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A tutti capita di pensare al futuro e quasi sempre lo immaginiamo con l’ansia dell’incognito. Cosa sarà di noi?
In una sintesi parziale e personale posso rilevare che è cresciuta la popolazione (e con questa l’immigrazione e il razzismo), sono aumentate le diversità sociali e culturali, sono cresciuti i problemi di alimentazione e sofisticazione, è cresciuto il degrado ambientale e metropolitano (industrializzazione, urbanizzazione, criticità nei trasporti), vi è stata dispersione delle risorse idriche e naturali, con conseguente cambiamento del clima (catastrofi atmosferiche), ma soprattutto è aumentato lo squilibrio ricchezza-povertà e la disuguaglianza sociale.
In generale si può dire che i principali trend di mutamento hanno portato grandi rivoluzioni nel campo dei valori e nella produzione di simboli. La gestione dei sistemi tramite il sapere è stata sostituita da subsistemi interdipendenti a livello globale; i rapporti virtuali hanno vinto sui rapporti fisici. Questo in contrasto con la crescita della creatività e della dimensione estetica. In fondo i nuovi valori emergenti sono diventati l’affettività, la soggettività, l’etica, l’affidabilità, l’estetica, anche se in contrasto tra loro.
Vorrei però credere anche che il pensiero positivo (senso dell’essere e progresso mentale) potrà vincere. Credo nello sviluppo della mente, nel rispetto dei vincoli del collettivo, nella difesa e nei progressi della sostenibilità. Per questo penso possibile un legame tra Green Building e Green Thinking.
Bisogna rafforzare l’Etica della responsabilità. Il termine “responsabilità” è legato al verbo “rispondere” in particolare “rispondere a” qualcosa o qualcuno e “rispondere di” qualcosa o qualcuno. Con il concetto di etica della responsabilità si entra nel sistema di mezzi-fini con le relative conseguenze. Inevitabilmente viene facile il richiamo all’azione politica in cui l’etica dovrebbe essere il primo luogo della responsabilità, in quanto riguarda la qualità dei fini che si perseguono.
La mia opinione è che siano necessari elementi “alti” di caratterizzazione anche dei servizi pubblici locali in quanto indispensabili per realizzare un reale processo di miglioramento che richiami alla sostenibilità, alla trasparenza, alla certificazione, alla accountability, all’etica.
Bisogna sostenere la riparabilità, la durabilità e la riciclabilità di prodotto nell’ambito di piani di lavoro basati sulla progettazione ecocompatibile, preparare un programma per contribuire a identificare le questioni connesse alla potenziale obsolescenza programmata; proporre requisiti intesi a semplificare lo smontaggio, il riutilizzo e il riciclaggio degli schermi elettronici; proporre di differenziare i contributi finanziari versati dai produttori nell’ambito di un regime di responsabilità estesa del produttore basato sui costi del fine vita dei loro prodotti, prevedere requisiti proporzionati in materia di disponibilità delle informazioni sulla riparabilità e dei pezzi di ricambio nelle proprie attività sulla progettazione ecocompatibile; lavorare per una migliore applicazione delle garanzie sui prodotti materiali ed esaminare le possibilità di miglioramento nonché affrontare le false etichette verdi. Questa è una vera rivoluzione non solo culturale, ma industriale.

Bisogna mantenere alta la sensibilità e la domanda di sostenibilità e qualità sui servizi pubblici ambientali e più in generale sulla qualità dell’ambiente: è un bisogno di tutti. I reali spazi di partecipazione e il conseguente senso di fiducia dovranno sostituire il crescente disagio e la diffidenza dei cittadini. La qualità della vita, la sicurezza, il rispetto ambientale, la coscienza civica devono contrastare la mancanza di dialogo, la scarsa informazione, le scarse competenze e l’iniqua distribuzione. Il bisogno di qualità sta diventando un importante elemento di riferimento anche nella politica economico-industriale dei servizi pubblici; vi è uno stretto legame tra sistema di gestione e livello di qualità ed efficienza economica e i sistemi di regolazione devono fronteggiare il tipico dilemma fra incentivare l’efficienza produttiva e trasferire quote della rendita.
Le chiamiamo “utilities” ma ci rifacciamo alle aziende di servizi pubblici locali ambientali; ogni parte di questa definizione è fondamentale. Ne faccio un spelling dei termini.
Servizi. Non è banale la considerazione che siamo passati da una società di prodotti ad una società di servizi. Chiediamo silenzio, caldo, felicità, comodità e non poltrone, condizionatori e tende.
Pubblici. Spesso non ci è chiaro il limite tra pubblico e privato e ne abbiamo perso il senso. La distinzione non è nel capitale, ma nella missione. Un servizio non è pubblico infatti perché l’ente locale lo svolge, ma perché lo regola.
Locali. In una fase economica globale non si deve perdere la dimensione locale. I territori lo chiedono.
Ambientali. Ormai tutti ne parlano, tutti si dichiarano ambientalisti, ma poco si sta facendo per l’ambiente.
L’esigenza crescente è quella di prevedere un sistema di regolazione in grado di valorizzare sia i diritti degli utenti sia lo sviluppo delle gestioni per mezzo di un intervento istituzionale che vigili sulle situazioni di criticità, ma che nello stesso tempo semplifichi e innovi il sistema della governance per migliorare il posizionamento strategico e competitivo sul territorio nel servizio pubblico ambientale di gestione dei rifiuti e dell’acqua.
Si arriva così alla centralità dell’accountability, come insieme di momenti atti a “Rendere conto in modo responsabile per tenere fede agli impegni presi”; l’accountability è dunque un insieme di modalità attraverso cui rapportarsi con i vari portatori di interesse per ottenere consensi. Questo ci porta ad un tema fondamentale: il capitale sociale. Come fondamentale valore da difendere è infatti quella risorsa che permette di valorizzare il capitale culturale, il capitale simbolico e il capitale economico a disposizione dei singoli individui.
Va rilevato come in particolare si stia passando da una fase di partecipazione e coinvolgimento ad una fase di distacco, di cinismo e dunque di sfiducia. Gli individui interagiscono quando si riconoscono reciprocamente come fini e non come mezzi. Si sente il bisogno di trasparenza e di fiducia; spesso invece si avverte una pregiudiziale diffidenza.
La condivisione della sostenibilità ambientale, pur riconoscendone l’elevata funzione non ha ancora modificato i modelli di consumo e dunque sono necessarie concrete proposte di miglioramento e soprattutto una rinnovata capacità di dare risposte efficaci. I primi e principali obiettivi di sostenibilità ambientale a cui tendere a livello generale si possono riassumere così in quattro grandi aree:
Ricercare l’efficacia-efficienza dei servizi verso la cultura del benessere
Informare e rendere partecipi sulla qualità e sulla sicurezza delle tecniche
Ricercare la collaborazione dei cittadini e l’impegno civile sui beni collettivi
Sviluppare una corretta educazione ambientale e favorirne la sostenibilità

Entra così in gioco l’economia circolare. Preferisco citare a questo punto le parole indicate dalla commissione europea: “In un’economia circolare il valore dei prodotti e dei materiali si mantiene il più a lungo possibile; i rifiuti e l’uso delle risorse sono minimizzati e le risorse mantenute nell’economia quando un prodotto ha raggiunto la fine del suo ciclo vitale, al fine di riutilizzarlo più volte e creare ulteriore valore. Questo modello può creare posti di lavoro sicuri in Europa, promuovere innovazioni che conferiscano un vantaggio competitivo e un livello di protezione per le persone e l’ambiente di cui l’Europa sia fiera, offrendo nel contempo ai consumatori prodotti più durevoli e innovativi in grado di generare risparmi e migliorare la qualità della vita”.

In sintesi si ritiene che sia in atto un forte processo di globalizzazione delle economie in cui l’Ambiente è fondamentale settore trasversale. La ragione ecologica e la responsabilità ambientale sono infatti concetti generali che richiedono (in quanto esigenze collettive) razionalità, correttezza, impegno, trasparenza, etc. La difesa dell’ambiente quindi (in quanto bene collettivo) impone una rinnovata propositività del ruolo istituzionale “pubblico”.
Serve una condivisa strategia di sostenibilità ambientale ed è richiesto un impegno delle istituzioni e della collettività verso una serie di obiettivi importanti e nello stesso tempo necessari; tra questi determinanti sono quelli che tutti (da chi produce, a chi consuma, a chi amministra, a chi gestisce) devono assumere per ottenere un sistema integrato (autosufficienza, responsabilità condivisa, prossimità, gestione integrata, etc).
Senza il cittadino diventa impossibile gestire qualunque serio piano di sviluppo ambientale.
Entra qui in gioco un concetto fondamentale: la resilienza ambientale. Termine ancora poco usato, ma molto utile soprattutto in questi ultimi tempi. Potrei definirla come l’arte della natura di difendersi dagli attacchi che riceve dall’uomo. Una specie di capacità di adattamento. Per gli studiosi di ecosistemi è l’attitudine a ritrovare un nuovo equilibrio, insomma resistere attraverso la magica capacità di autoadattarsi e modificarsi. Ma fino a quando? La resilienza ambientale rappresenta dunque per ora una àncora di salvezza in quanto unica via di uscita per cercare di sopravvivere e magari riprendersi. Con più ottimismo potrebbe essere un progetto di trasformazione di un nuovo modo di pensare.
Il paradigma culturale e sociale è pesantemente mutato nel modo in cui si deve affrontare il futuro. In psicologia infatti si usa il termine resilienza per indicare la capacità dell’uomo nel fronteggiare le difficoltà e le avversità, sviluppando le proprie risorse interiori e ripristinando il proprio equilibrio psico-fisico. Le persone con alta resilienza riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà. Fondamentale deve diventare dunque la resilienza collettiva intesa come capacità di reagire alle difficoltà orientandosi al bene comune verso principi di solidarietà e collaborazione rivolta alla promozione della responsabilità sociale. Questo in un certo senso si collega ai concetti di benessere e di qualità della vita.
E’ finita la fase del comunicare per propaganda ed è cresciuta la consapevolezza della corretta comunicazione. In questa logica cambia il percorso della comunicazione che semplificando in uno slogan passa dal comunicare a qualcuno al comunicare con qualcuno. La comunicazione indifferenziata, di massa perde progressivamente valore. Occorre un modo nuovo di impostare i rapporti e di comunicare: più attento, più indirizzato e personalizzato, più responsabile e coinvolgente, più finalizzato verso la società dei portatori d’interessi. Conoscere come la gente pensa, desidera, spera, apre scenari strategici fondamentali per la comunicazione nei servizi pubblici locali.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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