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La campagna elettorale è stata talmente lunga ed estenuante che verrebbe voglia di chiudere questa pagina e di non parlarne per un po’. Una pagina non gloriosa per i toni divisivi, il linguaggio da tifoserie sportive, la demagogia altisonante di chi (come il Premier) aveva voluto il referendum per segnare un cambiamento di passo radicale della politica italiana. Per il tono rissoso di chi ha usato questo evento come occasione per regolare i conti in un partito in cerca di una strategia. Per il tempo sprecato, mentre tutti i problemi che il nostro Paese vive restano lì e non potranno certo giovarsi di una fase, inevitabilmente lunga, di instabilità. Per le macerie che restano e renderanno più difficile abbassare i toni, come molti auspicano. Le logiche plebiscitarie sono sempre pericolose, in esse vi è un implicito rischio di autoritarismo. Il populismo ha comunque vinto qualche populista più autentico degli altri (Grillo e Salvini) resterà il primo titolare dell’incasso.

Sarà difficile non parlarne soprattutto perché l’alta percentuale di partecipazione al voto ha detto quanta frustrazione e quanta rabbia alberghi negli animi degli italiani. Sarà interessante analizzare la composizione sociale (e non solo regionale) dei due schieramenti, per comprendere meglio la profondità della crisi di rappresentanza a cui i partiti si trovano di fronte. La politica non è solo una questione di regole, anche se le regole hanno la loro importanza, per preservare la democrazia da derive illiberali. La politica è una questione di capacità di proposta, di indirizzo e di visione. La democrazia è anche una questione di risultati e la possibilità di rimettere in moto la crescita è l’imprescindibile condizione per ridare fiducia e consentire al nostro Paese di non essere progressivamente emarginato nel complesso quadro internazionale.

La sinistra ha di fronte un periodo molto difficile, credo che nessuno abbia nulla da festeggiare: le difficoltà persisteranno a lungo e meriteranno molto più che un regolamento di conti interno al PD. La sinistra deve imparare almeno due linguaggi che non le appartengono per storia e cultura e che non è facile praticare nel contesto odierno. Il primo è il linguaggio della crescita e dell’innovazione, che non può essere dichiarato solo ritualmente e considerato, di fatto, un prezzo da pagare al mondo dell’economia. Il linguaggio della crescita deve assumere fino in fondo la realtà della globalizzazione (ormai inconfutabilmente inscritta nella traiettoria del mondo), dimostrando di comprenderne appieno i vantaggi, senza ignorarne gli effetti critici nel breve periodo. Il secondo è il linguaggio della mediazione, che ha caratterizzato importanti leader politici nel primo dopoguerra, ma che non ha mai coinvolto i militanti ed è stato, negli anni senza eccezioni, interpretato come necessità tattica, piuttosto che come valore in sé.

Il linguaggio del conflitto ha sempre prevalso (basta scorrere le pagine di FB di queste settimane per vederne esempi), mentre il linguaggio della mediazione è stato storicamente subito dalla necessità di una legittimazione nell’area di governo, piuttosto che come costitutivo carattere di un partito interno al gioco democratico. Il PD si trova, quindi, di fronte ad un drammatico e impegnativo dilemma: trovare un’identità e una strategia compatibili con la presente fase storica. Gli appelli alla ricomposizione suonano molto retorici di fronte all’evidente dilemma politico che alberga nel PD. Mi auguro che le ragioni del no non occultino una tale enorme sfida.

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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