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Giorno: 11 Aprile 2014

Olimpiadi di italiano con la voce del ferrarese Rossatti

Scrivere su Facebook e spedirsi degli sms avrà anche modificato il linguaggio giovanile, ma tanti ragazzi usano la tecnologia senza rinunciare allo studio e all’amore per la lingua italiana. Insomma, distinguere l’insostenibile leggerezza di un ossimoro dalla figura retorica di mille metafore sembra che possa continuare ad appassionare anche la generazione di Google. Lo dimostra la grande partecipazione alle Olimpiadi di Italiano, alla quarta edizione con 15mila iscritti e il coinvolgimento di oltre 600 scuole, italiane e straniere, ma anche un evento che coinvolge il mondo accademico e istituzionale.
Firenze, capitale simbolica della lingua italiana, ospita oggi e domani sabato 12 aprile la finale delle Olimpiadi, come pure le due “Giornate della lingua italiana” ideate dal Miur per offrire alle scuole, ai finalisti e ai loro docenti approfondimenti culturali sugli anniversari della letteratura italiana, dibattiti e spettacoli teatrali e musicali. Dedicata alla poesia di Mario Luzi, a 100 anni dalla nascita, la prima giornata di venerdì 11 all’Accademia della Crusca. Vittorio Coletti terrà una lezione sui “Pensieri casuali e costanti di Luzi sull’italiano”, mentre Alberto Rossatti – attore ferrarese e voce storica di Radio3 Rai – proporrà delle letture dall’opera poetica di Luzi intitolate “Vola alta parola”.
La seconda giornata, al termine della gara di sabato 12 e prima della premiazione, sarà dedicata alla prosa di Niccolò Machiavelli, visto che il 2013 è stato il cinquecentenario della pubblicazione de Il Principe, e a quella di Galileo Galilei, a 450 anni dalla nascita.
Per i ragazzi in gara – 66 finalisti, divisi nelle sezioni del biennio e in quella del triennio delle scuole superiori – la competizione, in nome del valore della lingua italiana, sarà una sfida sulle conoscenze grammaticali e sulle capacità linguistiche, su comprensione e rielaborazione di testi. Per essere ammessi alla prova finale di Firenze, gli studenti hanno dovuto superare dure selezioni, prima a livello provinciale e poi nazionale. I ragazzi arrivati a questo traguardo vengono da tutte le regioni d’Italia, dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, passando attraverso l’Emilia-Romagna con la provincia di Parma (Borgo Val di Taro) e quelle di Modena (Finale Emilia) e Bologna (Imola). Quattro dei finalsiti arrivano da Paesi esteri: da Nigeria (Lagos), Spagna (Madrid), Bulgaria (Sofia) ed Eritrea (Asmara). Una novità, infine, la partecipazione alla fase finale di studenti delle scuole di lingua tedesca e delle località ladine della Provincia di Bolzano.
La giuria delle Olimpiadi di Italiano è composta quest’anno da Gian Luigi Beccaria (presidente), Giulio Ferroni, Francesco Sabatini, Luca Serianni, Sergio Scalise, Alberto Vignati (vincitore del Premio Campiello Giovani 2013). Tra i premi una settimana di soggiorno studio all’estero (nel periodo tra settembre e ottobre 2014) offerta da sei scuole italiane all’estero in collaborazione con il Mae, e quattro stage offerti dal Miur, in collaborazione con l’Accademia della Crusca, nella stessa sede dell’Istituto, nella Villa Medicea di Castello a Firenze.
L’intero pomeriggio di sabato 12 sarà in diretta streaming dal sito delle Olimpiadi www.olimpiadi-italiano.it
Magari una sfida x scoprire xké non è vero che se 6 giovane scrivi un po’ senza l’apostrofo e se stesso con l’accento… 😉

Il miracolo del ciliegio nel cortile nascosto del monastero

Un’esplosione di fiori rosa accoglie il visitatore nel cortile del monastero di Sant’Antonio in Polesine. L’albero che produce quei fiori è un ciliegio giapponese diventato famoso e che – all’improvviso in questi giorni d’inizio aprile – riempie gli occhi di chi entra in questo angolo nascosto di Ferrara con una fioritura potente eppure così fragile: quei fiori pieni, turgidi e vistosi si riducono in leggerissimi petali volatili appena vengono sfiorati dalle mani di chi pensa di coglierli o, peggio, di chi si illude di conservarli nella cattività di un vaso.

Il luogo dove è piantato l’albero è uno spazio un po’ segreto: ci arrivi solo se lo conosci o se hai deciso apposta di andarci. Ciliegio e monastero, infatti, si trovano in pieno centro storico, ma lontani dalle vie dei negozi e visibili solo da chi supera l’arco della porta in muratura che dà l’accesso all’area monastica. Perché la porta nella breve via del Gambone è aperta, ma ci entra solo chi sa cosa c’è vicino alla strada che prende il nome di Beatrice II d’Este; bisogna percorrerla traballando sui ciottoli rotondeggianti in auto, in bici o sulle scarpe coi tacchi. Questa zona nel pieno della città medievale ora è un po’ appartata e, nei secoli scorsi, era addirittura un’isola, una piccola isola circondata dal Po sulla quale era racchiusa la comunità delle suore di clausura. Adesso il Po non passa più intorno e del fiume resta solo il ricordo nel nome del monastero, che si chiama – appunto – in Polesine. Arrivare in questa zona quindi è diventato più semplice, non c’è acqua a separare l’edificio religioso dal resto del mondo, ma ci sono ancora le grate a dividere le monache in clausura, certo meno numerose che nei primi secoli dell’anno mille, quando la nobile Beatrice della dinastia Estense fondò quest’ordine religioso.

La tomba di Beatrice è l’elemento che, da sempre, assicura un selezionato e incessante pellegrinaggio di visitatori. Lo spiega Emanuela Mari, guida turistica di Ferrara, che ne racconta la storia con la confidenza di una studiosa appassionata. “Dopo la morte, il corpo di Beatrice viene lavato e un po’ di quell’acqua data ai fedeli che chiedono una reliquia”. Il liquido, secondo la tradizione, si rivelerebbe miracoloso e capace di produrre guarigioni e grazie. Ogni inverno, in prossimità della ricorrenza della morte, avvenuta il 18 gennaio, il sepolcro viene aperto e si riscontra che il corpo della beata resta incorrotto. Il rito vuole che la salma venga lavata dalle monache e l’acqua sempre conservata e offerta per le sue proprietà leggendarie. Si ha notizia dell’incorruttibilità del corpo di Beatrice fino al 1512. Dopo la corruzione dei resti mortali, rimangono le ossa e la tomba viene ridotta a un’urna di ferro, coperta da una pietra. Un po’ di anni dopo da quella pietra in inverno comincia a stillare un liquido, che ancora oggi esce e viene raccolto dalle monache, che lo conservano in piccole fiale.

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Un ramo del vecchio ciliegio e quello nuovo in fiore

La fama miracolosa di queste gocce, chiamate “lacrime di Beatrice”, porta qui un costante pellegrinaggio. La meraviglia dei visitatori in primavera è accentuata dalla fioritura maestosa dell’albero di ciliegio, di cui si hanno testimonianze a partire dagli anni ’40. Ma come mai l’albero è diventato così popolare? “In passato – spiega la signora Barbieri che da quarant’anni abita nel cortile affacciato sul monastero – era una pianta molto rara in città, praticamente l’unica di questa importanza, e quindi lo spettacolo della sua fioritura faceva scalpore”. L’albero, però, nel tempo si indebolisce, fino a seccarsi. Così, nel marzo 2011, il Comune, che è proprietario dell’area verde davanti al chiostro, fa piantare un nuovo ciliegio, che già un mese dopo fiorisce. Quest’anno, per la quarta volta, i fiori rosa tornano a sbocciare sui rami del giovane albero, a pochi passi da quello vecchio, ormai secco. E, uno dopo l’altro, arrivano nuovi visitatori, che catturano lo spettacolo della fioritura, splendente eppure così fragile, con gli occhi, con le mani o con l’obiettivo di uno smartphone.

La quinta Internazionale per un’alleanza con i migranti

Bisognerà fare qualcosa e in fretta anche: le grandi migrazioni verso l’Europa dall’Africa, dal medio oriente, in modo più silente dall’estremo oriente, impongono non soltanto una riflessione finalmente seria, ma misure urgenti e intelligenti in grado di accogliere la disperata corsa di intere popolazioni verso la vita. Non penso, naturalmente, alla possibilità di percorrere le proposte di una destra sempre arrogante, non solidale e, alla fine, nemmeno produttiva sul piano meramente difensivo (alzare barriere poliziesche alle orde dei migranti). E’ la sinistra che si deve muovere, è l’unica forza pensante che potrebbe avanzare progetti utili. Ma, sinceramente, non questa sinistra inconcludente, disamorata, balbettante, paurosa, divisa e col fiato corto.
I grandi movimenti di pensiero maturarono nell’Ottocento, dopo il fatidico Quarantotto, a seguito delle urgenze popolari impegnate a liberarsi dal giogo dei vari regnanti e costruire spazi nazionali più liberi, tentando di battere le manovre conservatrici di monarchi e borghesi: erano gli anni Sessanta, il Manifesto marxista aveva fatto passi da gigante. Nacque, dunque, in quel periodo la prima Internazionale, a cui sarebbero seguite, con il passare del tempo e soprattutto dei nuovi eventi (nonché delle polemiche interne al movimento socialista, comunista e anarchico), la seconda, la terza e la quarta Internazionale.

Non sempre le spinte popolari furono vincenti ma servirono a smuovere l’inerzia di masse abbruttite da un lavoro non remunerato a sufficienza, quando non pagato. Si pensi che fino agli inizi del 1950 i contadini avevano lavoro soltanto per pochi mesi all’anno. Condizioni di vita inaccettabili e disperanti, ma dietro e dentro a queste masse avvilite e vilipese si muoveva pur sempre la convinzione che una lotta ideologicamente unitaria avrebbe alla fine sconfitto, o quantomeno indebolito la forza economica della conservazione.
Le cose sono diverse: oggi le masse sono cambiate, sono mutati i nomi, sono mutate le facce e i colori della pelle, ma il problema è rimasto quello che Marx aveva così efficacemente delineato. I migranti diverranno in tempi sempre più brevi popolo (italiano-francese-tedesco…) e in tempi sempre più brevi le loro necessità saranno il cardine di altre lotte. Ma non pensiamo che siano già adesso nostri nemici, sono nostri fratelli, come lo erano gli operai e gli scariolanti della nostra storia ancora recente, ma volutamente dimenticata dall’inerzia della sinistra e dalla consapevole opposizione della destra economica, del grande e del piccolo capitale arroccati attorno alle potenti organizzazioni multinazionali finanziarie, con le quali manovrano i popoli, le guerre, il commercio delle armi, quindi la violenza globale: l’unica vera globalizzazione esistente.
E, allora, io penso timidamente che utile strumento sarebbe la creazione della quinta Internazionale basata sulle nuove esigenze, io vedo masse colorate che si muovono fraternamente per conquistare il villaggio della nuova vita. Utopia? Certo, ma senza utopia l’uomo non è mai riuscito a fare qualcosa di buono.

GERMOGLI
l’aforisma
di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…
 
“Intelligenza non è non commettere errori, ma scoprire subito il modo di trarne profitto” (Bertolt Brecht)
 

Fuoristrada, il coraggio di vivere che toglie le spine dal cuore

Il documentario ‘Fuoristrada’ di Elisa Amoruso, che sta registrando il tutto esaurito in molte sale italiane, è un’iniezione di verità e amore. Andare fuoristrada è necessario se questo serve a ritrovare se stessi. E’ un film da vedere, un potente antidoto contro il pregiudizio e la bigotteria. Ed il viatico per un viaggio, consapevole e avventuroso, alla ricerca della nostra autentica identità.

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‘Fuoristrada’, locandina del film

Ho visto il documentario Fuoristrada di Elisa Amoruso in un cinema di Ostia (Roma), nell’ambito della rassegna ‘Cinema di periferie’, realizzata dalla direzione generale per il cinema in collaborazione con Casa dei teatri di Roma Capitale, Centro sperimentale di cinematografia e Cinecittà Luce. E al termine della proiezione ho intervistato la protagonista, Beatrice (Giuseppe Della Pelle), seduta con lei su un divano rosso. Davanti a noi il desk per l’accoglienza e questa frase di Leo De Berardinis: “Il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso. Dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”.
L’abbiamo letta insieme, l’intervistata e io, e ci siamo capite al volo, senza parlare: come per magia il senso di quanto stavamo per dirci era già lì, in quella frase che, semplice e diretta come una spina nel cuore, traduce perfettamente l’anima della pellicola.
Beatrice è una donna bionda con le palpebre bistrate di azzurro, le unghie coperte da smalto colorato, grossi orecchini dorati e al tempo stesso è Pino, un meccanico con la tuta da lavoro e le scarpe da officina. Creatura unica e particolare, che i conformisti etichetterebbero subito come transessuale: racconta la sua vita fatta di amore per la moglie Marianna, per i figli, per la madre, per i suoi cani, per la sua casa, per i rally e i “fuoristrada”.

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La regista, Elisa Amoruso

Una storia d’amore unica, prorompente, fondata su un sentimento così forte da superare qualunque barriera sociale e culturale. Catturata, con delicatezza e raffinatezza stilistica, dalla giovane Elisa Amoruso che, con questo lavoro, ha ottenuto il premio Menzione speciale Festival del film di Roma 2013.
L’intervista a Beatrice è preceduta, in un poetico contagio di anticonvenzionalità, da una preghiera di Rabindranath Tagore intitolata Il coraggio e la certezza dell’amore:

Dammi il supremo coraggio dell’amore.
Questa è la mia preghiera:
coraggio di parlare,
di agire, di soffrire,
di lasciare tutte le cose,
o di essere lasciato solo.
Temprami con incarichi rischiosi,
onorami con il dolore,
e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò.

Dammi la suprema certezza dell’amore.
Questa è la mia preghiera:
la certezza che appartiene alla vita nella morte,
alla vittoria nella sconfitta,
alla potenza nascosta nella più fragile bellezza,
a quella dignità nel dolore,
che accetta l’offesa,
ma disdegna di ripagarla con l’offesa.
Dammi la forza di amare
sempre e ad ogni costo

Beatrice, Fuoristrada è un documentario che toglie la vigliaccheria del vivere. Sei d’accordo?
Sono pienamente d’accordo. Racconta della vita vissuta con il coraggio di essere se stessi, messaggio che non entra nel film come una tempesta, una burrasca, ma piano piano come una brezza leggera. E’ come se la pellicola prima riuscisse a farti pensare, e poi ti lasciasse di stucco cancellando ogni traccia di bigotteria. Tutto in modo naturale, grazie ad Elisa, la regista, e alla sua pazienza e arte. Io sono uno spirito molto libero e lei ha girato quasi 100 ore di riprese, riuscendo poi a condensare in un’ora un messaggio forte, che anche io ho riscoperto, ho riconosciuto, quando ho visto per la prima volta il documentario.

Chi in particolare dovrebbe vedere questo film?
Per me, prima di tutto, dovrebbero vederlo i ragazzi. Sono loro il seme del futuro, da loro può partire il cambiamento. Spesso i più giovani, penso ai banchi di scuola, sono distratti da mille esperienze e non si rendono conto che vicino a loro ci sono tanti compagni di strada che hanno delle piccole problematiche. O, meglio, quelle che possono apparire come problematiche ma che, in realtà, per chi le vive sono tante gocce di tristezza, un malessere che fa soffrire e che ci si porta dentro nella vita, in famiglia o a scuola, appunto. Chi sente di essere etichettato come “diverso”, ha una spina nel cuore, che mi piacerebbe non rimanesse invisibile, perché questo genera sempre e comunque dolore.

Tu hai detto che vorresti che questo film desse il coraggio di essere autentici…
Sì, è così. Io, purtroppo questo coraggio l’ho avuto troppo tardi. Essermi liberata in un’età molto avanzata, questo è il mio unico rammarico. Davanti a me vedo tutti quei ragazzi e quelle ragazze che, nel frattempo, non ci sono più perché sono stati sconfitti dal nostro mondo bigotto, ottuso, cieco. I genitori, gli insegnanti dovrebbero spiegare che esistiamo anche “noi”, che “noi” siamo persone come le altre. Un messaggio come questo potrebbe dare speranza e, insisto, togliere molte spine da cuori infelici, che non possono esprimersi, che non permettono a se stessi di sentire e amare.

Alla fine del documentario tu parli del sogno di andare in Australia con il tuo fuoristrada e Marianna, tua moglie. Cosa sono per te i sogni?
Voglio risponderti con un’immagine che nasce da un ricordo. Io ho vissuto in collegio, a Salerno, e quando avevo 10 anni ho subito tante angherie e ingiustizie quotidiane. Dormivo in un letto che dietro aveva un grosso finestrone. Tutte le sere mi rifugiavo lì, con gli occhi guardavo le stelle, la luna e mi dicevo “stai tranquilla è un sogno, anche questo passa”. Oggi realizzare il mio sogno è come dire che sono me stessa e che sto bene, grazie alla forza d’animo che ho avuto. Vorrei che anche gli altri fossero felici come me.

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IMMAGINARIO la foto del giorno

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città e i suoi abitanti.

Dentro al campanile della cattedrale di Ferrara (foto FeDetails) – clicca sull’immagine per ingrandirla

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Dentro al campanile della cattedrale di Ferrara (foto FeDetails)
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