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2 / SEGUE – “Rimane alta la qualità del sistema produttivo italiano, ma diminuisce la qualità della vita e del contesto socio-economico, dell’ambiente e dell’offerta di servizi pubblici”, questa la sintesi interessante di una recentissima ricerca di cui ci piace rendere partecipe il lettore di Ferraraitalia.

L’indagine si basa sull’utilizzo di tre indicatori che rappresentano ciascuno la sintesi di diverse variabili statistiche riferite al periodo 2009-2012.
I tre indicatori si riferiscono a tre aspetti importantissimi della nostra società e ne valutano il livello: il sistema produttivo ha una buona propensione all’innovazione e alla crescita; la qualità della vita è in forte diminuzione con un fortissimo scarto tra nord e sud; la qualità dell’ambiente è in calo in tutto il Paese.
Gli indicatori che hanno determinato i tre punti evidenziati sono il frutto di variabili così espresse:

  • la nati-mortalità delle imprese, l’andamento dei brevetti e marchi depositati in Italia da aziende italiane, la produttività del lavoro, il ricorso all’Ict, i fallimenti, le assunzioni di figure professionali specializzate e l’andamento delle certificazioni per il sistema di gestione della qualità;
  • l’indice di povertà regionale delle famiglie, la spesa per consumi, i depositi pro-capite, il tasso di disoccupazione, l’indice di partecipazione ad attività di volontariato, le spese culturali;
  • i consumi energetici delle famiglie, le opinioni sulla qualità dell’aria, la pulizia delle strade, l’inquinamento acustico della zona di residenza, la disponibilità di verde urbano e i servizi di raccolta differenziata dei rifiuti;
  • l’offerta di trasporto pubblico, l’erogazione di servizi idrici, i servizi socio-assistenziali, i servizi medico-ospedalieri.

Come è bene notare, tutte le citate variabili rappresentano un contesto sociale e di costume profondamente cambiato; se si prendono le composizioni dei panieri degli indici del passato recente, anche quelli dell’ultimo decennio del ‘900, quelle variabili non si trovano più, sono sparite per dare spazio ad un “sistema vivendi” radicalmente spinto ad un salto in avanti nel futuro, anche nel vissuto della crisi dal 2008 fino ad oggi.
Se questa è “l’Italia in Europa” e “l’Europa nel Nord America“, quali percorsi di crescita di questa macro-area del mondo dovremmo continuare a percorrere per essere di nuovo attori di un benessere diffuso?
La risposta forse sta nei processi di globalizzazione, sta nel vedere come si muoveranno le altre macro-aree come l’Asia o la Russia con i suoi nuovi e ritrovati satelliti, quali scossoni arriveranno dall’Africa, dentro ad un tempo che cambia rapidissimamente e che ridisegnerà la nuova geo-politica.
Una sfida piena di insidie, ma che comunque avrà gambe e che sarà vincente per chi saprà stare al gioco. Che sia vincente il mondo intero e che la torta del benessere sia divisa in parti uguali, secondo criteri di dignità, giustizia e pace, è la nostra speranza, di chi pensa di stare con le persone.
Ma non ci fermiamo qui, ci pare interessante continuare, associando a questo contenuto anche l’immagine di una “società sciapa e infelice in cerca di connettività”, come bene ci illustrano i grafici del Censis.

Ecco alcune “colorazioni” del nostro Paese, tratte dal Rapporto 2013:

Il crollo non c’è stato, ma troppe persone scendono nella scala sociale. Nuovi spazi imprenditoriali e occupazionali in due ambiti: revisione del welfare e economia digitale. Il sistema ha bisogno e voglia di tornare a respirare, oltre le istituzioni e la politica.

Oggi siamo una società più «sciapa»: senza fermento, circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa. E siamo «malcontenti», quasi infelici, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali.

Manca quel fervore che ha fatto da «sale alchemico» ai tanti mondi vitali che hanno operato come motori dello sviluppo degli ultimi decenni; si intravede, tuttavia, una lenta emersione di processi e soggetti di sviluppo che consentirebbero di andare oltre la sopravvivenza.

Il nuovo Welfare: crescono il welfare privato (il ricorso alla spesa «di tasca propria» e/o alla copertura assicurativa), il welfare comunitario (attraverso la spesa degli enti locali, il volontariato, la socializzazione delle singole realtà del territorio), il welfare aziendale, il welfare associativo (con il ritorno a logiche mutualistiche e la responsabilizzazione delle associazioni di categoria).

L’economia digitale: dalle reti infrastrutturali di nuova generazione al commercio elettronico, dalla elaborazione intelligente di grandi masse di dati agli applicativi basati sulla localizzazione geografica, dallo sviluppo degli strumenti digitali ai servizi innovativi di comunicazione, alla crescita massiccia di giovani «artigiani digitali».”

Molta carne al fuoco è stata messa nella narrazione, forse associando anche il non associabile, ma la complessità della ‘visione’ ci porta anche a credere che fosse inevitabile per quell’elefante entrare nella cristalliera, l’ultima chance che forse resta al nostro Paese, meglio al resto del mondo per farcela.
Se c’è una crisi antropologica e se questa, come sembra, ha raggiunto il suo apice e limite, nel poco tempo che rimane sarà necessario far tirar fuori il fiato a questa società, sempre nella cornice di buone regole di convivenza ovviamente.
Si sente in giro parlare di un “santo subito” per quel 40% e oltre che il Presidente del Consiglio del nostro Paese ha portato a casa per le elezioni europee e forse possiamo anche aggiungere che la divina provvidenza non ha mai limiti.
Ma attenti alle resistenze, soprattutto a quelle nascoste che allungano la mano senza vederla. E non resta che correre… vai Matteo, e a sentirci tra qualche anno!

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Enzo Barboni


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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