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Da: Roberto Parltrinieri

Giulia Sgarbi, cooperante per varie ONG, in conferenza per gli allievi dell’Istituto Superiore L. Einaudi (lunedì 21 dicembre, ore 10.10-12.10)

Vi racconto ‘La mia Africa’

L’incontro, a distanza, nell’ambito delle iniziative di ApertaMente

“Ex Africa semper aliquid novi”, scriveva Plinio il vecchio nel I secolo d.C. “dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo”. Sei anni in Africa occidentale. Cinque anni in Mali, in un Paese che non sarà mai patria, ma che per Giulia Sgarbi è ormai casa.
Il suo intervento, lunedì 21 dicembre, per gli allievi di alcune classi quarte dell’Istituto Einaudi, vuole essere un’occasione di condivisione di esperienze e riflessioni scaturite da un percorso sul campo; da tentativi di trovare la propria strada, la propria felicità, il proprio posto nel mondo. Il dialogo vuole approfondire visioni che si oppongono alle semplificazioni mediatiche e ai bombardamenti di propaganda attorno al continente africano. Vuole dare un’idea più precisa riguardo al mondo della cooperazione internazionale, troppo spesso confuso con il cosiddetto volon-turismo. Vuole essere un’occasione per interrogare ed oltrepassare gli stereotipi legati a bambini denutriti, terrorismo e migrazioni. Vuole essere un’occasione per andare oltre l’approccio paternalistico e l’esotismo legato ad un continente le cui eccellenze sono spesso ignorate. Vuole essere una fonte d’ispirazione a conoscere di più contesti apparentemente lontani, ma in realtà, sempre più vicini.
Dopo la laurea presso Unife in “Economia delle Amministrazioni Pubbliche e delle Istituzioni Internazionali”, Giulia Sgarbi si trasferisce dapprima a Parigi per una borsa di studio Erasmus, svolgendo studi in economia applicata al mondo dell’arte e della cultura; poi va a Barcellona, dove consegue una laurea specialistica in economia con indirizzo “gestione culturale”. Rientra a Ferrara e durante uno stage con la MLB Home Gallery sviluppa la prima bozza di progetto per l’incubatore di imprese culturali “Spazio Grisù”, in zona Gad. Spirito libero, Giulia torna poi in Spagna per lavorare alla Fiera d’arte contemporanea di Barcellona e a INTERARTS, una fondazione che realizza progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo con una dimensione culturale; si avvicina così al mondo della cooperazione internazionale e, dopo avere conseguito una seconda laurea specialistica a Parigi, in “Azioni Umanitarie Internazionali e ONG”, realizza missioni con le più grandi ONG internazionali, tra cui il Secours Catholique (Caritas Francia), Catholic Relief Services (Caritas USA) e Save the Children International.
“La mia prima missione fu in Pakistan – ci ricorda Giulia –, fra Islamabad e Sukkur, nella regione centrale del Sindh, dove ero responsabile del processo di valutazione finale di diversi programmi pluriannuali. Sono poi stata trasferita in Guinea Conakry, dove ho lavorato all’apertura di un nuovo sub-ufficio nazionale e sono infine atterrata in Mali, dove risiedo da più di 5 anni. Qui ho cambiato diversi lavori ed organizzazioni, per poter restare in un Paese che mi ha permesso di conciliare entrambe le mie professionalità: il settore dell’umanitario e quello culturale; ho collaborato infatti per più di 3 anni con un centro coreografico locale, curando la produzione di 3 festival internazionali di danza contemporanea a Bamako e aprendone uno nuovo a Port-au-Prince (Haïti). Ho inoltre gestito diverse tournée della compagnia in eventi internazionali come il Festival di Avignone e Documenta14. Dal 2018 ricopro il ruolo di “Business Development Manager” per Save the Children International in Mali, occupandomi della coordinazione di tutte le nuove opportunità di progetto e della fundrasing strategy, gestendo le relazioni con i donatori e di cooperazione bilaterale e multilaterale”.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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