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Un’inchiesta in cinque tappe per approfondire le ragioni delle critiche nei confronti della Società Italiana Autori ed Editori.

Contrariamente a quanto molti pensano, l’iscrizione di un artista alla Siae, la Società italiana autori ed editori, non è obbligatoria. C’è infatti chi dice no. Da qualche tempo, sono sempre di più gli artisti, in particolare musicisti, ma anche organizzatori di eventi e gestori di locali, che sollevano critiche rispetto all’operato e al monopolio di questa istituzione. Un’approfondita riflessione sul tema è stata fatta in occasione di ‘Borderline’, festival delle etichette e delle produzioni indipendenti, il primo in Italia completamente esente Siae, tenutosi a Ponticelli di Malalbergo.
Ma perché opporsi alla Siae? “Della Siae critichiamo la mancanza di trasparenza”, dice Nena organizzatrice del Festival. “Inoltre – prosegue Eugenia, ideatrice della manifestazione – anche chi sceglie di proporre solo musica libera dalla Siae subisce vari controlli, e con tutti i cavilli legali non si può mai stare tranquilli, perché il rischio di una multa c’è sempre”. Quindi anche un locale che fa musica dal vivo e propone solo artisti non iscritti alla Siae, finisce con l’essere, appunto, borderline, al limite della legalità.
Tra i musicisti italiani che hanno revocato la propria iscrizione alla Siae, c’è la ferrarese Sara Ardizzoni, in arte Dagger Moth [vedi video-intervista].

Qual è la tua esperienza con la Siae?
Mi ero iscritta alcuni anni fa come autrice di musiche e testi in seguito all’uscita di un disco registrato con la mia band precedente, Pazi Mine, poiché, essendoci affidati ad un ufficio stampa-editore, era stata una scelta un po’ obbligata. A dire il vero sono stata dubbiosa fin dall’inizio sull’utilità della cosa, perché, pur essendo perfettamente d’accordo sui principi, cioè la protezione del diritto d’autore e la sua “monetizzazione” (che teoricamente dovrebbe essere a favore principalmente dell’autore, soprattutto nell’ottica di chi cerca di vivere del lavoro di musicista), ero molto perplessa dalle modalità di applicazione e dalla poca chiarezza che aveva sempre contraddistinto le dinamiche del macchinario Siae, almeno ai miei occhi.

Cosa comportava per te l’iscrizione alla Siae?
Da anni ormai l’iscrizione come autore associato non comporta più un esame di teoria musicale ma è sufficiente la corresponsione di una quota iniziale – non irrilevante – per iscriversi, poi un versamento annuale per mantenere il proprio status. Tuttavia se non si ha il peso di un big del panorama musicale, la capacità di interagire con le scelte dell’ente direi che è praticamente nulla.
Questo sul piano economico. Su quello pratico e burocratico, ha comportato, nel mio caso, in quanto mi auto produco, il districarsi da sola in tutta una serie di scartoffie per il deposito dei brani, la richiesta dei bollini (con relativa varietà dei prezzi a seconda del tipo di contrassegno), e la modulistica generica. Last but not least, la consultazione dei corposi bollettini inviati a casa con i resoconti dei guadagni (nei quali, a mio avviso, viene davvero sprecata un sacco di carta, mentre le informazioni utili sono poche e non immediate).
Tutte faccende per cui si richiede per lo più di interfacciarsi con lo sportello regionale di Bologna che rispetto a Ferrara non è lontanissimo ma non è nemmeno a due passi, quindi un minimo di costi c’è pure lì, o si spedisce per raccomandata o si va di persona.
Girando parecchio e confrontandomi spesso sul territorio nazionale con altri musicisti e organizzatori, mi pare inoltre di notare che non ci sia una gran chiarezza su vari argomenti, dalla compilazione dei borderò ai permessi per i live, mi imbatto in modus operandi sempre diversi, per lo più in base alle informazioni fornite dai vari uffici Siae. Però, ribadisco, questa è puramente la mia esperienza personale.
Altra operazione piuttosto brigosa, sul senso della quale mi sono interrogata più volte: depositare il cartaceo degli spartiti nell’era digitale (o almeno fino al periodo in cui ero ancora iscritta funzionava così). Di questi tempi direi che sarebbe tanto più comodo, preciso ed efficace, depositare i semplici file, invece vengono ancora richiesti i cartacei con le trascrizioni, a meno che non si tratti di intrascrivibile musica concreta. Ma qualora ci sia una qualche parvenza melodica ne viene richiesta la scrittura. In particolare della linea melodica principale sul piano strumentale (che nel caso dei miei brani ad esempio non è così facilmente rintracciabile), poi la melodia della voce e relativo testo…
Il dubbio che mi è sempre sorto qui è: dovendo depositare i brani in modo diciamo parziale in caso di plagio come si procederebbe per stabilire torto e ragione?

Come mai hai deciso di annullare la tua iscrizione?
Beh molto semplicemente nel mio caso, visto il rapporto costi/ricavi non aveva alcun senso, non mi conveniva. Inoltre, cosa non secondaria, nell’ultimo anno la quota annuale da corrispondere per rimanere iscritti era praticamente raddoppiata… e mi pare che la novità non fosse stata notificata chiaramente, né giustificata. Se già nutrivo dubbi questa è stata un po’ la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per non parlare di tutta una serie di informazioni poco confortanti trovate qua e là, curiosando su internet col desiderio di saperne di più (faccio in particolare riferimento a tutta una serie di articoli relativi ai comportamenti della Siae su svariate questioni, anche a livello europeo, e, data la specificità della materia, rimando ad esempio agli articoli dell’avvocato Guido Scorza, per chi ne volesse sapere di più).
Inoltre ammetto che un argomento che tuttora mi genera qualche ulteriore dubbio è la ripartizione dei proventi derivanti dai borderò. Ho cercato di documentarmi in merito ma al momento non sono riuscita a chiarirmi granché le idee.

L’annullamento dell’iscrizione alla Siae è una procedura complessa?
Ho semplicemente scaricato, compilato ed inviato via mail un modulo di recesso che la stessa Siae mette a disposizione sul suo sito, tutto qua, almeno questo è stato facile.

Come ti tuteli ora?
Sto valutando alcune ipotesi, tra cui Patamu, un sito che dovrebbe rilasciare in automatico – in seguito all’upload del materiale – una marcatura temporale che garantisce la paternità dell’opera, ma non si occupa della valutazione e raccolta dei compensi. A quanto ho capito questo compito attualmente compete solo alla Siae, e anche qualora ci si iscriva ad una società estera comunque quella dovrà passare attraverso la Siae, quindi si ritorna al punto di partenza. Ma per quanto riguarda la monetizzazione, al momento gravito in un circuito talmente di nicchia che mantenersi iscritta sarebbe solo un’attività in perdita.

Pensi che sia una strada percorribile anche da altri artisti?
Ribadisco che la mia è una scelta personale, e tutto dipende dal percorso che un artista vuole seguire con la sua musica, e probabilmente anche dal genere di musica. L’unica cosa che posso dire è che molti piccoli artisti si iscrivono nella speranza di diventare famosi, depositare una futura hit, un tormentone radio-televisivo, o un brano che magari venga incorporato nella colonna sonora di qualche mega produzione cinematografica. Nell’attesa che questo accada, spesso i proventi sono praticamente un’elemosina a fronte di un prezzo da pagare non irrilevante. Il tutto appesantito da quello che mi sembra ancora un sistema un po’ arretrato ed appesantito da una burocrazia pachidermica. Del resto snellezza e trasparenza in Italia non la fanno da padrone su nessun fronte. Magari se tutte le persone che si riconoscono in una descrizione simile chiedessero il recesso forse un po’ di disagio potrebbe essere almeno percepito.
Poi se qualcuno ha modo di guadagnare cifre corpose grazie a passaggi radio-televisivi o grazie ad un’attività live intensa e remunerativa durante l’anno meglio per lui! Ma non credo che questa descrizione rappresenti l’associato medio, almeno non tra quelli che conosco io. Unica cosa che posso raccomandare è di essere curiosi ed informarsi, e farsi anche venire qualche dubbio sull’utilità effettiva dell’iscrizione, poi ognuno valuti il suo caso.
Noto ancora che parecchi amici si iscrivono un po’ alla cieca, perché magari va fatto e poi se ne disinteressano totalmente… ma anche colleghi che fanno i musicisti di professione spesso non sanno rispondermi a domande specifiche ma basiche su certe dinamiche che riguardano il rapporto diretto tra Siae e autori. Mentre secondo me varrebbe la pena chiedersi spesso se effettivamente vengano fatti i nostri interessi.

1. CONTINUA [leggi la seconda puntata]

Articolo sotto licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0

Nell’immagine in alto, Sara “Dagger Moth” Ardizzoni è fotografata da Werner Swan

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Stefania Andreotti

Giornalista e videomaker, laureata in Tecnologia della comunicazione multimediale ed audiovisiva. Ha collaborato con quotidiani, riviste, siti web, tv, festival e centri di formazione. Innamorata della sua terra e curiosa del mondo, ama scoprire l’universale nel locale e il locale nell’universo. E’ una grande tifosa della Spal e delle parole che esistono solo in ferrarese, come ‘usta’, la sua preferita.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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