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Stiamo entrando in campagna elettorale, anzi, veramente ci siamo entrati almeno un anno fa. La tristezza di Beppe Sini, storico militante pacifista e nonviolento, è la nostra stessa tristezza. Dopo il tragicomico balletto per mettere insieme il patchwork delle liste, dopo la lotta al coltello per accaparrarsi  un collegio “sicuro”, ci aspettano 40 giorni di mirabolanti  promesse e schiaffi in faccia a destra e a manca. Tutti contro tutti, soprattutto in zona Centro e nella periferia di Sinistra. Tanto si sa, questa volta la Destra (quella vera) vincerà a mani basse. Si parlerà molto di rigassificatori. Non si dirà una parola sulla Ius soli e sui diritti civili degli stranieri in Italia. Berlusconi ha tirato fuori dal cassetto la flat tax. Giorgia Meloni si rivolge a noi, agli italiani, e ci chiama “patrioti”. La pace, tutti insieme, l’hanno sotterrata sotto il tappeto. Insomma, saranno elezioni molto brutte, e tutte da perdere. Un motivo in più per non starsene in silenzio.
La redazione di periscopio

di Beppe Sini
Responsabile del Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo

Il 25 settembre si voterà per il rinnovo del Parlamento italiano. Ed ancora una volta saranno esclusi dal voto milioni di persone che in Italia vivono, lavorano, crescono i loro figli, fanno un gran bene al nostro paese.
Milioni di persone che continuano a subire nel nostro paese un regime di apartheid, una violenza razzista istituzionale che è strettamente connessa ed effettualmente complice della violenza razzista e schiavista e assassina dei poteri criminali e del regime dei predatori e della corruzione.

Cosa si attende ancora a riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che in Italia vivono? Cosa si attende ancora a far cessare il regime della segregazione razzista nel nostro paese? Lo chiediamo dal secolo scorso: una persona, un voto.

Il 25 settembre si voterà per il rinnovo del Parlamento italiano. Ed anche i sassi sanno che la prima e più urgente iniziativa politica e legislativa è opporsi alla guerra, avviare il disarmo e la smilitarizzazione, passare dalla folle e sanguinaria “difesa” armata alla necessaria ed urgente ed unica ragionevole difesa popolare nonviolenta, iniziare una politica internazionale di pace con mezzi di pace che convochi l’umanità intera all’universale solidarietà per far cessare tutte le uccisioni e cooperare per la salvezza dell’intero mondo vivente.

Una politica internazionalista, una politica dell’umanità, una politica della salvezza comune di tutte e tutti. Il programma di Guenther Anders e di Ernesto Balducci [vedi su questo giornale un ricordo nel centenario della nascita], il programma di Rosa Luxemburg e di Simone Weil, il programma di Virginia Woolf e di Hannah Arendt, il programma di Primo Levi e di Aldo Capitini, il programma di Mohandas Gandhi e di Luce Fabbri.

Cosa si attende ancora a capire che il tempo è poco e la strage è in corso? Cosa si attende ancora a capire che è in pericolo l’esistenza dell’umanità intera? Solo la pace salva le vite, e salvare le vite è il primo dovere. Solo la nonviolenza costruisce la pace, libera tutte le oppresse e tutti gli oppressi, appronta gli strumenti e l’orizzonte di senso necessari alla salvezza comune di quest’unica umana famiglia e di quest’unico mondo vivente.

In questa grottesca, triste e trista campagna elettorale queste due indispensabili parole di verità, questi due prioritari impegni programmatici vorremmo sentire enunciati e sottoscritti da chi si candida a fare le leggi con l’impegno di contrastare il fascismo che torna, che in larga misura è già qui.

1. una persona, un voto
2. pace, disarmo, smilitarizzazione subito

Questo articolo  è uscito con altro titolo su pressenza del 10 agosto 2022.
In copertina: foto tratta da www.apiceuropa.com

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Redazione di Periscopio

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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