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Un romanzo incentrato sull’amore e ambientato nella scuola, costruito dentro la cornice di un dialogo frammentario tra una studentessa in crisi sentimentale e il suo professore di filosofia, che si dipana per 140 pagine senza mai nominare le parole ‘amore’ e ‘scuola’.

Perché – spiega l’autore in un’intervista [Vedi qui]sono parole inquinate da retorica e abusi  semantici. Già questo ci dice molto sulla propensione a una ricerca stilistica ed espressiva al confine con la prosa poetica. Molte singole frasi o periodi posseggono una loro autonomia di senso anche fuori contesto, come rami di un albero che, cadendo, generano nuovi alberi. Un romanzo e uno stile che sembrano piacere “molto a pochi e poco a molti”, usando le parole dello stesso Giuseppe Nuccitelli. Rimane da capire chi sono e quanti sono i pochi.

Seguendo il mio istinto di lettore più propenso a un genere di narrativa concreta, oggettiva, quella che convenzionalmente si dice basata sui cinque sensi,  potrei essere uno dei molti. Eppure, la lettura di queste pagine mi ha via via portato a  soffermarmi sempre di più tra le frasi e a volte le singole parole, a seguire una scrittura più errabonda che costringe alla pensosità e all’ immersione nella memoria.

Quando accade questo, si scopre tutta la bellezza del romanzo di  Nuccitelli.  E avviene qualcosa di strano: poco alla volta si comincia a viaggiare attraverso le disillusioni e la sofferenza, implicite nel termine ‘passione’, causate dal bisogno di realizzare una pienezza estatica della vita, dall’aspirazione a vivere tutte le vite possibili contenute nell’esistenza di ciascuno.
Questo viaggio nella sofferenza, ossia l’altra faccia della felicità ad essa intrinsecamente legata – ma forse la parola ‘felicità’ andrebbe evitata come amore e scuola –, una sofferenza dovuta all’enorme difficoltà di realizzare quella che l’autore chiama “una collana perfetta”, e dovuta anche alla sconfortante consapevolezza di quanto potrebbe essere dolce la vita, questo sottofondo costante di edonismo sofisticato e di insoddisfazione ricorda a volte scrittori come Bukowski e i vitalisti alla Kerouac.

Ma c’è dell’altro: nel percorso accidentato e seminato di imprevisti e paradossi verso questa felicità, la morte e i morti si rivelano passo dopo passo gli inevitabili compagni di strada per approdare alla terra promessa. Come se le loro vite accantonate ritrovassero senso nel momento in cui noi le  resuscitiamo interiormente, vivendo con la stessa intensità anche le loro, così come le risate senza l’esperienza delle lacrime non hanno spessore, non emanano vera gioia.

Di tutte le sei parole chiave che compongono nel libro la collana perfettapensiero, atemporalità, risate, bene, lacrime ed eros – e che sono anche sei modi diversi di declinare le relazioni amorose nelle quali si scopre regolarmente la mancanza di qualcosa, una mi sembra particolarmente intrigante: l’atemporalità. Gli psicologi, da Freud in poi, si sono occupati molto dell’atemporalità come regno dei sogni e dell’inconscio, ma qui si tratta di altro. O meglio, di qualcosa di più.

Atemporalità. Non è un semplice tuffo nel mondo onirico come tutte le notti, chi più e chi meno, siamo abituati a compiere, ma si tratta di sperimentare una condizione quasi sovrumana in cui l’intelligenza padroneggia i sentimenti dopo esserne attraversata, domina lo spazio e il tempo e sconfina senza timore nel territorio della morte e dell’eternità senza restarne prigioniera.
Un’atemporalità che nel romanzo viene vissuta non nella solitudine del sogno, ma nella relazione con un’altra persona, o meglio con una donna: e questo è l’apice dell’estasi e del viaggio verso la terra promessa, anche perché parliamo dell’incontro con quella parte di mistero che il mondo femminile per un protagonista maschile racchiude sempre. Anche se forse Nuccitelli non sarebbe d’accordo, visto il finale del romanzo.

Rimane il fatto che, alla fine, alla terra promessa si riesce ad approdare, nonostante le frequenti disillusioni e le incomprensioni, a volte stupide, dovute a distrazione e presunzione. Ed è proprio lo scontro con gli errori – “perché incontriamo sempre quello sbagliato?” – a rivelarci che alla fine gli errori non esistono ma sono solo porte che si aprono (e a volte ti sbattono in faccia) lungo i sentieri del destino.

E sono le coincidenze più strane, a volte quasi incredibili, a costituire lo scheletro su cui si regge lo sviluppo narrativo del romanzo. Coincidenze e rivelazioni, alternandosi, scandiscono il ritmo della narrazione. Coincidenze e rivelazioni che tengono insieme il mistero del codice nascosto dello scherzo goliardico dei liceali, feroci nella loro inconsapevolezza, e la ricerca dell’incognita  del professore di filosofia.

Tornando alle pagine sull’atemporalità, leggendole viene alla mente Baudelaire quando descrive la condizione di chi attraverso l’oppio sperimenta una percezione del tempo che si dilata, si ferma, si espande o corre alla velocità della luce. Infatti, si tratta di una condizione che contiene lo spazio dell’eternità, dell’estasi, la sensazione di avere raggiunto un altrove riservato a pochi o forse a lui solo, la sensazione di vivere dentro alla bellezza e alla ricchezza di forme e colori che il mondo ci offre: e proprio qui sembra di ritrovare la chiave di accesso alla “collana perfetta”, all’incognita, che il protagonista del romanzo di Nuccitelli ricerca e poi scopre alla fine del romanzo.

Quando nel romanzo l’autore descrive il potere della voce di  Alessandra, capace di “rallentare tutto fino alla paresi” o di “neutralizzare le parole” fino a che “lo spirito si distaccava dalle membra e (…) l’eros e il pensiero si abbracciavano e davano un corpo all’incognita” ci troviamo evidentemente di fronte agli effetti delle tecniche di meditazione, ma anche al potere dell’immaginazione di una psiche complessa, dalla sensibilità accentuata, di sperimentare un ‘altrove’, quel luogo di sintesi suprema al cui fascino mistici e artisti non possono resistere.

A cui si giunge attraverso l’incontro di eros (sublimato o incarnato) con il pensiero. Un altrove a cui si approda non nella solitudine del sogno o dell’oppio, ma attraverso una storia d’amore, forse alla fine possiamo pure usare questa parola, o meglio attraverso l’esperienza e il superamento di amori monchi e disamori.

Accade anche in una solitudine popolata dalle evocazioni, dal ricordo dell’incontro amoroso, o, nel caso appunto di Baudelaire, dai sogni indotti dall’oppio, quando capita – come egli scrive – “di trascorrere una bella notte d’estate seduto vicino a una finestra, senza muoversi, senza neppure provare il desiderio di cambiare di posto, dal tramonto all’alba; riempiendosi gli occhi con la vasta prospettiva del mare( …) Una grande allegoria naturale si distendeva allora davanti a lui”.

Si è allora troppo felici per accorgersi della fuga del tempo, proprio come il protagonista di Parola di Pilsops quando, nell’ultima pagina, si ritrova di notte a vagabondare “a lungo quietamente sotto il cielo di sempre”.

Giuseppe Nuccitelli, Parola di Pilsops. Le circostanze della passione, Gangemi Editore, Roma, 2021.
Il romanzo di Giuseppe Nuccitelli è distribuito nelle librerie italiane,  in tutte le librerie online (anche in versione e-book) o direttamente presso l’editore Cangemi.

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Sergio Kraisky

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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