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Tipo particolare Stefano, conosciuto ai tempi dell’Università. Passava le ore di lezione ad esercitarsi sui ‘kangi‘, la sera partiva a piedi, facendosi anche svariati chilometri, per andare a lezione di Aikido. Non un ragazzo occidentale, no. Lo è solo nella fisionomia. Ma i modi erano e sono quelli di un’altra cultura, lontana dalla nostra. Il fisico di un italiano che intrappola la mente di un orientale, o meglio, di un giapponese, ma di quelli vecchio stampo, del tipo ‘Bushidō-kimono-katana‘. In ogni suo gesto cercava la perfezione: dal lavare i piatti a quei strani movimenti fatti a lezione di arti marziali. Ragazzo particolare appunto, con il quale ho avuto il piacere di passare due anni di convivenza, e che oggi racconterà un piccolo squarcio della sua nuova vita in Giappone, non un’intervista su castelli, monumenti o particolari riti, semplicemente una squarcio sulla vita quotidiana a più di 9 mila chilometri da noi, in una realtà che ogni anno raccoglie tanti giovani in cerca di un futuro migliore.

Ciao Stefano, come prima domanda direi perchè il Giappone?
Quando ero bambino, lessi l’autobiografia di un pilota di aerei giapponese della Seconda guerra mondiale. Quel libro è stato il mio primo contatto con la cultura giapponese. Per la prima volta ho letto dei samurai e del loro codice d’onore, ma anche di uno stile di vita profondamente diverso dal nostro. Il rispetto per le regole, la sobrietà nei rapporti tra le persone, la cortesia pressoché obbligatoria in qualsiasi attività. Con il tempo, mi sono incuriosito sempre di più, finendo con il convincermi di essere più affine a questa cultura che a quella di origine.

Com’è iniziata quest’avventura?
Sono stato molto fortunato ad essere stato selezionato da una grande azienda di risorse umane, dopo aver pubblicato il mio profilo su diversi portali di annunci di lavoro. L’azienda riceve incentivi dal governo per assumere e preparare un ‘esercito’ di ingegneri informatici o esperti di tecnologia, poiché si prevede che tra qualche anno la nazione si troverà in grave carenza di lavoratori specializzati. Il Giappone sta invecchiando ancora più rapidamente degli Stati europei, e si cerca di prepararsi per tempo. I requisiti, oltre a esperienza e titoli di studio, prevedono anche la conoscenza della lingua giapponese e, ovviamente, la propensione ad integrarsi nella loro società. Personalmente non conosco il giapponese abbastanza bene da esprimermi in un contesto lavorativo. Ho una conoscenza elementare acquisita nei ritagli di tempo durante gli studi universitari. Di base conoscevo già la geografia e i principali aspetti culturali del Paese. Inoltre, ho diversi amici principalmente a Tokyo e prima di venire qui a lavorare ho trascorso una vacanza di 20 giorni tra Tokyo, Kyoto, Hiroshima e altri posti, non sapendo però che dopo qualche mese sarei tornato per trasferirmici. Questo ha reso l’avventura molto meno…avventurosa!

Com’è la tua vita lì?
Attualmente vivo a Tokyo, fuori dal centro ai limiti della periferia, nei pressi di un famoso parco. La vita qui è semplicissima, nonostante i giapponesi ritengono sia stressante. L’automobile è completamente superflua e comunque più lenta dei famigerati mezzi pubblici di Tokyo. Il numero di linee e fermate della metropolitana è impressionante, con 3-4 aziende diverse che si dividono il traffico. La frequenza dei treni fa sì che non si passi molto tempo ad aspettare sui binari. La densità abitativa e commerciale è tale che cercando bene si può trovare di tutto, come supermercati economici, ottimi ristoranti per qualsiasi gusto, o anche servizi aperti 24h.C’è tutto ed è sempre raggiungibile. È molto difficile che succeda di rinunciare a qualcosa di pianificato.

Descrivici una tua giornata tipo.
Sveglia alle 7:30, doccia e colazione con relativa calma, preparazione e alle 8:10 sono fuori. Poco più di 20 minuti a piedi per la stazione più vicina. Ci sarebbe l’autobus, ma risparmio e mi faccio una passeggiata. Arrivato ai binari, mi metto in fila. Di solito, il mio treno non è affollato, ma può capitare delle volte. Venti minuti e arrivo alla mia fermata. Qualche altro passo e arrivo nel mio ufficio, qualche minuto prima dell’inizio della giornata di lavoro: questa è una consuetudine importante in Giappone. Alle 12, esco per la pausa pranzo. Di solito mangio poco per non addormentarmi in ufficio, e cerco di camminare e svagarmi il più possibile. Alle 12:50 torno in ufficio.
Se sono fortunato, dopo le classiche 8 ore lavorative sono fuori e parto di passo svelto per la lezione di Aikido, 20 minuti a piedi dal mio ufficio. Esco dal Dojo alle 20:30, e dopo un’ora tra camminate e treni sono a casa. Ultimamente sono impegnato con parecchio lavoro da fare, e in media lavoro fino alle 20-21 per poi andare direttamente a casa. Per ora vivo in un ostello condiviso con altre 60-70 persone. Ho la mia stanza con letto e scrivania, ma condivido bagni e cucina.

Che rapporto hanno giapponesi e gli italiani?
Sono da tre mesi in Giappone, e non ho fatto alcuna nuova amicizia a parte con un paio di colleghi non giapponesi. In Italia, mi è capitato di restare in contatto con persone conosciute sul treno o in altre circostanze simili. In Giappone è pressoché impossibile rompere il muro di cortesia con uno sconosciuto, o parlare di faccende personali con i colleghi, come succede spesso da noi in Italia. Qui tutti rispettano la riservatezza altrui, e allo stesso modo non si aspettano di dover rinunciare alla propria. Spesso ho l’impressione che alcuni vivano in completa solitudine, specialmente a Tokyo.
Generalmente, i giapponesi sono molto rispettosi per le regole e poco propensi a fare uno ‘strappo alla regola’. Altra differenza con noi italiani: accettano il sacrificio, anche nelle piccole cose. Se riconoscono un errore, si scusano immediatamente, se perdono il treno non si scompongono, se viene loro assegnato un incarico, fanno di tutto per portarlo a termine ma senza cercare scorciatoie o accelerare il processo. Tutti fanno il proprio lavoro con abnegazione, indifferentemente da quanto sia qualificato. Questo fa in modo che tutto proceda come previsto e in ordine. Penso che questo sia indispensabile affinché una metropoli densa come Tokyo eviti di finire nel caos più totale.

Quali sono i problemi di tutti i giorni?
Se potessi scegliere di liberarmi di un problema, molto probabilmente chiederei di poter indossare abiti comodi per andare a lavoro. Negli uffici la formalità è d’obbligo, quindi giacca, camicia, cravatta e scarpe di cuoio. Oltre alla limitata comodità, la rottura di scatole è fare continuamente attenzione per evitare di fare frequenti visite alla lavanderia più vicina, ed anche fare attenzione agli abbinamenti. Un paio di volte mi è capitato di essere stato richiamato per via di tonalità troppo scure , associate a funerali o malavita organizzata. Altro problema è la comunicazione: a differenza di quanto si pensi, in Giappone l’inglese è estremamente poco diffuso, nonostante sia insegnato a scuola e ci siano migliaia di istituti privati che fanno buoni affari. Aprire un conto in banca ed evitare di fare casini con i documenti da compilare è stata un’impresa, sembra strano ma adorano le scartoffie. La tecnologia è scarsamente applicata ai servizi amministrativi.

Conosci altri italiani?
Conosco solo un altro italiano, mio collega. Come me è stato assunto mentre era in Italia, con un procedimento simile. Abbiamo trascorso le prime settimane nello stesso ufficio, per poi essere assegnati a due destinazioni diverse. Non penso di incontrarlo di nuovo a breve, poiché ora viviamo agli estremi della città.

Il lavoro: quali sono le differenze con l’Italia?
Nella mia esperienza, seppur limitata, non ci sono differenze con l’Italia per ritmi e orari di lavoro. A volte si leggono notizie di giapponesi che si suicidano per il troppo lavoro, ma sono casi isolati, che vengono attentamente analizzati e finiscono con l’individuazione delle responsabilità. Al momento il governo sta attuando misure per risolvere il problema.
Il mio lavoro è molto simile a quello che svolgevo in Italia, e ultimamente capita spesso di lavorare oltre le classiche 8 ore. La differenza però è che qui si mette tutto nero su bianco e vengo pagato al minuto in maniera molto precisa.
In Italia, ho iniziato lavorando in nero con una retribuzione minima, pur essendo qualificato. Lasciai quella posizione dopo l’ennesima promessa di assunzione mai avvenuta. Non penso ci sia necessità di commenti sulla condizione del lavoro in Italia. In Giappone una cosa del genere credo sia estremamente rara, ma è anche vero che l’economia è di gran lunga più solida, la pressione fiscale molto minore, e il mercato del lavoro pieno di opportunità. Attualmente la mia retribuzione mi permette di essere completamente autonomo, seppure sia quasi al minimo stabilito per legge. Se le mie capacità linguistiche fossero più solide, la mia situazione economica ne gioverebbe parecchio.
Molti poi in ufficio si appisolano durante l’ora per il pranzo, e se capita che non si alzino per tempo, vengono svegliati dai colleghi. Ho visto molte persone dormire sui treni della metro anche quando è affollata ma sempre silenziosa. In Giappone nessuno parla al cellulare sul treno, e degli annunci all’altoparlante consigliano di impostare la modalità silenziosa della suoneria.

E’ difficile vivere in Giappone?
In Giappone è semplicissimo organizzarsi. Gli orari sono sempre rispettati, e la qualità dei servizi, di ogni genere, è elevata. La qualità dei prodotti è alta, anche per merci considerate economiche. Il traffico praticamente non esiste, e mai visto rotonde. Vivere a Tokyo per me è più facile che vivere nella città dove vivevo in Italia.
A volte però questa qualità si paga, soprattutto per i mezzi pubblici e alcune categorie di prodotti di uso quotidiano come frutta o cosmetici tipo shampoo e deodoranti. Per altri servizi invece il costo è proporzionato alla qualità, tipo internet e telefonia, mentre i servizi postali sono come costo paragonabili all’Italia ma non per efficienza.

Si dice spesso che i giapponesi pecchino di razzismo, è vero?
È vero che i giapponesi non impazziscono per gli stranieri, ma non ho l’impressione di non essere accettato. È difficile integrarsi per via delle loro consuetudini sociali complesse e difficili da comprendere, e per la loro riservatezza. Posso garantire però che non farebbero nessuna discriminazione in base alla nazionalità, e si asterrebbero da qualsiasi commento a riguardo. Le regole sono tali per tutti, e su questo non si transige. Se ho un diritto, questo mi verrà garantito senza sorprese. Più che di razzismo, direi che sono molto selettivi sui requisiti per l’ingresso nel Paese, ma di recente il governo sta facilitando le procedure. Nel 2016 si è avuto il record di residenti stranieri:per la maggior parte cinesi, vietnamiti e filippini.

Quali sono le opportunità in Giappone e il futuro che ti aspetti?
Si dice che qua ci siano più posti di lavoro che candidati. Il mio obiettivo è di vivere regolarmente, di fare un lavoro che mi piaccia senza necessariamente dovermi arricchire. La stabilità politica ed economica, seppur non eccezionale, e la qualità della vita consentono di vivere dignitosamente e indisturbati. La criminalità è ai minimi mondiali, il patrimonio artistico e culturale cospicuo e variegato, anche se non paragonabile a quello italiano, ci sono tanti luoghi da visitare, tra natura e tradizioni locali. A differenza dei giapponesi, non ambisco a una carriera lavorativa o a contribuire alla crescita del Paese, ma a crearmi il mio spazio e la mia serenità, possibilmente fuori da Tokyo, magari più a nord, tra le montagne, dove la gente è più semplice e le tradizioni più autentiche.

Dopo averlo salutato e ringraziato, ripenso a quante avventure abbiamo passato insieme, e questo mio breve scritto vorrebbe solo essere un esempio, in quel panorama di emigrazione che ci sta tormentando, di giovani che trovano lontano da casa uno Stato che investe sul futuro, consapevole che la miglior risorsa sia quella della cultura e incentiva addirittura le aziende a ‘ringiovanire’ il proprio organico, approfittando anche dell’immigrazione di tanti ‘cervelli in fuga’. Ma Stefano è un ragazzo particolare come dicevo all’inizio, lui non è un ‘cervello in fuga’, nonostante la sua notevole bravura nel campo informatico.

Stefano, semplicemente, è tornato a casa.

Il treno affollato, ma non troppo
Un scorcio di Tokyo con un ristorante
Si aspetta ordinatamente di entrare nel vagone
…anche in Giappone
Nessuno sfugge alle multe
Anche aspettando il treno non si parla
Stazione di Okubo
La stazione di Shinjuku
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Jonatas Di Sabato

Giornalista, Anarchico, Essere Umano

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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