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da: organizzatori

Il punto di vista di Gianni Belletti, operatore sociale, sul vasto tema dell’immigrazione
Dal 1991 vivo e lavoro nella comunità Emmaus.
In questi anni ho conosciuto e sostenuto insieme ai collaboratori della comunità diverse centinaia di persone italiane e straniere in difficoltà economica e fisica, provenienti da ogni angolo della terra.
Dalla conoscenza quotidiana di fatti, persone e situazioni mi permetto di condividere con i vostri lettori alcune riflessioni e proposte che ritengo oggi più che mai necessarie per cercare di affrontare e risolvere nel modo più utile ed efficace una situazione che bene o male tutti stiamo vivendo direttamente o indirettamente. Innanzitutto due premesse prima di sostenere che “non esistono alternative alla libera circolazione delle persone”, oggi , nel mondo.

La prima: occorre ricordare alcuni passi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, in particolare l’articolo 13:

“1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese.”

l’articolo 14 :

“1. Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni”

all’articolo 15:

“1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.

2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, nè del diritto di mutare cittadinanza.”

e l’art. 16:

“Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione“.

La seconda premessa: non possiamo considerare il migrante come se fosse un potenziale deficiente o un potenziale delinquente. Se accettiamo questo assunto, certamente possiamo continuare a dialogare serenamente.

Penso ai miei antenati che emigrarono negli Stati Uniti, piuttosto che, non so, in Ruanda, come alle decine di ragazzi che in questi anni sono passati per la nostra comunità, provenienti da paesi economicamente più poveri.

Penso ai miei antenati, come uomini integri, con le loro famiglie alle spalle da mantenere, con le loro promesse di matrimonio mantenute per anni di lontananza e distanza, con la certezza che solo una vita spesa onestamente avrebbe assicurato loro un degno futuro.
Penso ai ragazzi che hanno bussato alle nostre porte in questi anni, molte volte senza avere uno straccio di documento e senza volersi piegare ad attività illecite pur di sopravvivere, aspettando, anche anni, prima di poter rivedere i propri figli lasciati piccoli con le loro mamme.

Detto questo, da un punto di vista etico, non è possibile avere, nel mondo, due categorie di cittadini: coloro che possono muoversi liberamente per studio, per lavoro o per turismo, e i cittadini, generalmente i più poveri, a cui è proibito di circolare liberamente.

Dal punto di vista della cosiddetta “sicurezza”, le misure di chiusura e di controllo delle frontiere, oltre ad essere fonte di drammi umani, non ottengono gli effetti per i quali sono state attuate.

Incoraggiano la migrazione clandestina, alimentano la tratta degli esseri umani, hanno costi esorbitanti sociali ed economici.

Da un punto di vista economico è provato che i migranti non prendono il posto degli abitanti locali, ed è provato che gli immigrati danno più di quello che ricevono.

La libera circolazione non provoca un livellamento verso il basso degli standard economici e sociali, impoverendo la popolazione del paese che accoglie.

La mondializzazione, la libera circolazione finanziaria e dei beni favoriscono la circolazione di persone, soprattutto quelle con più mezzi finanziari, e con un maggior “capitale” culturale, educativo, sociale.

Da un punto di vista sociale, numeri alla mano, possiamo affermare che migrazione (quella legale) e criminalità non sono legate, a dispetto di quanto ci vogliono far credere, mentre sono strettamente interconnesse ‘esclusione’ (=clandestinità) e criminalità.

Da un punto di vista culturale, i movimenti migratori sono un arricchimento culturale reciproco, e le culture, soprattutto oggi, non sono che il risultato dell’integrazione delle diversità: quindi la libera circolazione non può che facilitare questo processo.

Che lo vogliamo o no, sono convinto che non abbiamo alternative a pensare ad un mondo comune, che comprende tutti gli abitanti della terra, dove non ci siano cittadini di serie A, che si possono spostare liberamente – come noi – e altri di serie B, che invece non lo possono fare ‘legalmente’.

E non sto parlando naturalmente solo di coloro che possono aspirare a presentare la domanda di asilo politico, ma di chiunque decide di spostarsi per cercare di migliorare la propria vita e quella dei propri cari, che venga da un paese in guerra o no, che fugga da persecuzioni politiche o no, che fugga dalla miseria estrema o no.

A mio avviso esistono percorsi per gestire la libera circolazione, esistono studi, esistono esperienze, poche per la verità, nel mondo che testimoniano il valore civico di questa scelta politica. Penso all’Argentina, per esempio, che oltre al diritto alla libera circolazione, ha introdotto il diritto alla cittadinanza.

Non tenere conto della libera circolazione come una modalità per affrontare le migrazioni, ci ha portato alle situazioni di degrado dell’uomo migrante di questi anni, principalmente alle porte dell’Australia, degli Stati Uniti, dell’Unione Europea.

Inoltre siamo scivolati, complice una propaganda demagogica e mirata di diversi esponenti politici – amplificata da larga parte dei mezzi di comunicazione e informazione – in una generale convinzione che lo Stato è incapace, è corrotto ed è talmente inefficace a gestire i beni comuni, di cui fanno parte anche i migranti, che siamo arrivati al paradosso di affidarne la gestione a privati.

Nel caso dei migranti, lo Stato li affida non solo a istituzioni socialmente riconosciute, che operano assolutamente senza fine di lucro, ma anche a società che intravedono nella gestione odierna dei flussi migratori un’occasione di guadagno (tra l’altro facile perché legale).

Quindi non solo ci ostiniamo a negare la libera circolazione ma siamo persino riusciti a “finanziarizzare” i migranti, a ipotizzare di realizzare un ‘guadagno’ sul dramma ti tanti uomini e donne.

Di libera circolazione abbiamo quasi il timore a parlarne in Italia, persino negli ambienti più progressisti della società civile.

E in questa direzione va l’informazione distorta che viene presentata da qualche tempo sull’afflusso dei migranti: si è registrato, per esempio, un aumento di circa 5.000 persone al 7 giugno di quest’anno, rispetto al 7 giugno dell’anno scorso (52.671 contro i 47.708), ma tutti ‘strillano’ che siamo travolti da un’invasione di migranti senza precedenti.

Pensiamo davvero che 5.000 persone in più rispetto all’anno scorso possano metterci in difficoltà? Perché tanto accanimento contro un fenomeno che non saranno muri e controlli ad arginare? Perchè lo Stato non può gestire direttamente le accoglienze dei migranti con altre modalità operative, permettendo ai nostri consolati nel mondo, di gestire legalmente gli ingressi in Italia? In sostanza, di fronte all’evidente fallimento dell’attuale gestione delle migrazioni, perché non riflettiamo sul metodo piuttosto che sugli strumenti?

Credo che abbiamo le risorse umane, materiali e finanziarie sia per poter sottrarre alla tratta di essere umani il monopolio del commercio delle persone, sia per gestire direttamente l’accoglienza, evitando il rischio creare ‘appetiti’ di guadagni privati sui migranti.

Quello che non abbiamo è la forza per potere diffondere un’informazione diversa, non distorta o parziale, non finalizzata ad altri interessi, di cui i migranti, oggi, sono forse solo l’oggetto, solo lo strumento.

Quello che non abbiamo è il coraggio di abbattere un pregiudizio che sembra essere così profondamente radicato nel nostro immaginario collettivo, per cui accettare di essere tutti cittadini del mondo, con lo stesso diritto di muoversi per studio, lavoro o turismo, sembra essere un’utopia invece che la soluzione a tante, troppe ingiustizie.

Gianni Belletti
responsabile Comunità Emmaus Ferrara

Documentazione:
www.cestim.it
www.o-c-u.org

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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