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CAPITOLO IX – Defezione

Greenstone stava ancora dormendo dalla sera prima quando nel sonno gli parve di sentire una voce familiare che lo chiamava da lontano. Lentamente riemerse dal torpore dei sensi, aprì gli occhi e vide Juan con una caffettiera in mano.
L’indio gli fece un cenno di saluto, «Sir Joseph, buongiorno… Monsieur Verdoux si è svegliato e chiede di voi.»
«Oh bene, vediamo come sta.» Greenstone, ancora intorpidito dal fresco risveglio, si girò verso il paleontologo e lo vide seduto nel suo giaciglio. Jacques Verdoux era pallido, ma l’espressione del viso era distesa e lo guardava mostrando un timido sorriso.
Greenstone contraccambiò il sorriso, si alzò, gli andò incontro e si sistemò al suo fianco.
«Amico mio, come vi sentite? Ci avete fatto stare parecchio in pensiero, sapete?»
«Mi dispiace Joseph, ma non dovete più preoccuparvi, ora sto meglio!», fece una breve pausa e sospirò profondamente, «Decisamente meglio… E suppongo grazie a voi, mio caro amico.»
«No no, non ringraziate me, ringraziate Juan! È lui che ha preparato la medicina che vi ha curato… E a questo punto sospetto anche che vi abbia salvato la vita!» s’affrettò a precisare lo scozzese.
«Dite sul serio Joseph? Ma come avrebbe fatto?»
«Non sono mai stato più serio.» rispose Sewell a voce alta, poi si piegò verso Jacques e fece finta di bisbigliargli all’orecchio. «Pare che il nostro Juan sia uno sciamano!» rivelò.
Jacques Verdoux guardò negli occhi lo scozzese. Vi lesse un’aria vagamente divertita, ma capì che ciò che gli aveva appena detto era vero, quindi si voltò verso Juan.
L’indio in quel momento stava arrivando con due tazze fumanti nelle mani, ne porse una contenente caffè a Sewell, mentre l’altra piena di zuppa la diede al francese.
Jacques prese la tazza e afferrò la mano del ragazzo, «Grazie Juan, a quanto pare ti devo la vita!»
«Monsieur Verdoux, ho fatto soltanto ciò che andava fatto… Sono contento che ora stiate meglio.»
«Ragazzo mio, hai fatto molto di più… Ti sarei grato se mi chiamassi Jacques.»
«Va bene, Monsieur Jacques.»
Il ragazzo tornò verso il fuoco lasciando i due scienziati a conversare tra loro.
Greenstone volle accertarsi meglio delle condizioni del collega. «Come vi sentite di preciso, avete ancora dolore alla schiena?»
«Non direi… No!», Jacques esitava, alzò a fatica un braccio e cercò di toccarsi la zona della ferita ma non vi riuscì, «Sono solo molto stanco, però il peggio è passato. Vedrete, mi servirà solo un po’ di riposo, poi potrò venire con voi a ispezionare quelle rovine. Ci attende un gran lavoro là sotto…»
Greenstone diede un’occhiata alla ferita, sollevò la maglia del francese e rimosse delicatamente la pezzuola. In effetti l’edema del giorno prima sembrava si fosse in parte riassorbito, la lesione non era più purulenta, l’aspetto generale era rassicurante e preludeva a una progressiva guarigione.
«Oggi la situazione mi sembra decisamente migliore di ieri, i buchi dei morsi si sono richiusi e l’infezione sta guarendo.» fu il suo commento.
«A dire il vero mi duole ancora un po’… se penso a quella bestiaccia…» Jacques rabbrividì, la carcassa dell’animale era ancora lì per terra con le innumerevoli zampette ricurve verso l’alto.
Greenstone risistemò le bende all’amico, «Siete a posto Jacques… Sapete che dovremo starcene laggiù qualche giorno e che non sarà una passeggiata. Siete sicuro di potercela fare?»
Jacques Verdoux sbuffò. «Ovvio che diamine! Datemi solo qualche ora per riprendere le forze e vedrete che potrò fare la mia parte!»
Il francese era spazientito, la malcelata e reiterata mancanza di fiducia dello scozzese riguardo la sua capacità di reggere quella situazione lo indispettiva. Cercò di controllare le proprie emozioni, poi disse: «Lo so che siete preoccupato per me, ma ve lo ripeto: se capirò di non potercela fare, non esiterò a farmi da parte, ve lo prometto!»
«Io non voglio che vi facciate da parte, Jacques. Penso soltanto al vostro bene!»
«Mais oui oui, ho capito Joseph… Su ora, datemi una mano ad alzarmi, voglio provare a camminare!»
Sewell lo afferrò per un braccio e lo tirò su, il francese si appoggiò al compagno puntellando le gambe malferme, poi si staccò e fece per camminare ma stramazzò al suolo.
Sewell si chinò a soccorrere l’amico. «Diavolo! Jacques, come state?»
«Bene bene! Non è nulla… Solo che… non mi sento le gambe.»
Greenstone e Juan, accorso in quel momento, aiutarono il francese a sedersi. Lo sistemarono in un angolo accanto al fuoco e rimasero in silenzio al suo fianco.
Per alcuni minuti nessuno riuscì a dire nulla. Jacques aveva un’espressione vagamente stranita, guardava i due compagni come se li vedesse per la prima volta, poi ruppe il silenzio: «Sapete… credo d’essere arrivato al capolinea!»
«Cosa volete dire Jacques?»
«Dico che avevate ragione voi… Non sono più in grado di proseguire, Joseph!» Il francese puntò lo sguardo verso un orizzonte immaginario, poi proseguì: «Ho creduto che la sola forza di volontà mi avrebbe consentito di potervi seguire ovunque, di superare qualsiasi ostacolo… E invece mi sono sbagliato! Il mio corpo mi ha appena parlato… e ha detto basta!»
«Ma forse è solo questione che vi riposiate, l’avete detto prima…»
«Prima non l’avevo capito, ma ora ne sono sicuro… Non potrò venire con voi!»
Anche Juan, rimasto in silenzio fino a quel momento, sentì il bisogno d’intervenire: «Monsieur Jacques, il vostro corpo e il vostro spirito hanno ritrovato una strada comune. Ora siete di nuovo completo e pronto a seguire la strada che il destino vi ha riservato…»
«Juan, ma che sciocchezza è questa?» l’interruppe Sewell, «Noi e Jacques seguiremo la stessa strada, e ce ne torneremo tutti e tre laggiù, dritti dritti verso quelle dannate rovine! Lo sapete Jacques, c’è bisogno anche di voi là sotto!»
Jacques scosse la testa. «Ora siete voi che non volete capire, Joseph! Comunque, per quel che potrò, cercherò di rendermi utile lo stesso. Magari all’accampamento insieme a Pedro.»
Jacques Verdoux parlava in modo insolitamente calmo e distaccato, ma ai due compagni apparve subito chiaro che la sua intenzione di non proseguire sarebbe stata irremovibile. Lo pervadeva una consapevolezza nuova, disillusa e si scoprì risoluto come mai prima di quel momento.
Dal giorno del suo arrivo in Perù, la malattia era sempre stata dentro di lui e lo accompagnava silenziosa, non dava sintomi evidenti, ma lo consumava e lo indeboliva ogni giorno di più. Era solo questione di tempo e, prima o poi, gli avrebbe presentato il conto.
E il momento era arrivato proprio quella mattina, quando sembrava che il peggio fosse passato. Il morso della scolopendra, un banale incidente di percorso, si rivelò invece un colpo fatale per un corpo ridotto allo stremo come quello del francese.
Il fisico di Verdoux non era più in grado di reggere lo sforzo, aveva iniziato a spegnersi, ed egli l’aveva capito.

Erano trascorsi due giorni da quando Jacques Verdoux era stato trasportato dai compagni dalla gola all’accampamento. Fu un’operazione assai delicata e non priva di rischi.
Jacques aveva perso l’uso delle gambe e si era proceduto alla costruzione di una barella di fortuna dove il francese era stato sistemato e successivamente legato per evitargli di cadere. La salita venne affrontata in un punto del pendio relativamente poco ripido e sgombro di ostacoli, in quel punto erano stati fissati nel terreno dei passanti per far scorrere la fune che doveva issare il francese.
I tre compagni di Jacques si divisero i compiti: due in cima a tirare e uno in basso, Pedro che era il più robusto, a spingere la barella sulla quale era stato assicurato il francese. Ci volle quasi un’ora, ma alla fine Jacques fu tradotto in cima senza inconvenienti, a parte tre schiene doloranti e tre paia di braccia indolenzite.
Quella di trasferire Jacques Verdoux all’accampamento fu una scelta obbligata: Jacques non era più autosufficiente, aveva bisogno della costante presenza di qualcuno che potesse assisterlo, e a Pedro venne affidato il compito di affiancare il paleontologo per il resto della spedizione.
Greenstone era tormentato: non era stato in grado di capire se la paralisi alle gambe dell’amico era stata causata dagli effetti del morso della scolopendra o dall’aggravarsi della malattia, oppure se fosse stata la somma di entrambe le cose. Si sentiva in qualche modo responsabile e, anche se si sforzava di non lasciar trapelare le sue emozioni, non riusciva a farsene una ragione. “Se solo fossi stato più attento” continuava a ripetersi.
Era anche consapevole che le condizioni fisiche del compagno difficilmente sarebbero potute migliorare e si preparò al peggio. Questo non gli tolse la speranza che la salute di Jacques potesse stabilizzarsi permettendogli di adattarsi alla sua nuova condizione e di partecipare, nonostante tutto, alle attività del gruppo con il suo prezioso contributo di conoscenze.
In ogni caso quell’evento cambiò, suo malgrado, i piani dello scozzese, facendo slittare di alcuni giorni il previsto ritorno nella caverna.

La mattina del 23 settembre 1884 Greenstone e gli altri membri della spedizione si trovavano nell’accampamento della radura sul margine occidentale della Gola di Valverde, erano intenti nei loro preparativi per l’imminente discesa nella gola e il successivo trasferimento in pianta stabile di due di essi nella caverna, dove sei giorni prima avevano fatto l’eccezionale scoperta delle rovine.

Dialogo sulla morte tra Sewell e Jacques del 23 settembre 1884

Erano circa le tre del pomeriggio, faceva caldo e l’umidità era opprimente. Greenstone era rimasto all’accampamento a occuparsi del francese costretto nel suo giaciglio.
In mattinata i due indios erano partiti diretti al vicino villaggio per procurare le provviste necessarie al prosieguo della spedizione.
Gli scienziati attendevano da un momento all’altro l’arrivo dei loro giovani aiutanti. Per tutta la mattina Sewell e Jacques si erano scambiati poche laconiche battute, il primo aveva occupato gran parte del tempo a riempire di annotazioni l’ennesimo taccuino, mentre il secondo si era immerso nella lettura dell’unico libro che si era portato dall’Europa: ‘Le Confessioni’ di Jean-Jacques Rousseau.
Poi Sewell ripose il suo quaderno ormai pieno zeppo di appunti e finalmente si rivolse all’amico:

«Oggi come vi sentite Jacques?»
«Meglio Joseph, non sento più alcun dolore… È sparito… Come le mie gambe!»
«Le vostre gambe non sono sparite.»
«Ci sono, ma non mi appartengono più… Era meglio se sparivano, almeno Pedro avrebbe un fardello meno ingombrante da spostare.»
«Non parlate così, sono sicuro che prima o poi camminerete di nuovo.»
«Sentite Joseph, amico mio, ormai credo di conoscervi abbastanza bene per capire quando dite la verità e quando mentite, e ciò che avete appena detto non lo pensate… Ammettetelo su!»
«Io non ho nessuna intenzione di mentirvi, voglio solo pensare che la sorte possa ancora riservarci qualcosa di buono… È forse sbagliato?»
«No, non lo è… Però ve lo dico per esperienza: in passato ho mentito sia a voi che a me stesso. Pensavo che così facendo potesse servire a piegare il destino in mio favore, ovviamente mi sbagliavo… Ora è solo la consapevolezza a muovere i miei pensieri, e i fatti mi dicono che non camminerò più! Quindi perché ingannarsi con false illusioni? Del resto non sono affatto triste… Mi vedete triste?»
«No, non lo sembrate affatto. Forse più cinico… con voi stesso, intendo.»
«No ve l’assicuro, non è cinismo… piuttosto realismo! Prima non volevo guardare in faccia la verità. La conoscevo, sapete. Ma mi voltavo dall’altra parte, probabilmente per paura… forse, non so…»
«Io ho sempre ammirato il vostro pragmatismo, la vostra fede nella verità e la tenacia con cui avete portato avanti le vostre idee… Come dimenticare il vostro fervore a sostegno della mia causa… Mi riesce difficile credere che abbiate avuto paura di affrontare la vostra malattia come avreste dovuto.»
«Quando ho appreso della mia malattia, ho inteso la notizia come se il cancro riguardasse un altro uomo. Inoltre il tempo a disposizione si era ridotto all’osso e avevo troppe cose da sistemare per potermi permettere di consumarlo piangendomi addosso. Ma non era paura, credo sia stato stordimento! Mi sono posto l’obiettivo di seguirvi in questa missione a qualunque costo! Tutto il resto l’avevo fatto sparire… Rimuginare sulla malattia sarebbe stata una distrazione inutile…»
«Quando vi incontrai otto mesi fa a Londra, non immaginavo quello che stavate passando, né voi mi avete fatto mai intuire nulla…»
«Cosa c’era da intuire? Quando ci vedemmo ero euforico, eccitato dal vostro progetto. C’era da organizzare questa spedizione… La malattia, come ho detto, era l’ultimo dei miei pensieri, credetemi!»
«Adesso è tutto diverso…»
«Sì, ora è diverso. Non posso camminare e sto perdendo le forze, mi sento ogni giorno più debole e sono diventato un peso per tutti voi. Era proprio questo ciò che temevo di più… Poi, casomai, arriverà la morte! Sapete Joseph, vi sembrerà strano, ma fino a qualche giorno fa non ci avevo ancora pensato… all’idea di morire intendo!»
«Eppure mi avete detto che avevate agito nella consapevolezza di trascorrere i vostri ultimi giorni di vita proprio quaggiù. L’idea della morte dovevate averla fatta vostra ormai!»
«Un’idea romantica… Niente di più lontano dalla realtà!»
«Tutti dobbiamo morire prima o poi. Qualche giorno fa vi dissi che nessuno di noi è al sicuro quaggiù, la nostra vita è in bilico… Io stesso non so cosa mi aspetterà una volta tornato alle rovine.»
«Dimenticate che state parlando con un sicuro condannato a morte…» Jacques sorrise, «Io so per certo che dovrò morire, e che questo avverrà presto!»
«Perdonatemi Jacques, non volevo sminuire la vostra condizione…»
«No no, non scusatevi affatto amico mio! Capisco cosa volete dire, e capisco quanto sia difficile trovare le giuste parole. Il fatto è che in questi casi non ci sono mai parole giuste, perciò non sforzatevi a cercarle! Anche la vita di un bambino è in bilico, sempre, ogni giorno e per tutti i giorni che verranno. Se sarà fortunato diventerà vecchio, ma alla fine morirà, inevitabilmente… È una legge universale!»
«Vero… Mi chiedo solo che senso abbia tutto ciò…»
«Oh Joseph, rischiamo davvero di spingerci in percorsi filosofici che servono soltanto a tenere impegnate le nostre menti ma che in realtà non ci porteranno mai alle risposte che cerchiamo… In fondo, io vecchio ci sono diventato e alla fine dovrei considerarmi tra i fortunati. Evidentemente, ormai, devo essermi giocato tutte le mie carte… Ma forse la risposta sta proprio nella morte… Magari sarà un’esperienza affascinante.»
«Beh Jacques vi dirò, a me l’idea di morire non fa paura, più che altro la trovo un’enorme seccatura ecco… Doversene andare prima di aver finito l’elenco delle cose che si volevano fare, è questa la cosa che più temo, credo… Ma la nostra carne è fragile, basta poco per distruggerla, per imputridirla, veramente poco! Passiamo la maggior parte del tempo a nostra disposizione a curarla per mantenerla in salute, abbarbicati nei nostri corpi, non immaginando che prima o poi ci tradiranno. E in questo senso la morte, a volte, può essere addirittura una liberazione…»
«Una liberazione avete detto? Per caso, mi state suggerendo qualcosa?»
«Che intendete dire?»
Il francese infilò la mano destra nella tasca del panciotto e vi estrasse una piccola Derringer a doppia canna, dalle incisioni dorate e il manico in madreperla. «Ecco qua.» disse, «Era il mio ultimo segreto, vi giuro che non ne ho altri… Avervi detto l’altro giorno che non avevo armi è stata la mia ultima bugia, sebbene non fosse mia intenzione mentirvi…»
Sewell osservò l’arma. «Dall’aspetto mi sembra non l’abbiate mai usata.»
«Beh, se l’avessi già fatto è probabile che non sarei qui a parlarvene. L’ho acquistata un paio di settimane dopo aver saputo del cancro. L’ho considerata una più che valida alternativa a un’eventuale lenta agonia… Spero che possiate capire…»
«Caro Jacques, io non devo capire proprio nulla. Non spetta a me giudicare ciò che deciderete di fare, la vita è vostra ed è solo vostra la scelta! Ma una cosa voglio ribadirla: farò tutto ciò che posso per voi, sono vostro amico e lo sarò sempre, qualsiasi cosa accada…»

In quell’istante Juan e Pedro sbucarono dal muro di vegetazione sul margine ovest della radura, erano carichi di fagotti e sudati fradici.
Giunti all’accampamento, abbandonarono i loro fardelli e si fermarono a bere e a prendere fiato. Greenstone si diede da fare aiutando i due giovani a sistemare i rifornimenti. La visita al villaggio aveva procurato al gruppo di esploratori viveri e provviste per parecchi giorni.

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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