vive e lotta insieme a noi e continua a inglobare aderenti tra i paesi dell’ex cortina di ferro (e ripeto, la NATO è un’alleanza militare, non un cartello economico). Mi rifiuto di approfondire che, quindi, uno zar di stampo prebolscevico si possa sentire accerchiato e si senta autorizzato a bombardare un ricco paese confinante che rischia di ripresentargli interessi ed armamenti yankee sul muso, nel cortile di casa. Mi rifiuto di approfondirlo non perchè non meriti un approfondimento – anche le cose orribili non accadono per caso – ma perchè mi rifiuto di accettare che la soluzione sia il greve assalto putiniano.

Mi rifiuto altresì di pensare che Putin sia un pazzo, un malato di mente. Tecnicamente, non lo è. Eppure manifesta una patologia mentale collettiva, alimentata da una sorta di coazione a ripetere, che la psichiatria descrive come la tendenza a compiere atti psichici per un irresistibile bisogno interno, contro il quale nulla possono il ragionamento e la volontà.

Fare la guerra è un atto psicotico, eppure la specie umana non fa che ripeterlo. E’ inoltre un atto profondamente classista: la guerra la dichiarano i potenti, ma la pagano gli indifesi e i poveri, sia tra i “vincitori” sia tra i vinti.

Appunto invece l’attenzione sul fatto che l’umanità non riesca ad elaborare quello che Gino Strada definiva “il tabù della guerra”. Il tabù è un comportamento che ripugna talmente la coscienza comune da essere inammissibile alla stessa, al punto da non avere bisogno di una sanzione per essersi compiuto, perchè la sua inammissibilità è tale che non si compie. Come l’incesto, la necrofilia, la zooerastia. Un sacrilegio non religioso, ma ontologico. No. La guerra continua ad essere un’attività prediletta da molti esseri umani, che credono di realizzare attraverso di essa scopi abietti o nobili, ma il problema è la mancata elaborazione del fatto che il mezzo (la guerra) sia talmente inaccettabile da oscurare la nobiltà di qualunque fine.

Personalmente ho il tabù della guerra. Questo tabù mi impedirebbe di rispondere ad una chiamata alle armi del mio paese per andare a combattere in un paese straniero con lo scopo di ammazzare persone che non conosco e non mi hanno fatto niente. Diserterei, senza il minimo dubbio. Preferirei passare anni in carcere per diserzione che andare a combattere una guerra. Naturalmente, non sono ucraino: chi imbraccia un fucile per difendersi dall’aggressione di un nemico che ti vuole uccidere non sta combattendo una guerra, sta facendo una resistenza che, in un determinato contesto, non può che diventare armata. In tutti gli altri casi, un popolo di disertori è largamente preferibile ad una legione di volontari o coscritti addestrati ad ammazzare sconosciuti, che in una situazione diversa sarebbero chiamati killer, cecchini, sicari.

Invece l’umanità non riesce a sedimentare il tabù della guerra. Anzi, i potenti del mondo continuano a trastullarsi periodicamente con questo gigantesco incesto dell’uomo contro l’uomo, convinti di vincere qualcosa.

Illustrazione di copertina a cura di Carlo Tassi

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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