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Edoardo Bennato, nel 1977, cantava La Fata. «E forse è per vendetta e forse è per paura o solo per pazzia ma da sempre tu sei quella che paga di più. Se vuoi volare ti tirano giù. E se comincia la caccia alle streghe, la strega sei tu. E insegui sogni da bambina e chiedi amore e sei sincera. Non fai magie, né trucchi, ma nessuno ormai ci crederà. Chi ti urla che sei bella, che sei una fata, sei una stella. Poi ti fa schiava, però no, chiamarlo amore non si può». Sono passati 36 anni eppure, queste parole, sono tutt’oggi di grande attualità. Chi scrive avrebbe voluto leggerle, ieri, al seminario Comunicazione e violenza di genere, organizzato da Comune, Provincia, Centro Donna Giustizia e Udi, alla Sala Musica del Chiostro San Paolo, nell’ambito delle iniziative legate alla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, ricorsa lo scorso 25 novembre. Ma non c’è stato il tempo, perché gli spunti emersi sono stati davvero tanti e tenere il filo era difficile. Questo a significare che il ragionamento sul tema è talmente complesso e articolato che le angolature dal quale afferrarlo sono molteplici. Giovanna Pezzuoli, autrice del blog del Corriere della Sera La 27esima ora, ha preso le distanze dall’utilizzo del termine ‘vittima’, cui preferirebbe ‘condizione temporanea’ di fragilità’, meno impattante, diciamo così, ai fini dell’elaborazione interiore della riconquista del proprio futuro. Serena Bersani, della rete Giulia (Giornaliste Unite Libere e Autonome), ha rimarcato come ancor oggi si utilizzi il maschile nell’identificazione dei ruoli – il Presidente invece che la Presidente – e come certi titoli di giornali siano profondamente e volutamente equivoci. «Baby Squillo – ha spiegato a mo’ di esempio con riferimento alle tristi vicende romane di prostituzione giovanile – o sono baby o sono squillo». Francesca Barzini, de Il Fatto Quotidiano e già coautrice del programma Rai, Presa Diretta, ha rilevato come ogni passaggio di un dramma andrebbe capito e messo in relazione al precedente. Troppo spesso invece si arriva soltanto alla fine e si parte di lì. «Quello è l’epilogo, prima ci sono stati segnali. Bisogna chiedersi se sono stati individuati». Tutti punti di vista, quelli delle relatrici – legati l’uno all’altro dagli interventi di Paola Castagnotto, responsabile del Centro Donna Giustizia, e introdotti dall’assessore comunale, Deanna Marescotti – che avrebbero meritato un convegno a parte tanto è vasta la materia. Materia che attiene all’educazione, alla socialità, alla cultura. E che subisce gli effetti della crisi economica, laddove la realizzazione personale femminile diventa più difficile e i ruoli, in casa, tornano spesso ad essere ‘impari’. Ma la sintesi, dicevamo, serve. Anche questo è emerso ieri. Come serve una soluzione. Che non può limitarsi al sollievo per la ratifica, da parte dell’Italia, della Convenzione di Istanbul, la cui lettura attenta rivela certamente un impegno, e notevoli passi avanti, ma anche i limiti di una cultura che troppo spesso si ferma agli intenti e al tentativo di dare definizioni, come nel caso della violenza domestica, che finalmente non viene più sminuita. Alla responsabile del Tg di Telestense, la giornalista Dalia Bighinati, che ha moderato il dibattito, va riconosciuto il merito di avere chiesto l’intervento dei colleghi del territorio: tanto dei quotidiani quanto degli uffici stampa. Un aspetto affatto scontato, perché la comunicazione si compie a vari livelli e quel che si legge o si ascolta al tg, è spesso il prodotto finito. Prima, al lavoro, ci sono altre professionalità, altre sensibilità. Come ha ben rimarcato Alessandro Zangara, responsabile dell’Ufficio Stampa del Comune di Ferrara, che ha sottolineato l’impegno suo e delle colleghe nello studio e nella divulgazione di un linguaggio anche di genere. E se l’atmosfera si è animata un po’ quando il collega de Il Resto del Carlino, Daniele Modica, ha rivelato di aver chiesto a un’associazione femminile di poter fare un servizio ‘sul campo’, e di avere ricevuto un rifiuto in quanto uomo, è innegabile che il suo contributo è stato fondamentale per rilevare che una sensibilità maschile c’è. E che non tutti gli uomini sono dei ‘bruti’ – come poi ha confermato Michele Poli, del Centro d’ascolto Uomini Maltrattanti, che ha insistito sulla necessità di sviscerare il punto di vista maschile – come non tutte le donne sono delle ‘fate’. Noi riteniamo, e questo abbiamo detto, che accanto alle vulnerabilità della condizione femminile, vadano evidenziati i punti di forza, che ci sono. Che lottare è giusto e doveroso, ma non solo per contrastare una cultura che permette a un uomo di perseguitarci o alzare le mani contro di noi perché incapace di accettare un rifiuto o un abbandono. Ma per affermare la nostra identità, le nostre prerogative. C’è una generazione, quella delle quarantenni di oggi, cui la sottoscritta appartiene, che gli strumenti per raggiungere una certa consapevolezza li ha avuti. Non tutti nella stessa misura, ci mancherebbe, ma in buona parte. Certo non generalizziamo. Poi c’è la generazione precedente, che ha dovuto conquistare ogni spazio, ogni diritto. Ma il vero problema sono le giovani e i giovani di oggi, depauperati o privati di valori cui aggrapparsi. Che spesso dimostrano di non capire o di non sapere che il corpo è quanto di più sacro abbiamo e se non impariamo a rispettarlo, non sapremo mai né rispettare gli altri né noi stessi. O noi stesse. Ecco perché in una società che ancora troppo spesso ammanta di romanticismo delitti efferati, che definisce ‘raptus’ un’azione premeditata, che giustifica con la locuzione ‘lato oscuro’ la convinzione di essere impuniti e impunibili, la sensibilizzazione va fatta a più livelli, a cominciare dalla scuola, la prima agenzia formativa. A noi l’argomento ha appassionato e ringraziamo gli organizzatori per l’invito. Sarebbe bello continuare su questa strada, quella del confronto tra i media e le istituzioni. Intanto per questa settimana, FerraraItalia ha deciso di accogliere gli interventi di chi vorrà dire la sua sull’argomento. Un argomento su cui, Bennato ci insegna, le cose da dire non si esauriscono mai.
Per inviare, è andare nella sezione “contatti”.

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Camilla Ghedini

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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