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Un martedì rovente a Milano, di quelli che ti fanno pensare di respirare acqua anziché ossigeno.
Piazza Leonardo da Vinci affollata, brulicante di studenti, familiari, amici e parenti pronti a festeggiare i neo laureati del Polimi – acronimo di Politecnico di Milano. Dallo storico edificio del 1863, nel quale si sono formati Renzo Piano, Carlo Emilio Gadda, Gio Ponti e intere generazioni di ingegneri, architetti e designer, emergono gruppetti di studenti  giovani, belli, vestiti a festa come circostanza impone, sorridenti e pieni di quelle fantastiche energie che si captano, si sentono.
Si posizionano nel parco di fronte all’ateneo, una folla coloratissima ed elegante intenta a seguire i riti che conosciamo: il goliardico e irrinunciabile coretto “dottore, dottore…” a cui si uniscono senza remore perfino le signore più distinte, qualche botto e fumogeno che appesantisce il respiro già messo a dura prova dall’afa, i mazzi di fiori, i calici di plastica (non c’è altra possibilità ma non importa) in cui scorrono bollicine a cascata, dolcetti, snack, le foto con la corona d’alloro sul capo e la tesi stretta tra le mani con il titolo bene in vista.
C’è chi ha portato un tavolino pieghevole da camping, su cui appoggiare teglie di squisitezze meridionali che la nonna lontana ha provveduto a mandare, chi avvia canzoni e suona una chitarra. Padri che vedono coronare il loro sogno nella realizzazione dei figli e hanno puntato i risparmi sulla loro formazione; madri premurose fino all’apprensione che seguono adoranti le figlie senza mai perderle di vista, come non fossero mai cresciute; genitori compassati degli ambienti bene, che si muovono con la sicurezza di chi ha già collocato il figlio nell’azienda o studio di famiglia; famigliole timorose che si guardano attorno incuriosite in quell’ambiente inusuale. Ma ciò che conta sono loro, i protagonisti assoluti di quel momento.

C’è tanta e legittima fierezza in questi ragazzi: è stata dura, i tempi della pandemia hanno aggravato gli sforzi e richiesto un repentino adattamento a modalità di studio non previste. E quell’istituzione, che tra i tanti meriti, nel 1953 fu il primo Centro di calcolo dell’Europa continentale e nel 1977 fu partner preziosa con CNR, Telespazio e CIA nella costruzione di Sirio, il primo satellite artificiale di produzione italiana, messo in orbita in USA da Cape Canaveral, ha riconosciuto e convalidato  il sacrificio di coloro che hanno concluso meritatamente il percorso triennale e magistrale.
Scene di quella normalità ascritta al periodo pre pandemico, quando la parola distanziamento sottintendeva una pessima situazione relazionale di conflitto e le mascherine rimandavano a scene furtive e losche. Un martedì di festa in cui un guizzo di libertà – seppure rimangano i segni insopprimibili delle restrizioni e dei timori che hanno caratterizzato le nostre vite degli ultimi due anni – sottolinea il bisogno e la voglia di stare con gli altri, condividere con loro.
E l’università è fatta soprattutto di incontri, scambio, contaminazione di culture ed esperienze, confronto. La didattica universitaria si è trasferita online: corsi, esami, sessioni di laurea, con l’impossibilità di accedere ai laboratori, di creare un ambiente relazionale di cui lo studente ha bisogno, lasciandolo necessariamente solo, data l’emergenza, con le sue paure, i suoi interrogativi, le sue frustrazioni, tante aspettative e tanta voglia di farcela. Non si può credere che il “full digital” possa rappresentare la modalità futura più accreditata e risolutiva, perché si verrebbe a perdere gran parte della produzione culturale con conseguenze preoccupanti. Una soluzione ibrida, una didattica blended – didattica mista – costituirebbe la scelta utile per affrontare questo momento di emergenza e incertezza, come ha affermato il Rettore del Polimi, prof. Ferruccio Resta, Presidente della CRUI, Conferenza dei Rettori delle Università italiane, e le università stanno già lavorando per trovare soluzioni.
Riconsegniamo ai giovani il loro presente perché la gioventù non ha né passato né futuro e riconsegniamo loro ciò che, citando Jim Morrison, è stato da sempre celebrato: la gioia di vivere, la scoperta di se stessi, la libertà.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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