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Le voci della natura che parla nel suo silenzio e le parole della guerra, combattuta poco più in là. Il bosco del confine, Aboca edizioni, di Federica Manzon è un libro che fa dialogare un padre e una figlia su cosa voglia dire andare oltre un confine e trovare qualcosa di diverso, ma anche uguale: altri uomini con cui potere legare, nonostante il confine, nonostante la guerra, che poi scoppierà, nella ex Jugoslavia.
È il 1979, padre e figlia camminano nel bosco, luogo senza appartenenza dove passeggiare senza bussola significa perdersi tra le macchie di colore e i profumi, ma è anche intravedere, dal binocolo, uomini con un altro passo, un’altra direzione, un’altra storia. Il bosco è un luogo dell’infanzia, libero, ispiratore di “un’intimità pratica” fra un padre pacifista che non risponde mai alle domande in modo diretto e non racconta di sé e una ragazzina che sarà libera di pensare e valicare tutti i confini del passato, della terra, del pensiero. È nel bosco che il padre porta la figlia Shatzi perché lei sappia che esistono posti in cui non è lecito dire questo è mio e dove il controllo degli altri non si può esercitare. Il bosco è il luogo della “riflessione astratta”, del passo che si accorda con il respiro. Non ci si sente minacciati nel bosco, mai, ci si scambia il sorriso con altri camminatori sconosciuti.
“Questi confini sono una sciocchezza (…), basta andare nel bosco per capirlo”, dice il padre, e Schatzi lo capirà, qualche anno dopo, quando potrà assistere alle olimpiadi di Sarajevo e conoscerà Luka da cui potrà prendere racconti “come una trasfusione, sangue altrui che diventa cosa mia”, un’amicizia che non si spegnerà negli anni, ma resterà viva grazie alle parole che i due si scriveranno.
Quel bosco, per Schatzi, sentiero di esplorazione e formazione dell’infanzia per mano del padre, rimane luogo da attraversare anche da adulta, assieme ad altri compagni, di cui è diventato semplice fidarsi.
Federica Manzon presenta Il bosco del confine mercoledì 3 marzo alle 18 per la rassegna in streaming Autori a corte. Dialoga con l’autrice Riccarda Dalbuoni.

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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