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La brusca frenata imposta dall’emergenza Covid 19 non è stata assolutamente facile ma forse è la migliore occasione che madre natura ci ha presentato per cambiare il nostro modo di vivere.  Certamente lo ha fatto con il suo metodo che di democratico ha molto poco, ma è certamente efficace, soprattutto, si spera, per coloro che non vogliono sentire o non vogliono vedere perché o troppo attaccati ai loro privilegi o perché si sentono impotenti di fronte a questa enormità.
Siccome sono convinta che gli esseri umani si trovano a vivere nel mondo che si sono costruito, ritengo che abbiano anche sempre la possibilità non solo di modificarlo, ma soprattutto di migliorarlo e renderlo via via più adatto alla vita che ciascun di noi desidera, ovunque si trovi. Per questo sarebbe auspicabile che ciascuno cogliesse l’occasione per interrogarsi su come e perché i nostri comportamenti ci hanno portato a questa situazione e che, ciascuno con le sue competenze, si ponesse le domande così da poter trovare, confrontandosi tra tutti, una soluzione.

Già prima della manifestazione di questa pandemia si parlava di ‘crisi della democrazia’. Pur ritenendo che sia sempre utile mantenere vivo il dibattito su questo tema importante una puntualizzazione va fatta: non è la democrazia ad essere entrata in crisi, ma il modello con cui si è realizzata. Un modello che è stato utile e ha portato la società a compiere significativi passi avanti, ma che, proprio grazie ad essi, da una trentina d’anni a questa parte ha esaurito la sua efficacia, ha consumato tutta la prospettiva del suo progetto. Il modello che si utilizzava era funzionale a quel momento storico: ha permesso il passaggio dalla monarchia alla repubblica, ha permesso il confronto tra liberismo e comunismo. Oggi che la logica liberista si è affermata, non può portarci oltre la logica del profitto come espressione della qualità della vita. Siamo arrivati ad una maggiore consapevolezza del valore della vita e della sua qualità e quindi non riconosciamo più come validi gli equilibri costruiti sui rapporti di forza e sui privilegi.
Inoltre una volta toccato il culmine distruttivo della bomba atomica, abbiamo abbandonato il rapporto di forza militare che reggeva l’ambito politico, ma questo si è trasferito all’ambito commerciale e finanziario, che usa la tecnologia e i nuovi brevetti per spostare gli equilibri di supremazia, a livello mondiale.

Si assiste per l’ennesima volta ad uno scontro frontale che vuole stabilire chi deve svolgere il ruolo di leadership mondiale con cui tutti gli altri Stati dovranno misurarsi in una competizione, se non tra nemici, per lo meno tra contendenti l’uno contro l’altro armati.
E’ auspicabile che questa volta l’Europa non si ritragga o, peggio ancora, si allinei – come ha fatto dopo l’attentato alle torri gemelle nel 2001- allo schema del rapporto di forze, ma capisca finalmente che può svolgere il ruolo di proporre un modello di organizzazione sociale che mette al centro la vita umana e la sua qualità nel suo complesso, che ponga al centro l’essere umano soggetto attivo di relazioni armoniche con gli altri e con l’ambiente.

Spero che il mondo non dimentichi quale occasione ha perso, quando non si è opposto alla decisione di proseguire con la logica del dover rispondere a difesa dell’onore con l’offesa, continuando insomma nella logica del dente per dente, occhio per occhio, quasi che non fossero passati due millenni di civilizzazione e di consapevolezza sul senso della vita e del suo valore.
Spero soprattutto che non vengano dimenticati i buoni propositi che lo shock dell’isolamento totale ha suscitato in tutti noi e che ci ha fatto capire con chiarezza il valore della relazione umana, cioè il gusto di poter condividere gli spazi che senza le persone perdono il senso non solo della loro bellezza ma addirittura della loro esistenza.
Spero che in questa nuova fase che stiamo affrontando ci si ricordi pur nelle difficoltà economiche e sociali da affrontare, della lucida consapevolezza che questa pandemia ha prodotto in tutti noi, cioè che quello che sta capitando è la diretta conseguenza del modello di vita frenetico del mondo che nessuno aveva il coraggio di fermare, pur sapendo che stavamo andando a sbattere contro un ignoto terribile.
Spero che si continui a mantenere viva la determinazione iniziale, manifestata in molti ambiti, a scegliere un modello di vita alternativo. Un modello che metta al centro il valore degli esseri umani nella loro specifica qualità di soggetti profondamente liberi, unici e per questo desiderosi di relazione a tutti i livelli. Questo a partire da quello dell‘ambiente che si fonda sulla memoria biologica della nostra evoluzione che si è sempre modulato sulla reciprocità del contatto e della mutua necessità, per sapersi regolare nell’evoluzione.

Come mai la maggioranza delle persone chiuse in casa, avendo tutto il tempo a disposizione ma non lo spazio esterno nella sua interezza, non hanno saputo sfruttare il tempo per studiare, scrivere, leggere cose che avevano accumulato senza riuscire a farlo? Si sono continuati solo i lavori già iniziati e che coinvolgevano gruppi che si sono aiutati a mantenere un legame di continuità, come mai?
Gli esseri umani – nonostante tutta la letteratura che li descrive come una specie animale pensante, che risponde al bisogno e alle necessità ed è legata alla relazione per costituzione biologica – sono qualcosa di più.  Non siamo vincolati a una relazione di specie, abbiamo in noi non la costrizione, ma il desiderio di realizzare noi stessi e di comunicare e condividere per costruire qualcosa di nuovo.  Ci riconosciamo solo quando condividiamo una prospettiva futura: l’essenza della nostra natura è di essere liberi e creativi per creare quello spazio che ci mette in relazione con l’altro. Per avvicinarci all’altro dobbiamo costruire un ponte e lo facciamo volontariamente, non certo per costrizione dell’istinto.
Per questo si può dire che ogni individuo è specie a sé, e che questa nostra realtà esistenziale ci pone davanti a una scelta: o considerare l’altro come modello a cui dobbiamo adattarci, rinunciando alla nostra unicità per farci riconoscere, oppure sceglierlo come occasione per esercitare la nostra unicità creativa che può essere raccolta anche dall’altro in uno scambio reciproco, in una realtà del tutto nuova per entrambi.

Siamo capaci, ora che tutto sta cambiando, di raccogliere e mantenere questa consapevolezza sulla qualità unica di ogni essere umano? Riusciamo quindi a pensare e a costruire una nuova realtà che rispetti questa nostra qualità? Saremo in grado di superare l’angoscia dell’urgenza economica con tutte le sue conseguenze o, addirittura, di un ritorno forzato ad una normalità che comunque non ci soddisfaceva?
Penso che abbiamo raggiunto una sufficiente coscienza del valore della vita umana, e abbiamo anche imparato che la nostra libertà ci rende responsabili della terra e dell’ambiente di cui dobbiamo prenderci cura per indirizzare quella forza inconsapevole della vita vista come natura. Infatti, la vita prevede la legge del più forte e in questo è brutale perché non ammette debolezza. Il gusto umano della relazione tra le diversità è ciò che può trasformare la forza in una convivenza armoniosa fino a creare bellezza

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Grazia Baroni

Grazia Baroni, è nata a Torino nel 1951. Dopo il diploma di liceo artistico e l’abilitazione all’insegnamento si è laureata in architettura e ha insegnato disegno e storia dell’arte nella scuola superiore durante la sua trentennale carriera. Ha partecipato alla fondazione della cooperativa Centro Ricerche di Sviluppo del Territorio (CRST) e collaborato ad alcuni lavori del Centro Lavoro Integrato sul Territorio (CELIT). E’ socia e collaboratrice del Centro Culturale e Associazione Familiare Nova Cana. Dal 2016, anno della sua fondazione, fa parte del gruppo Molecole, un momento di ricerca e di lavoro sul bene, per creare e conoscere, scoprendo e dialogando con altre molecole positive e provare a porsi come elementi catalizzatori del cambiamento. Fra i temi affrontati dal gruppo c’è lo studio e dibattito sulla Burocrazia, studio e invio di un questionario allargato sulla felicità, sul suo significato e visione, lavori progettuali sulla felicità, in corso.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

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