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Giorno: 26 Luglio 2014

Il dibattito sulla crisi: Cattaneo, Zibordi e “i due” Marattin

di Giuseppe Fornaro

La tavola rotonda di giovedì 24 luglio, “Una via d’uscita dalla crisi: proposte concrete
per la ripresa economica” organizzata da ferraraitalia è stata da un lato un’occasione
di approfondimento sprecata, non certo per demerito del moderatore, dall’altro
l’occasione per toccare con mano, ancora una volta, quanto le diverse scuole di
pensiero in campo economico fatichino a trovare un punto di incontro.
L’occasione mancata credo vada attribuita innanzitutto all’assessore al bilancio del
Comune di Ferrara Luigi Marattin, uno dei relatori, per la sua arroganza irritante. Ha
esordito male definendo “una setta” i sostenitori degli altri due relatori, Marco
Cattaneo e Giovanni Zibordi, e ha concluso peggio alzandosi e abbandonando la sala
per essere stato interrotto da Zibordi. Un atteggiamento di chi non tollera di essere
contraddetto e che pensa che ogni luogo sia un’aula universitaria dove lui insegna e
dove può tenere monologhi indisturbati. Una caduta di stile che non si addice a chi
dovrebbe sentirsi sicuro delle sue posizioni.

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Il pubblico ha gremito la sala della musica (foto di Aldo Gessi)

Il punto è proprio questo. E qui affronto prima una questione politica, poi entrerò nel
merito delle questioni dibattute. Marattin è un tecnico chiamato ad amministrare la
cosa pubblica e come tutti i tecnici (ne abbiamo avuto prova a livello di governo
centrale) affezionati alle proprie teorie, pensa che l’amministrazione della cosa
pubblica sia un laboratorio dove attuare esperimenti di economica politica, dove la
ricerca pura può essere trasferita nell’applicazione concreta senza che ciò possa
produrre dei danni. Anzi, sono talmente convinti della bontà delle teorie che non ne
vedono gli effetti negativi. Le teorie neoliberiste, di cui Marattin è un sostenitore,
hanno fatto in tutta Europa centinaia di migliaia di morti. In Italia credo che l’apice si
sia toccato col governo Monti. Qui sta il vulnus. La politica, quando si affida ai tecnici,
si spoglia del proprio ruolo di indirizzo e di filtro tra le teorie e le soluzioni proposte
dagli esperti e le istanze che provengono dalla società. Questo ruolo di interposizione,
di filtro, di mediazione (in senso alto del termine) è proprio il compito e il ruolo
specifico della politica che deve saper valutare costi e benefici anche in termini di
consensi e quindi di benefici per la larga parte della società. Quando salta questo ruolo
di mediazione i costi pagati dalla collettività sono molto alti. Ora, Marattin, come
Monti, anche se su un sedicesimo, incarna nella stessa persona entrambe le figure:
l’accademico affezionato alle proprie teorie e l’amministratore pubblico fiero di
applicare quelle teorie alla società.

Ma la società non è un laboratorio dove si può mettere in conto la perdita delle cavie. Faccio un esempio concreto. Marattin fa un vanto pubblico la riduzione delle imposte comunali di cui è artefice perché ritiene, come gli altri due ospiti della serata, che occorra un’immissione di liquidità nel sistema, così comincio ad entrare nel merito. Dice che nonostante la riduzione delle
tasse, sempre per fare un esempio, è stato aperto un nuovo asilo nido a Ferrara.
Bene, nessuno può dire di essere contento di pagare le tasse e sono contento per i
genitori che troveranno maggiori disponibilità di posti. Ciò che non dice Marattin è che
quell’asilo nido è affidato in gestione a dei privati, i quali assumono le educatrici non a
tempo indeterminato, non a tempo determinato, ma a giornata, attraverso la
corresponsione del salario con dei voucher, dei pezzi di carta che il datore di lavoro
acquista in posta o addirittura in tabaccheria e che girerà al lavoratore che poi dovrà
andare a cambiare per trasformarli in soldi. È evidente a tutti la spersonalizzazione del
rapporto di lavoro. Il vantaggio per il datore di lavoro è la massima flessibilità nella gestione delle risorse umane, nessun diritto per i lavoratori (ferie, malattie e permessi), un consistente risparmio sui contributi previdenziali che sono versati in forma ridotta. Questo è il risultato. La barbarie nel mondo del lavoro introdotta in questo paese di cui Marattin sembra fiero sostenitore. Del resto il suo partito, il Pd, ha votato tutte queste leggi, quando addirittura non se ne è fatto promotore, vedasi il recente ddl sul lavoro del ministro Poletti. Mi fermo qui perché altrimenti si aprirebbe
un capitolo su come questa amministrazione comunale intenda le scuole di infanzia,
non come pubblica istruzione, ma come servizio di badantato.

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Zibordi (in primo piano), poi Cattaneo, Gessi, Marattin

Per quanto riguarda il merito del dibattito, Cattaneo e Zibordi per uscire dalla crisi
propongono un’immissione di 200 miliardi di euro da parte dello Stato sotto forma di
certificati di credito fiscale a due anni da distribuire ai cittadini con i quali essi pagheranno le
imposte e tutte le altre transazioni con la pubblica amministrazione. Secondo gli autori
del libro “La soluzione per l’euro” (Hoepli), questo sarebbe un escamotage per aggirare
il divieto di stampare moneta, potere di cui gli stati sovrani si sono spogliati per
affidarlo alle banche che si fanno pagare gli interessi da cui, in realtà, deriva il debito
dello Stato e non dallo sbilancio tra entrate e uscite che sarebbero coperte se ci fosse
la possibilità di stampare moneta. Con questi certificati di credito i risparmi dei cittadini
non sarebbero intaccati per il pagamento delle imposte e quella liquidità andrebbe in
circolo attivando un meccanismo virtuoso come se si fosse stampata moneta nuova.
Qui viene il punto di discordia, su cui Marattin ha insistito più volte tenendo una
lezione accademica molto tecnica e poco divulgativa. Secondo Marattin stampare
moneta significa innescare un meccanismo inflattivo pericolosissimo per l’economia,
ma soprattutto il rischio è che per raffreddare l’inflazione bisogna poi ricorrere a
nuove imposizioni fiscali. E qui il Marattin “politico” non è d’accordo, perché nuove
tasse significa minore consenso. E il Marattin economista spiega che le tasse
innescano un processo recessivo nell’economia. Punto. Insomma, Marattin è
furbescamente simpatico: usa il doppio ruolo per rafforzare scelte che sono
eminentemente politiche ammantandole per scelte inevitabili perché derivanti da una
verità rivelata. La sua. Quella accademica. Il giochino funziona dove ci sono bassi
livelli di scolarità, caro Gigi!

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Fornaro fra il pubblico

Comunque, io non sono d’accordo con i “due” Marattin. Eventuali nuove imposizioni
fiscali, in un contesto in cui lo Stato stampasse moneta in proprio e quindi l’economia
fosse in una situazione virtuosa, non avrebbero effetti recessivi per due motivi abbastanza
semplici e intuibili da chiunque: il primo, è che un prelievo fiscale, modulato a
decrescere nel tempo, interverrebbe in una fase espansiva dell’economia e dunque in
presenza di un’accumulazione della ricchezza prodotta. Pertanto, costituirebbe un
freno relativo a nuovi investimenti da parte dei privati e delle famiglie.
Il problema è che in Italia non si è mai fatta una seria ed equa politica fiscale. Tant’è
che i vari governi, fino, direi, ai primi anni Ottanta, rastrellavano risorse in modo
massiccio non attraverso la fiscalità, ma attraverso i titoli di Stato che acquistavano,
guarda caso, proprio coloro che avrebbero avuto da perdere da una seria politica
fiscale, coloro che avevano accumulato ricchezze. E paradosso dei paradossi lo Stato
si indebitava proprio con coloro che avrebbe dovuto colpire. Un debito che ci trasciniamo ancora oggi. Per questo sono d’accordo con Zibordi quando dice che l’austerità è servita alla rendita finanziaria per arricchirsi. Altrimenti non si spiegherebbe perché, per fare un esempio, i Merloni decidono di vendere l’Indesit, un’azienda florida, agli americani. Dove impiegheranno gli introiti della vendita? Sicuramente in speculazioni finanziarie. Intanto, il paese ha perso un altro marchio
mady in Italy.

Il secondo motivo, è che le entrate della fiscalità in uno Stato efficiente danno a loro
volta impulso alla spesa pubblica innescando una crescita e rendendo non più
necessaria la stampa di nuova moneta. E per spesa pubblica non intendo gli sprechi
che questo paese e questa città conoscono, ma spesa in ricerca, istruzione, salute,
trasporti pubblici, sostengo alle piccole imprese e alle imprese di giovani, welfare,
sostegno al reddito a chi malauguratamente perde il lavoro. Insomma, spesa in
benessere per i cittadini che può tradursi in crescita della produttività singola e
aggregata. Sarà anche per questo che la produttività dei paesi del nord Europa, dove
la spesa pubblica è più alta, è superiore alla nostra? Sarà mica che non è solo una
questione di arretratezza tecnologica, ma di benessere sociale?

I Simple Minds a Ferrara sotto le Stelle 2014

da: Ferrara sotto le Stelle 2014

La mitica band di Glasgow, autrice di alcuni album considerati pietre miliari del rock degli ultimi tre decenni, celebra la sua lunga carriera con uno show che raccoglie tutte le perle del suo sterminato repertorio.

Dalla Scozia alla conquista del mondo passando per il pop.
Sono in cinque, vengono da Glasgow e nel 1985 sbancano le classifiche di mezzo pianeta grazie al singolo “Don’t You (Forget About Me)”: il loro nome? Simple Minds, dominatori del panorama pop nel corso degli anni Ottanta.
Il bello è che per qualche tempo hanno seriamente rischiato di non inciderlo affatto, “Don’t You (Forget About Me)”.
Non solo: all’inizio non suonano neppure pop. All’inizio navigano nel gran mare del post punk e dell’art rock, pescando a piene mani dal sound dei Roxy Music.
L’esordio ufficiale dei Simple Minds è del 1979, quando una doppia pubblicazione mette subito in chiaro che la band sa spaziare fra suggestioni musicali molto diverse: “Life In A Day” (aprile 1979), il loro primo album, è un disco che fonde art rock e musica pop in composizioni che privilegiano strutture musicali il più possibile lineari. “Real To Real Cacophony” (novembre 1979) è invece nettamente più sperimentale e darkeggiante. È anche quello dei due album che conquista la critica e che attira sul gruppo i riflettori che contano.
Il terzo disco dei Simple Minds conferma due cose: gli entusiasmi delle riviste di settore e il fatto che la band ami sperimentare territori musicali sempre nuovi.
“Empires And Dance” (settembre 1980) è infatti decisamente influenzato dall’elettronica, pur non abbandonando le radici art rock. La metamorfosi musicale continua nei due album successivi, quando i Simple Minds avviano la definitiva transizione verso uno stile pop più accessibile: “Sons And Fascination” e “Sister Feelings Call” vengono inizialmente pubblicati insieme e solo successivamente distribuiti separatamente, il primo a settembre del 1981, il secondo a ottobre dello stesso anno.
La band viene notata da Peter Gabriel, che li chiama come opening act per il suo tour e li introduce alla Virgin Records.
La svolta in direzione pop contribuisce grandemente ad allargare la schiera dei fan e, sorprendentemente, per quelli di vecchia data, ciò avviene senza mettere da parte la qualità. Tanto che critica e pubblico possono salutare con toni ugualmente entusiasti i successivi due album della band: “New Gold Dream (81-82-83-84)”, pubblicato a settembre del 1982, e “Sparkle In The Rain”, uscito all’inizio del 1984 e prodotto da Steve Lillywhite.
A metà degli anni Ottanta, in gran parte per iniziativa di Kerr, i Simple Minds iniziano a impegnarsi pubblicamente in politica, sostenendo Amnesty International, e organizzando nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America grandi concerti contro il regime dell’apartheid sudafricano. Di questo periodo è l’album “Street Fighting Years”, che comprende tra gli altri il brano “Mandela Day”, in onore del leader anti-segregazionista Nelson Mandela.
Nello stesso periodo Kerr conosce Chrissie Hynde, cantante dei Pretenders e nota attivista animalista. Nel 1984 i due si sposano a New York e l’anno successivo hanno una figlia. Dalla Hynde Kerr ottiene il divorzio nel 1990, risposandosi due anni dopo con Patsy Kensit dalla quale divorzierà nel 1996.
La vera consacrazione internazionale avviene con “Don’t You (Forget About Me)”: leggenda vuole che il pezzo arrivi al gruppo dopo che Bryan Ferry aveva deciso di non eseguirlo. Senonchè all’inizio anche Jim Kerr non ne vuole sapere, soprattutto perché non è convinto del testo. Dopo qualche insistenza il brano viene inciso comunque e nel giro di pochissimo tempo il singolo diventa uno dei più grandi successi dei Simple Minds, l’unico loro brano a raggiungere la vetta delle classifiche statunitensi.
Innegabilmente, uno dei motivi di tanto successo risiede nel cambio di formazione avvenuto mesi prima: è proprio il nuovo batterista Mel Gaynor, infatti, ad arricchire il singolo con uno degli intro di batteria più famosi del suo tempo, provato e riprovato dagli aspiranti batteristi tanto quanto quello inventato da Larry Mullen Jr. per “Sunday Bloody Sunday” (U2).
Sia come sia, l’enorme successo commerciale di “Don’t You (Forget About Me)” non vince le perplessità di Jim Kerr, tanto che non entra a far parte dell’album successivo (“Once Upon A Time”). Il singolo si trova invece all’interno di “Live In The City Of Light” (maggio 1987, una sorta di greatest hits dal vivo che soddisfa fan vecchi e nuovi).
Da questo momento in avanti, però, il successo commerciale non si accompagna più agli entusiasmi della critica, che diventa più severa nei confronti del quintetto di Glasgow. Così è per “Street Fighting Years” (maggio 1989), forse l’album più politicamente impegnato della band, con brani come “Belfast Child” (dedicato alla questione irlandese) e “Biko” (dedicato al Sud Africa). Anche negli anni successivi, i continui cambi di formazione non giovano alla creatività della band, che inanella una serie di lavori incapaci di rivitalizzare il suo sound.
Non desta quindi meraviglia l’uscita del monumentale “Silver Box” (5 CD rimasterizzati), quasi a rivendicare la primogenitura di un suono che ha segnato un’epoca (con 60 milioni di copie vendute) e un tour che passa in rassegna i loro greatest hits, da “Alive and Kicking” a “New Gold Dream”, da “Waterfront” a “Don’t You (Forget About Me).

SIMPLE MINDS
Piazza Castello – Ferrara
Lunedì 28 luglio – ore 21:00
Ingresso: il concerto è completamente SOLD-OUT
Info: 0532-241419
Ulteriori informazioni sono reperibili presso il sito web della rassegna: www.ferrarasottolestelle.it

Risorse in rete:

www.simpleminds.com

Sant’Agostino: dopo l’aumento di stipendio in arrivo per la Giunta nuova dotazione fiammante di cellulari e tablet

da: Stefania Agarossi, Gruppo consiliare Valore e Rispetto. Comune di Sant’Agostino (Fe)

Dopo l’aumento di stipendio, la nuova Giunta ha deciso di approvarsi anche il noleggio di nuovi e tecnologicamente più avanzati cellulari e tablet per sindaco, vicesindaco e consiglieri delegati (delibera n. 75 del 11/07/2014). Due le nuove e scintillanti dotazioni fra le quali gli amministratori ora potranno scegliere: o un cellulare di categoria intermedia (93,70€ di canone mensile contro i precedenti 24,48€ per un totale di 1124€ annuali contro i precedenti 293,76€) oppure un cellulare di categoria di base (5,85€ mensili contro i precedenti 11,52€, per un totale annuale di 70,2€ contro i precedenti 138,24€) con annesso tablet (ulteriori 42,17€ di canone mensile per un totale di 506,04€ annuali).
Provvedimento che viene ritenuto congruo in quanto “l’intera operazione non comporterà sostanzialmente maggiori oneri per l’ente rispetto alla situazione attuale” e “i maggiori costi del noleggio di apparati con caratteristiche più evolute trovano compensazione nelle più vantaggiose tariffe per il traffico telefonico e di dati”.
Ma di congruo in realtà Valore e Rispetto ci vede poco. Per prima cosa non si comprende come in questo momento economico così difficile, per questa Giunta il risparmiare sia un indirizzo politico strategico del tutto superfluo. L’importante è solo dimostrare di non spendere di più. Poco importa se per tutto il 2015 e 2016, se non cambiano le cose, dovranno essere alzate al massimo tutte le tasse consentite anche per pagare questi cellulari e tablet.
In secondo luogo non ci si capacita della totale inversione dell’indirizzo e esempio dato dai componenti della precedente Giunta che per non pesare sulle tasche dei cittadini, lo sottolineiamo, i tablet se li erano comprati a proprie spese. E si che nell’attuale giunta sono confluiti ben tre componenti della vecchia Giunta (Toselli, Marvelli, Scimitarra), e pure il capogruppo della fu Opposizione (Tassinari, ora vicesindaco) che a suo tempo criticò molto aspramente, quando avvenne, il supposto – e poi verificato non essere vero – acquisto dei tablet da parte degli amministratori con i soldi della cittadinanza. Se questo è un altro esempio degli effetti “benefici” delle larghe intese invitiamo gli elettori a una seria riflessione.
Infine, parliamoci chiaro, a cosa serve un tablet o un cellulare di categoria intermedia se non si risponde al telefono e in realtà non c’è nessuna casella di posta elettronica da controllare visto che gli amministratori non hanno ancora una email istituzionale attraverso la quale i cittadini possano entrare in contatto con loro?
Già, perché a ormai due mesi dall’insediamento della nuova Giunta, esperienza di vita vissuta anche da consigliere, se si desidera inviare una comunicazione scritta a un assessore occorre ancora inviare lettera, anche telematica, al protocollo Comunale. Da qui il personale ne prepara copia cartacea che mette nella carpetta dell’amministratore che la ritirerà quando passa in segreteria. Il 3 luglio scorso ho inviato in tal modo all’assessore all’Ambiente, con gentile richiesta di risposta scritta entro 7 giorni per tenermi aggiornata sull’evoluzione della soluzione di due diverse problematiche ambientali segnalatemi da due cittadini. Sono passate tre settimane e sto ancora aspettando. Come il cittadino oggetto della segnalazione che non è stato ancora contattato. E siamo al 25 di luglio.
Tuttavia a ben pensarci un risparmio c’è, di soldi e di tempo: non sul bilancio del Comune, non nelle tasche del cittadino che paga le tasse, ma sul bilancio personale di chi presto si ritroverà un tablet nuovo con tanto di traffico pagato gentilmente da tutti noi. E nemmeno la scocciatura di dover rispondere alle lettere di cittadini, consiglieri o di chi necessita del suo aiuto, almeno sino a quando non chiederà che gli venga assegnata una email istituzionale. Ma intanto si è aumentato già lo stipendio.

E mi chiedo solo una cosa, da cittadina e da consigliere che si è letta con attenzione e crescente preoccupazione ogni singola pagina del bilancio che la Giunta chiede di approvare giovedi 31 luglio in Consiglio Comunale. Ma come si fa a programmare tutti quei sacrifici in tasse e tagli e rinunce future per la nostra comunità e poi aumentarsi lo stipendio e dotarsi pure di un tablet nuovo? Quale la nostra credibilità come amministratori e consiglieri comunali se avvallassimo tutto ciò? Anche per questo abbiamo presentato come gruppo consiliare un emendamento al bilancio di annullamento dell’aumento di stipendio degli amministratori e un’ulteriore riduzione del 10%. Come hanno fatto a Ferrara. E in seduta proporremmo a tutti i consiglieri di valutare la rinuncia al proprio gettone di presenza. Per quanto poco sia. Nessuna antipatia personale o polemica. Sono semplicemente finite le vacche grasse. E stanno morendo anche le magre. Non ci sono più soldi. Bisogna cominciare a risparmiare, su tutti i fronti. E tutti dobbiamo dimostrare di averlo capito. E di crederci. E c’è un solo modo per chiedere sacrifici alla propria comunità: dando l’esempio per primi.

Stefania Agarossi
Gruppo Consiliare Valore e Rispetto

Aiuola in piazza Duomo, ovvero improbabili iniezioni di verde

Giorni fa, nel rullo costante di notizie che mi passano sotto gli occhi frequentando uno dei più comuni social network, ho letto che il Comune di Milano sta realizzando in piazza Duomo una grande aiuola fiorita, chiamare tutto questo giardino mi sembra eccessivo. Confesso di aver sperato che si trattasse di una bufala, invece no, faranno questo “splendido” intervento di riqualificazione verde della piazza, con tanto di assessore trionfante, che lo presenta come uno dei futuri biglietti da visita della città in occasione dell’Expo del prossimo anno, e ancor più gongolante perché l’operazione, promossa da sponsor privati, sarà a costo zero per il Comune nei prossimi tre anni, dopo non si sa.

Mi piacciono le piante, mi piacciono proprio tutte, non me ne viene in mente una che non sia bella, affascinante e piena di potenzialità, ma se c’è una cosa che rende le piante insopportabili è metterle nel posto sbagliato. Siamo in tempi di contaminazioni ad oltranza, i linguaggi si mescolano continuamente quindi perché la combinazione di un elemento rurale come l’orto in un contesto artificiale come una piazza, mi fa così arrabbiare? perché è la prova dell’insipienza di chi si occupa di verde nelle città, e in generale di urbanistica. Fare il riassunto in due righe di cosa sia la complessità urbana è un compito che non sono capace di sbrigare, ma forse qualcosa posso provare a chiarirla. Una piazza di città, una piazza come quella di Milano, caratterizzata da architetture e monumenti così forti e riconoscibili, è intoccabile; le città sono organismi vivi, non dovrebbero essere imbalsamate, ma per trasformarne certe parti è necessario avere montagne di coraggio e vere competenze. Quel coraggio che è servito per fare dei gesti potenti come la costruzione della piramide di Ming Pei nel cortile del Louvre a Parigi, che potrà non piacere, ma la sua forza architettonica e simbolica ha stabilito un dialogo così forte con la monumentalità del suo contesto da diventarne una sua parte. Per far dialogare l’artificialità di una piazza storica italiana con una cosa che appartiene ad una altro mondo, come quello della natura e della campagna, bisogna avere il doppio del coraggio e fare la rivoluzione con gesti dirompenti o di straordinaria finezza, cosa che un’aiuoletta con gli orticelli non ha. Insomma, quando vengono certe idee, bisognerebbe fare un bel respiro e cercare altre strategie, magari convogliando certe risorse altrove.
Le nostre città sono piene di spazi mutanti privi di qualità, in cui ci sarebbero infinite possibilità di sperimentazione e di trasformazione, attraverso interventi di verde pubblico progettati con criterio, che in queste parti di città rappresenterebbero una straordinaria operazione di riqualificazione urbana e sociale. Piazza Duomo e le sue sorelle sparse per l’Italia, non hanno bisogno di orticelli, ma di educazione, pulizia, civiltà e chiarezza, ingredienti mancanti che andrebbero diffusi ovunque, come un virus potente. La presenza di alberi nelle piazze è possibile, abbiamo un’infinità di casi in cui gli alberi sono parte integrante della piazza. Nuove piantagioni possono essere realizzate se adeguatamente fornite di ampie porzioni di terra, griglie protettive e traspiranti alla base del tronco, e magari dei bei supporti metallici ben progettati per proteggere e sostenere i tronchi durante la crescita, fatte le dovute analisi, e dopo averci pensato molto ma molto bene. Potrebbero anche starci, in un certo senso si tratterebbe di una Natura che si presta a parlare la lingua dell’artificio urbano e non pretende di essere ipocritamente naturale. L’ignoranza diffusa in questa materia porterebbe sicuramente ad osservazioni del tipo: “hanno sistemato la piazza che sembra un parcheggio della Coop”, e quindi per continuare a farci del male ecco che pianteranno una banale orto-aiuola in piazza Duomo, con le sue erbe aromatiche e le sue graminacee, non mancheranno fiorellini e altre leziosità, il tutto per fare qualcosa di ambientalistico che per essere conservato e mantenuto in ordine avrà bisogno di una infinità di ore di manutenzione, acqua ed energia varia, che mi chiedo chi pagherà quando lo sponsor privato chiuderà i cordoni della borsa. Una visione a corto raggio, tipica dei politici che ormai hanno una visione del futuro che arriva solo a fine mandato.

Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’Oriente

Proprio nel momento in cui la striscia di Gaza è nuovamente insanguinata e terribilmente sofferente, troviamo questo film del 2011 (ma appena uscito al cinema in Italia) che, con un vero e proprio tono di commedia farsesca, ci mostra, ancora una volta, quanto siano assurde e inutili le divisioni fra il popolo palestinese e israeliano.

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la locandina

Eccoci allora a sorridere di fronte a un insolito e segreto business che un pescatore palestinese, Jafaar, avvia a Gaza con coloni israeliani. Grottesco ma forte e intenso.
Jafaar (il bravissimo attore Sasson Gabai di La Banda del 2007, che abbiamo già recensito, leggi) pesca sardine e naviga davvero in cattive acque. Oltre a pescare pochissimo (anche perché, per le limitazioni dei palestinesi, i pescatori di Gaza non possono allontanarsi più di 4 miglia dalla costa) è perseguitato dai creditori e vive in una casa mal ridotta, polverosa e fatiscente, diventata la base di alcuni soldati dell’esercito israeliano che da lì sorvegliano la città.
Un bel giorno la sua malasorte pare perseguitarlo: durante una battuta di pesca, nella sua rete, che spesso si trovava piena di scarpe, cianfrusaglie e spazzature, resta impigliato un maialino vietnamita grigio scuro (e bruttino). Il maiale è un animale impuro sia per gli ebrei che per gli arabi e nessuno deve sapere che lo ha pescato. Cerca di ucciderlo ma non ci riesce. Poi cerca di venderlo, invano, a un funzionario tedesco delle Nazioni unite. Poco dopo, viene a sapere che i nemici di sempre, gli ebrei israeliani che abitano in una colonia vicino a Gaza, li allevano, nonostante l’impurità dell’animale. La moglie gli dice che gli israeliani allevano maiali perché capaci di trovare gli esplosivi… Storie, invenzioni, fantasie si succedono in un crescendo di situazioni paradossali ed esilaranti anche nel drammatico.

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una scena del film

Jafaar decide quindi di approfittare della situazione e, con l’aiuto di una ragazza ebrea russa, avvia un business che lo arricchisce, lanciandosi in un’ingegnosa e rocambolesca iniziativa. Ma i veri guai, per lui, devono ancora iniziare.
Non manca anche un accenno al terrorismo, tra kamikaze, check-point, soldati e coloni: Jafaar per i suoi affari con gli israeliani viene considerato un traditore e, per sdebitarsi, dovrà fare un attentato kamikaze nella colonia ebraica, insieme al suo maiale, anch’esso imbottito di esplosivo.
Vi sono poi tante scene surreali come quella dei militari israeliani e di un gruppo di palestinesi che, insieme, danno la caccia al maiale che è scappato o quella della moglie di Jafaar che guarda insieme a un soldato una telenovela brasiliana. Tutti elementi che ci calano bene nella realtà martoriata della Terra Santa.
La morale della storia è un grido di speranza a una risoluzione imminente, quanto impossibile per ora, alla delicata questione israelo-palestinese, che il regista “risolve” con l’arrivo del maiale, animale impuro che per l’occasione diventa una specie di colomba della pace, in grado di mettere d’accordo due popoli sulla Striscia di Gaza.
Il film, spesso esilarante ma intenso, merita davvero di essere visto, anche se il finale è un po’ troppo sbrigativo e frettoloso.

di Sylvain Estibal, con Sasson Gabay, Baya Belal, Myriam Tekaïa, Gassan Abbas, Khalifa Natour, Francia/Germania/Belgio 2011, 98′