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SEGUE

Ecco la seconda parte dell’intervista a Fabio Vescovi, sensei di Daito-ryu Aikibudo, che ci racconta il mondo delle arti marziali giapponesi e l’affascinante legame con l’antica tradizione samurai.

Quando si parla di arti marziali si tende a pensare subito all’Oriente, come se queste pratiche fossero appannaggio esclusivo di quel mondo, ma è proprio così?
L’arte marziale è un concetto universale, voglio dire che questo particolare esercizio dell’attività umana è sempre stato presente ovunque nel mondo. In ogni angolo della Terra, ogni popolo, ogni cultura ha la sua disciplina marziale, sia in Oriente sia in Occidente. La vera differenza è che da noi occidentali questa attività è sempre rimasta e rimane tuttora racchiusa dentro confini assai circoscritti, separati da tutto il resto e con finalità specialistiche, alludo allo sport ma anche all’addestramento professionale di gruppi militari d’elite per esempio. È anche vero che le nostre tradizioni marziali si sono via via perse nel tempo, diventando solo retaggi di epoche remote, ormai superate da alcuni secoli di storia che hanno visto prevalere l’efficacia della macchina rispetto all’abilità fisica dell’uomo. Considera che da noi il Medioevo è finito cinque secoli fa, mentre in Giappone il Medioevo è terminato a fine Ottocento. E ciò ha permesso di fare arrivare intatte fino a noi un’innumerevole quantità di informazioni, documenti scritti, testimonianze fedeli di tutte queste discipline marziali. Da noi i capitani di ventura si sono estinti oltre quattro secoli fa, mentre in Giappone i maestri marziali hanno girato per strada armati di spade e vestiti da samurai fino agli anni Venti del Novecento! Considera anche che in Oriente la dottrina filosofica, elemento che sta alla base delle stesse discipline marziali, è vissuta come una religione. Per questo motivo si può facilmente comprendere come mai in Giappone ogni cosa che riguarda la tradizione venga così fedelmente e devotamente tramandata nel tempo, proprio come accade da noi con la religione. Paradossalmente, noi occidentali abbiamo accantonato le nostre antiche discipline marziali preferendo ad esse la tecnologia, poi abbiamo riscoperto una sorta di nostalgico desiderio di ritornare alle origini, di riscoprire noi stessi misurando di nuovo le nostre abilità. Ma questo lo possiamo fare attraverso la pratica delle arti marziali orientali, le uniche ad arrivare intatte fino a noi. Il vero guaio è che da noi, non disponendo dello stesso background di cultura e tradizioni, questo desiderio rischia puntualmente di tradursi in un’esperienza effimera legata alla moda di un momento.

A proposito di mode, da addetto ai lavori qual è il tuo pensiero al riguardo? L’arte marziale, intesa come percorso formativo e socializzante, può entrare pienamente nella cultura occidentale o è destinata a rimanerne ai margini?
Ora come ora non vedo molto margine di diffusione di questa disciplina, che rimane pur sempre espressione di una filosofia diversa, radicata altrove da secoli storia. È difficile che le persone cambino la propria visione di se stessi, del modo di porsi agli altri, della crescita personale, inculcata da tradizioni assai diverse da quelle orientali. Noi abbiamo delegato il nostro futuro alla tecnologia, abbiamo affidato il nostro pensiero e il nostro corpo alle macchine. Intendiamoci, io non sono contro il progresso, anzi. Il fatto è che, per quel che ci riguarda, la nostra filosofia è assai più connessa alla logica che allo spirito. Abbiamo da tempo rinunciato all’idea di perfettibilità. In altre parole, in Occidente il pensiero è che l’uomo è un essere imperfetto e sempre rimarrà tale, perciò è inutile lavorare su di esso, molto meglio trasferire lo sforzo verso la perfezione alle macchine, le uniche in grado di aiutarlo se non altro ad avvicinarvisi. D’altro canto, la spiritualità da noi è un fatto religioso e riguarda esclusivamente l’anima, non il corpo. Sono due concezioni diametralmente opposte quella occidentale e quella orientale, possono convivere, ma è difficile che possano fondersi in un’unica cultura. Pertanto credo che l’arte marziale intesa come fatto culturale, sociale e formativo, continuerà a rimanere appannaggio di pochi. Diverso è il discorso se la stessa viene vista come pratica sportiva, in questo caso potrà avere e avrà molte più chances di successo.

E sul proliferare delle cosiddette tecniche di combattimento da strada, che idea ti sei fatto?
Su questo tema faccio una premessa doverosa: in ogni dove si reclamizzano nuove tecniche di combattimento, nuovi modi di affrontare il corpo a corpo, con varie tipologie di armi, a mani nude, eccetera… Ebbene, di concreto, al di là delle discipline classiche, non è stato inventato più nulla che già non esistesse, magari sono state apportate modifiche ai metodi d’insegnamento, si sono coniate nuove espressioni, nuove terminologie, ma alla base di tutto le tecniche d’attacco e difesa, le prese, sono rimaste le stesse. Questo perché le discipline marziali sono il frutto di secoli di prove sul campo di battaglia, in cui chi tramandava le sue conoscenze era colui che era sopravvissuto perché deteneva la tecnica migliore. Oggi poi, per gran parte della gente la cosa importante è raggiungere il risultato in tempi rapidi, esistono corsi che ti consentono di farlo, che ti permettono di imparare le tecniche in breve tempo. Si tratta però di sunti, di Bignami, in cui ti fanno credere di poter ottenere il controllo di certe situazioni, ma non è così. Tutto questo porta a condizioni illusorie e pericolose, in cui la padronanza di una tecnica assume più importanza del normale buonsenso. Ci sono istruttori scriteriati, veri e propri ciarlatani, che ti preparano al combattimento senza educarti all’idea che il combattimento va comunque sempre evitato!

Quando è nata l’idea di insegnare ai bambini?
Dopo un anno che avevo aperto questo corso riservato agli adulti e dopo tanti amici che mi sollecitavano ad aprirne anche uno per bambini, mi decisi. Iniziai senza avere troppe aspettative al riguardo, ma fu una vera sorpresa perché non avevo idea di esservi così portato, e soprattutto che mi appagasse tanto! I bambini poi hanno una capacità di adattamento assai maggiore degli adulti, assimilano tutto più in fretta, sono come spugne, assorbono tutto subito, e non parlo solo di coordinazione fisica o di capacità mnemonica, quanto piuttosto di volontà e convinzione. La sorpresa è che prendono tutto quanto molto seriamente, più di tanti adulti. Capiscono che non si tratta solo di un gioco ma di qualcosa di serio e s’impegnano di conseguenza. Il vero problema spesso sono stati i genitori, molti di loro non hanno pazienza e non riescono a vedere la cosa in prospettiva, fanno fatica a immaginare che si tratti di un investimento per il futuro dei loro figli, e questo a prescindere da quanto tempo rimarranno a seguire i corsi.

I corsi di Fabio Vescovi presso la scuola Dōjō Aikibudō Yamato di Ferrara riprenderanno il 4 settembre per gli adulti e il 18 settembre per i bambini.
Per maggiori info:
Aikibudo Yamato Ferrara

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

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Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

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