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Giorno: 18 Dicembre 2013

burocrazia

Il laboratorio, fiaba macabra di disordinaria burocrazia

Complici le festività che incombono, vorrei raccontarvi una delicata fiaba natalizia, dalla quale il lettore avveduto trarrà agevolmente una morale illuminante. Dunque, mica tanti giorni fa, in una città lontana lontana che chiameremo col nome di fantasia di Ferrara, c’era un giovane disoccupato che non riusciva a trovare lavoro perché il paese nel quale viveva era in crisi, le imprese chiudevano, molte famiglie faticavano ad arrivare a fine mese e perfino gli immigrati tornavano a casa loro perché là si stava meglio. Un giorno il giovane ebbe un’idea: metterò su un bel laboratorio di restauro mobili, si disse; il lavoro mi piace, sono bravo a farlo e potrei ricavare una stanzetta piccina piccina picciò dentro al magazzino che sta dietro la casa che al mercato mio padre (e anche mia madre) col sudore della fronte comprò, facendosi un coso che non si può dire nelle favole per via dei bambini che ascoltano, ma era un coso della madonna, e pagandoci sopra la Bucalossi, l’Ici, l’Imu, la Tares, la Tasi e tutte le altre tasse che gli uomini cattivi che governavano il paese avevano imposto alla popolazione, usando il denaro per comprare, tanto per dirne una, le mutande verdi di uno di loro, che intanto che si comprava le sue mutande coi soldi del mio papà e della mia mamma andava con altri come lui nelle piazze ad urlare lo slogan Roma ladrona, che se se ne stavano zitti tutti quanti ci facevano più bella figura. Così non sarò costretto a comprare un capannone, pensava il giovane ingenuo, che tanto i soldini non ce li ho e comunque la banca non mi darebbe nessun prestito visto che sono disoccupato e non posso darle garanzie.
Detto fatto, il giovane intraprendente si presentò baldanzoso agli uffici comunali della immaginaria città di Ferrara ed espose il suo progetto. Un comprensivo impiegato lo stette pazientemente ad ascoltare e poi gli disse dolcemente: giovanotto, nella stanzetta piccina piccina picciò che sta dentro al magazzino che hai dietro la casa che al mercato tuo padre (ma anche tua madre) col sudore della fronte comprò manca il bagno, e non puoi avviare un’attività se non sai dove andare a fare pipì. Poco male, rispose il giovane un po’ meno baldanzoso; ho la casa dove abito a dieci metri, se mi scappa vado nel bagno della mia abitazione che al mercato eccetera eccetera. Giovanotto, giovanotto, scosse la testa il comprensivo impiegato, così non va bene: se un domani tu dovessi cedere a qualcun altro l’attività di restauro che vorresti fare nella stanzetta piccina piccina picciò che sta dentro al magazzino e tutto quel che segue, questo qualcun altro dove andrebbe a fare pipì? Allora il giovane, molto meno baldanzoso, argomentò argutamente: basterebbe che mi deste un’autorizzazione ad personam, che tanto in questi anni c’è stato chi si è fatto le leggi, ad personam, e nessuno ha fatto una piega, anzi la gente continua a stravedere per questo tizio e alle ultime elezioni abbiamo dovuto chiudere a chiave in camera da letto la nonna che sennò andava a votare anche lei per quel soggetto lì. Se chiudo l’attività voi revocate l’autorizzazione e la stanzetta piccina piccina picciò con tutto quel che ci tiene dietro ritorna a far parte del magazzino. Non si può fare, replicò bonario ma severo l’impiegato comprensivo. E un’autorizzazione temporanea?, tentò il giovane molto ma molto meno, anzi quasi per nulla baldanzoso: mi date tempo tre anni per capire se il lavoro può andare o se mi tocca cercarmene un altro, poi se decido di continuare mi trovo un nuovo laboratorio, magari ci posso investire i soldini che ho guadagnato. Niente da fare, obiettò inflessibile l’impiegato comprensivo. Ma così non incentivate mica i giovani a trovarsi un lavoro e non favorite neanche tanto la nascita di nuove imprese, che con la crisi che c’è gli imprenditori si impiccano alle capriate per disperazione e gli operai aspettano che quelli delle pompe funebri liberino il posto dentro al cappio per risparmiare sulla corda e lo Stato spende un sacco di soldi in cassa integrazione e anche in autopsie, che non è neanche un bel vedere, disse il giovane ormai avvilito. Hai ragione figliolo, concesse magnanimo l’impiegato comprensivo, ma è la legge. Vedi? Oltretutto abiti in una zona di rispetto agricolo, e anche volendo non potremmo trasformare in laboratorio la stanzetta piccina piccina picciò e compagnia cantante. Quindi statti buono, non rompere l’anima alla gente che lavora e fanbrodo te e la tua stanzetta, che se ti schiodi col culo dalla sedia avrei anche delle cose più importanti da fare.
Fine della favolina di Natale, amico lettore. La morale è semplice semplice. Nelle favole si può fare tutto: cavare nonnette ancora vive dalla pancia di un lupo, sconfiggere orchi, fare la bella vita sposando principi azzurri bellissimi senza essere costrette a darla ogni tre per due a vecchiacci bavosi pieni di grinze come capita invece alle fanciulle in fiore nella vita di tutti i giorni, ma non si riesce a far fare alla burocrazia italiana qualcosa di sensato. Buone feste.

buskers

Crollano i turisti i città (-25% in 4 anni) ma il terremoto non c’entra

di Lanfranco Viola

Gentile Direttore,
come sempre accade, tutti cercano di infilare la parola “turisti” nei loro discorsi, poi nessuno riesce a fare “due più due uguale quattro”, quando esamina il tragico declino dell’industria dell’ospitalità a Ferrara.
Giovedì 12 dicembre è apparso su un quotidiano cittadino, a pagina 2, un articolo dal titolo “Spettatori e visitatori in calo. Crollano i musei e il Comunale”. Sottotitolo: “I dati dell’ufficio statistica del Comune disegnano un quadro allarmante”. Articolo con tanti numeri, ma senza nessuna analisi (come sempre), tanto per non esporsi troppo.
Di quei numeri ne riprendo qualcuno:
Nei musei i visitatori sono passati dai 199.846 del 2007 ai 147.091 del 2011 (prima del terremoto) cioè -52.751 pari a meno il 25% in soli 4 anni. Complimenti all’assessore ai musei.
Al castello Estense i visitatori sono passati dai 123.945 del 2007 ai 99.550 del 2011 (sempre prima del terremoto) cioè – 24.395 sempre meno circa il 25% in soli 4 anni. Complimenti ai funzionari (?) provinciali che gestiscono il castello.
Visto che tale calo di circa il 25% è analogo alla dimensione della disastrosa riduzione delle presenze turistiche in città, non credo che ci voglia un grande acume, per mettere in relazione i due fatti. Nessuno però lo fa, tanto meno l’estensore dell’articolo citato, anche perché se lo avesse fatto, avrebbe dovuto stabilire anche una seconda relazione tra tale drammatica riduzione e la inconsistente promozione svolta dagli enti locali negli anni in oggetto, a favore dell’industria turistica locale.
E’ stato proprio in questi anni che qualche Arci-esperto (ben retribuito) si è persino inventato la campagna pubblicitaria delle Emozioni Tipiche Garantite (vedi) che, costate oltre 250.000 euro, si sono rivelate un flop colossale.
Gli errori si pagano, prima o poi; peccato che a pagarne le conseguenze sia stata l’economia della città e sopratutto quella del suo centro storico.
Centinaia di migliaia di turisti in meno, nel corso degli anni, ha significato molte, molte centinaia di migliaia di acquisti in meno nei suoi negozi e ristoranti.
Desidero ricordare qui, se mai ce ne fosse bisogno, che i turisti, specialmente stranieri, non fanno acquisti ai supermercati delle Coop e non pranzano ai kebab.
Queste, fatte qui, sono (secondo me) le ovvie conclusioni a cui anche un giornalista non particolarmente ferrato sarebbe potuto giungere, con un po di onestà.
In presenza di tale grave lacuna, ho provato io a colmarla con queste brevi note, nella speranza che il suo nuovo quotidiano online voglia pubblicarle e vengano anche commentate.
Cordiali saluti
arch. Lanfranco Viola

servizi-ambientali

Per l’ambiente servono strategie e alleanze d’impresa su scala nazionale

Il sistema dei servizi pubblici locali, nonostante sia al centro dell’attenzione da molti anni sia sul piano delle riforme possibili sia sul suo ruolo, evidenzia posizioni contrastanti; manca una condivisione di politica industriale, di sviluppo sociale ed economico dei territori. Deve crescere la condivisione del servizio pubblico locale in una logica di trasparenza e di sviluppo della qualità. L’evoluzione del sistema in questi anni è stato costruito grazie all’intensa attività delle imprese di servizi pubblici ambientali che hanno sviluppato strategie aziendali e innovativa politica industriale, ma è mancato un quadro di regolazione e di vigilanza che ne potesse guidare gli sviluppi.
In alcune regioni, e sicuramente in Emilia Romagna, le concentrazioni d’imprese, la politica industriale di miglioramento e la crescita della imprenditoria pubblica hanno prodotto crescita del valore, economie di scala ed efficienza economica. L’obiettivo generale deve però essere quello di costruire a livello nazionale grandi imprese o alleanze tra imprese per favorire occupazione ed investimenti in un settore ambientale sempre più delicato per la tutela dell’interesse pubblico nel rispetto degli indirizzi comunitari. Si rileva come la definizione delle regole siano in palese ritardo nel sistema del ciclo idrico integrato, ma anche, ed è ancor più grave, per la gestione dei rifiuti.
Si ritiene si debba allora affrontare il tema non solo sul livello politico, ma debba crescere il confronto sul delicato e prioritario ruolo della impresa di servizi pubblici (indipendentemente dal fatto che si tratti di pubblica o privata). L’impresa di servizi pubblici, infatti, è una impresa che deve operare economicamente perseguendo fini collettivi e risultati sociali e quindi non è rappresentabile solo dall’efficienza e dal profitto, ma si deve valutare dal contributo al benessere della società. L’obiettivo prioritario è costruire grandi imprese o alleanze tra imprese che favoriscano occupazione ed investimenti in un settore ambientale sviluppato.

In alcuni territori (sicuramente in questa regione) le concentrazioni d’imprese, la politica industriale di miglioramento e la crescita della imprenditoria pubblica hanno prodotto crescita del valore, economie di scala ed efficienza economica. Le imprese con interessi collettivi (e dunque quelle che operano nei servizi pubblici) devono rispondere ad una utilità sociale e garantire la congruenza delle prestazioni, le condizioni di sviluppo tecnologico, la verifica continua della qualità attesa ed erogata, la sostenibilità ambientale.
Il bisogno di “governance” nei servizi pubblici ambientali ha dunque portato con sé anche elementi di conflitto tra interessi contrapposti in cui a finalità sociali e di miglioramento della qualità della vita si intersecano e talvolta si contrappongono esigenze economiche di tipo societario. La distinzione dei ruoli ed il sistema del controllo devono dunque essere questioni prioritarie e centrali. Il settore dei servizi pubblici ambientali in generale ed il ciclo dell’acqua in particolare richiedono che siano garantiti forti principi di regolazione per favorire la prevalenza del sistema integrato e della gestione unitaria. Si tratta allora di rivedere l’intero ciclo dei servizi in una logica complessiva e non di minor costo, orientata verso economie di scala e progetti integrati (quantità adeguata alla domanda e qualità compatibile con la economicità). Deve essere favorita la regolamentazione del mercato attraverso il ricorso agli strumenti di governo del territorio (pianificazione, programmazione, autorizzazioni, etc), con la predisposizione di accordi di programma, il supporto tecnico-informativo (analisi, ispezioni, controlli, etc) e la predisposizione di incentivi-disincentivi economici. In sintesi ben vengano le gare solo se il principio da perseguire sarà il miglior servizio per il cittadino ed il maggiore rispetto dell’ambiente (e della preziosa risorsa idrica bene di tutti).

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Alla ricerca del Proust perduto

Nella quasi incredibile presunzione umana non si può dire che i francesi siano secondi a nessuno. Come gli italiani, sono un popolo fatto di attrazione per i miserabilia e nello stesso tempo da questa loro naturale disposizione creano opere di una grandezza ineguagliata. Ritornare a Parigi con la ferma convinzione di vedere luoghi e monumenti da sempre accuratamente evitati quali la tomba di Napoleone o il Sacro Cuore (ah! La presunzione degli intellettuali d’antan…) non mi ha però impedito la decisione di andare a rendere omaggio alla tomba del Grande secondo l’antica esortazione foscoliana. Dopo avere l’anno scorso traversata mezza Francia per vedere la casa della “tante Leonie” e ammirare le madeleines ovvero il biscotto della memoria, dopo aver meditato sul cappotto di Marcel al musée Carnavalet, dopo essere entrato nella hall del Grand Hotel di Combray protetto dall’immagine delle jeunes filles en fleur, decido tra una mostra straordinaria sui gioielli di Cartier che sarebbe tanto piaciuta allo scrittore e la visita al Musée Rodin di attraversare Parigi per recarmi in commossa meditazione sulla tomba dello scrittore. Arrivo dunque al Père-Lachaise il cimitero monumentale di Parigi dove migliaia di giovani vanno in commosso e tribale pellegrinaggio alla tomba di Jim Morrison e mi avvicino al burbero guardiano che con fare sbrigativo mi dice di guardare sui tabelloni ma che comunque la tomba è molto lontana. Gambe in spalla consulto il cartellone e trovo che la tomba 90 (quella di Proust) è nell’appezzamento 85. Nulla. La tomba mi si rifiuta forse perché Marcel non sa che farsene di un vecchio suo lettore che ha per lui solo ammirazione e amore. Ai numerosi visitatori chiedo con fare umile se sapessero indicarmi la via: stupore e sconcerto. “Proust? Quoi? Poi deluso e irritato scendo ad un’uscita secondaria (tenete bene presente “uscita” e qui, fuori, trovo un addetto che ‘vende’ la mappa del cimitero… Pensate allora se a Ravenna non vi sapessero indicare la tomba di Dante o, a Milano, quella di Manzoni. Capisco che per un turista qualsiasi Proust è “un nome vano sanza soggetto” ma qui si rischia il ridicolo o meglio l’offesa e l’umiliazione a cui la cultura da sempre è soggetta e specialmente in questo momento storico. Se il nome di Proust anche nella cultura medio-bassa in Francia non significa più nulla o solo un ricordo cancellato sicuramente qualcosa non va. Come l’ennesimo scandalo che il 16 dicembre Adriano Prosperi denunciava su “La Repubblica” a proposito delle miserande condizioni in cui sono ridotte due tra le più importanti biblioteche d’Italia: quella della Sapienza di Pisa e quella storica di Modena. La stessa indifferenza per uno scrittore -che letteralmente ci ha obbligato a prendere coscienza di ciò che sta al di sotto di ciò che vogliamo ricordare- è la stessa che rende le case dei libri, patrimonio dell’intelligenza umana, luogo superfluo. Che dire allora dell’esaltazione delle magnifiche sorti e progressive di leopardiana memoria. Un gruppo sempre più ristretto di persone può comprare tutto e le vetrine di rue Saint-Honoré o degli Champs Elisées superbamente mettono in rilievo che la vera differenza tra gli “infelici molti” per usare una famosa distinzione di Elsa Morante (e qui ci si può riferire ai ricchi volgarotti che escono carichi di pacchi delle marche più famose) e i “felici pochi” (ch s’incantano di fronte a un libro antico o a una miniatura, a un quadro senza la necessità del possesso) sta nel lusso esibito e non in quello tanto più sottilmente élitario che è il lusso della mente a cui, purtroppo, ancor meno persone possono accedere. Perfino il lusso dei poveri diventa speciale allorché si trasformano i Campi Elisi in una fiera del mangiare e del comprare ignobili cianfrusaglie in linde casettine bianche che coprono sui due lati più di due chilometri della via tra lo sfavillio dei platani trasformati dai leds in bicchieri di champagne. E proprio in quel regno insopportabilmente volgare, il luogo del Lido o delle notti di Montmartre che non torneranno più perché hanno pero il fasto del proibito, ecco improvvisamente Proust che mi aveva negato la vista della sua tomba riapparire trasformato in un direttore d’orchestra, Ivo Pogorelich che in un concerto titanico mette in relazione e fa dialogare Chopin (nella mia giovinezza ricordato come un musicista per signorine!!!) con Liszt e il suo wagnerismo. Allora il Proust perduto mi viene incontro e mi fa capire che anche i miserabilia, specie della politica, sono il terreno su cui si fonda il genio umano. Dedicato quest’ultima riflessione a Grillo e a Forza Italia, negatori dei valori rappresentati dai senatori a vita. E una parola mi viene spontanea, tanto amata dai politici. Se credete che noi, popolo, paghiamo i rappresentanti della cultura, allora vergognatevi! Ma davvero.