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Giorno: 30 Marzo 2016

Sabato 2 aprile a Cento celebrazione per il 70° anniversario di Cna Ferrara

da: ufficio stampa Cna Ferrara

La cerimonia a Palazzo del Governatore alla presenza delle autorità locali.
La Cna premia gli imprenditori di più lunga fedeltà associativa.

Inizieranno sabato 2 aprile a Cento, a Palazzo del Governatore (Sala Rossa), le celebrazioni per il 70° anniversario della fondazione della Cna di Ferrara, che coinvolgeranno centinaia di imprenditori e imprenditrici trasformandosi in una occasione di festa e, al tempo stesso, di riflessione sul valore odierno della rappresentanza e il ruolo delle piccole e medie imprese nell’economia provinciale.
L’importante iniziativa, intitolata “70 anni di Cna: valori e opportunità per la crescita delle imprese del territorio”, vedrà protagonisti imprenditori centesi associati alla Cna per periodi compresi tra i 25 e i 45 anni, dirigenti artigiani e dipendenti di più lunga anzianità lavorativa. Si inizierà alle ore 9,30, con gli interventi del sindaco di Cento Piero Lodi; del presidente della Cassa di Risparmio di Cento, Carlo Alberto Roncarati; del presidente di Banca Centro Emilia, Giuseppe Accorsi; di Stefano Grechi, presidente dell’Area Cna dell’Alto Ferrarese e di Alberto Minarelli, presidente provinciale della Cna. Quindi, seguiranno le premiazioni.
“È sicuramente un onore – commenta Stefano Grechi – ritrovarsi a premiare gli imprenditori che, da anni, costituiscono il tessuto vitale della Cna. Si tratta di artigiani e artigiane, che hanno saputo svolgere al meglio il proprio lavoro, materializzando idee e ispirazioni attraverso le proprie aziende, divenute traino, vanto ed eccellenza produttiva della nostra provincia”.
Dunque, sarà un’occasione di festa e di riflessione, quella di sabato a Cento: “Per il cammino intrapreso – conclude Grechi – e il percorso, compiuto da tanti nostri associati, insieme alla Cna, affrontando continuamente cambiamenti, eventi drammatici come il sisma 2012 e le congiunture economiche di un mondo che gira sempre più veloce”.

Venerdì 1 aprile gli “Amycanbe” live presso il Circolo Arci Zone K

da: Associazione Zone K

Venerdì 1 Aprile il Circolo Arci Zone K in collaborazione con Pentagon Booking ospiterà un altro eccezionale evento all’insegna della buona musica. A calcare il palco delle Zone K saranno e proporranno al pubblico ferrarese il loro ultimo lavoro “Wolf”.
Il primo nucleo della band si costituisce a Cervia, dove Marco e Mattia si incontrano, nel 2002. Solo nel 2005 il gruppo diventa quartetto, con l’ingresso in formazione di Francesca e Paolo, e prende l’attuale nome di Amycanbe. Subito dopo le prime esibizioni live, realizzano un demo autoprodotto, senza titolo, poi rinominato Yellow Suit, un EP di 5 canzoni, cantate in lingua inglese, che cattura l’attenzione di Blow Up. La rivista inserisce la band nella playlist dei migliori gruppi debuttanti in quell’anno. Nel corso del 2006, aprono i concerti di Skin, Sophia, Devastations e Yuppie Flu. Inoltre partecipano al Roma Rock Festival.
L’album d’esordio, dal titolo Being a Grown-Up Sure Is Complicated, viene pubblicato nell’ottobre 2007 ed è prodotto da Mario Thaler. Intraprendono due tour in Gran Bretagna suonando in prestigiosi locali inglesi e si fanno conoscere anche nei diversi network locali come la BBC. Al ritorno in Italia partecipano al festival Assalti al Cuore di Rimini e ad altre manifestazioni relative al mondo musicale indipendente.
Il 25 maggio 2011 viene pubblicato l’EP The World is Round, ispirato dall’omonima fiaba di Gertrude Stein, preceduto dal singolo e dal video Everywhere, che viene notato da importanti blog e riviste nonché trasmesso su MTV e VIVA. Il successivo album Mountain Whales viene pubblicato nell’ottobre 2011, edito poi in edizione speciale in vinile da Feedbands nell’ottobre 2013. The World Is Round e Mountain Whales vengono prodotti dalla band e da Mattia “Matta” Dallara, con il contributo al missaggio di Mark Plati (David Bowie, Prince, Robbie Williams, The Cure, Dave Navarro, Emilie Simon, Charlie Winston e altri).
A fine 2012 esce nei cinema Acciaio, film di Stefano Mordini, che include la canzone Everywhere nella colonna sonora ufficiale del film. Rose Is a Rose viene inclusa nella colonna sonora ufficiale del film Avenged (aka Savaged) del 2014, thriller horror film di Michael S. Ojeda.
Nel 2014 diverse serie televisive USA vedono brani degli Amycanbe nelle proprie colonne sonore, come Finding Carter di MTV e Royal Pains. A fine aprile 2015 esce il nuovo album: Wolf. Quest’ultimo, si distanzia dagli altri lavori per una evidente maturità compositiva e per un certo gusto nel sottrarre piuttosto che nell’aggiungere, sempre più piano e tastiere, discreti e mai banali tappeti elettronici, una voce più asciutta e contenuta forse, che in questo disco trova la sua migliore
L’ingresso ad offerta libera è riservato ai soci Arci. Lo spettacolo avrà inizio alle ore 22,00. Per info e prenotazione tavoli tel. 346.0876998

Venerdì 1 aprile Leonardo Veronesi e i “Kozmic Floor” live al Circolo Arci Quattro Stracci

da: organizzatori

LEONARDO VERONESI dopo la brillante partecipazione al MADE IN FE e l’uscita del suo nuovo videoclip “BELLA” ritorna ai live e sarà sul palco del Circolo Arci Quattro Stracci venerdì 1 Aprile 2016 proponendo un altro evento singolare presso il live club di via Pasetta 3 a Malborghetto di Ferrara. Il circolo inaugurato lo scorso dicembre e’ gestito da Luca Bottoni e Tommaso Zucchini che in poco tempo ne stanno facendo un importante punto di riferimento per iniziative musicali e culturali e hanno riqualificato lo splendido spazio attorno al laghetto a due passi dal centro di Ferrara . Seguendo la filosofia del Follow The Drop (segui la goccia) alternano le attività del circolo abbinandole come se fossero le gocce che compongono il lago …ognuna diversa dall’altra ma imprescindibili tra loro! Leonardo Veronesi sarà accompagnato dalla band KOZMIC FLOOR e presentera’ brani del suo nuovo album “Non hai tenuto conto degli zombie ” uscito il 6 novembre 2015 unitamente al suo repertorio di inediti e cover selezionate. Dall’uscita dell’album presentato con grande successo insieme a Gene Gnocchi alla libreria “La Feltrinelli”, Veronesi ha iniziato un tour promozionale ricco di grandi soddisfazioni alternandosi tra interviste e partecipazioni radiofoniche e televisive su canali nazionali e locali; concerti in locali e teatri; collaborazioni musicali con comici e altri personaggi del mondo dello spettacolo e nuovi videoclip. La collaborazione artistica tra Leonardo Veronesi e i Kozmic Floor è parte di un progetto interattivo di questo nuovo tour in cui si alterneranno i suoi collaboratori storici a questa band di giovani emergenti per creare situazioni diverse in cui anche le sonorità e gli arrangiamenti dei brani siano di volta in volta adeguati alle situazioni dei live creando quindi nuovi stimoli musicali per il pubblico e per i musicisti. In questo caso la stima reciproca e la volontà comune di creare un progetto in cui potessero confluire le diverse personalità di ognuno in piena libertà hanno avvicinato questi due mondi musicali e dallo scorso ottobre si è consolidato un rapporto professionale che sta portando a tutti grandi soddisfazioni. Kozmic Floor sono Silvia Zaniboni (chitarra e voce) Filippo Dallamagnana (batteria) e Michele Dallamagnana (basso) un trio formatosi nel 2014 che spazia dal blues alle sonorità rock contaminati da atmosfere psichedeliche alternando inediti e classici riarrangiati. Hanno già partecipato a importanti appuntamenti e pubblicato il loro primo EP. Silvia Zaniboni e Filippo Dallamagnana suonano stabilmente con Bobby Solo. Leonardo Veronesi ha iniziato la sua carriera come cantante di cover band nel 1997 fino al 2000, anno in cui si stacca dai gruppi per proseguire come solista e autore. Dopo aver pubblicato alcuni singoli e scritto alcune sigle televisive, nel 2008 esce il suo primo album UNO prodotto con Paolo Martorana. Nel 2011 è ritornato con DOMANDARIO prodotto con Paolo Valli. Nel 2013 è stato presentato il suo terzo album L’ANARCHIA DELLA RAGIONE prodotto con Nicola Scarpante. Nel 2015 è uscito invece il suo quarto album NON HAI TENUTO CONTO DEGLI ZOMBIE. Ha partecipato al 53° Zecchino d’Oro come autore con il brano I suoni delle cose ed è arrivato al terzo posto del 55° Zecchino d’Oro come autore del brano Il blues del manichino (di questo brano è stata registrata una versione spagnola interpretata da Carmen Gonzalez Aranda. Nel 2014 ha scritto e realizzato 3 brani nel nuovo album di Frenk Nelli e per War- k “Quel che non c’era” (lo stesso brano è stato tradotto in spagnolo e cantato al Festival Armonia in Spagna). Nell’estate 2014 viene pubblicato contemporaneamente in Italia ed in Spagna un suo brano intitolato Acqua (Agua) cantato da Carmen Gonzalez Aranda. A dicembre 2014 è uscito Il colore Giallo, brano scritto da Leonardo Veronesi ed interpretato da Enrica Bee, inserito nella colonna sonora dell’ultimo film di Marco Lui John, il segreto per conquistare una ragazza. Sempre a dicembre 2014 è uscito il videoclip ufficiale Segreti tratto dal brano omonimo contenuto nell’album L’anarchia della ragione. Nel Settembre 2015 e’ uscito il suo nuovo singolo Non hai tenuto conto degli zombie insieme al videoclip ufficiale del brano. Il 6 novembre 2015 è uscito il suo quarto album “Non hai tenuto conto degli zombie” unitamente al videoclip ufficiale del secondo singolo Precario e nel marzo 2016 il videoclip ufficiale del suo terzo singolo “Bella”. Cantautore originale Leonardo Veronesi in modo ironico canta un quotidiano che per quanto rientri in uno schema di normalità ha sempre un margine di imprevedibilità, qualcosa che non si riesce a valutare, qualcosa che sfugge al nostro controllo… in questo ultimo album appunto l’arrivo degli zombie! Prosegue quindi un percorso stimolante improntato su una ricerca di sonorità e soluzioni musicali originali che lo porterà in giro per live, spettacoli teatrali ed eventi culturali in nome di una forte volontà di creare nuove sinergie da sempre alla base dei suoi progetti. La serata sarà allietata da molte sorprese tra cui esibizioni coreografiche e altri ospiti. Fonico Davide Viviani.

Ingresso FREE ENTRY con tessera Arci.

INFO:
mailto:ass.quattrostracci@outlook.it
Luca:3408145494
Tommaso:3348637937
Francesco:3334398427

Diario di un soldato: la vita quotidiana in una base dell’Afghanistan/2

SEGUE. Ecco la seconda parte della testimonianza di Gianni, ufficiale dell’Areonautica tornato di recente da una missione in Afghanistan.

Tornando alla quotidianità… Quindi, tutte le volte che dovevi spostarti fuori dalla base, lo facevi in elicottero?
Diciamo che personalmente non uscivo dalla base Nato tutti i giorni. Comunque sì, le volte che l’ho fatto ho usato l’elicottero! Poi, quando mi trasferivo per ragioni di servizio da Kabul a Kandahar o Herat, lo facevo ovviamente in aereo. Però, per farti capire meglio la situazione, ti posso dire che, per esempio, quando ci si doveva spostare all’interno della stessa base militare afghana a tagliarsi i capelli o allo spaccio, lo si doveva fare armati, col giubbotto antiproiettile e sempre a bordo di mezzi blindati. Questo nell’eventualità che qualche soldato afghano potesse spararci contro, appunto per i motivi che ti ho detto prima.

Ma, a parte le precauzioni continue, hai qualche ricordo di momenti di particolare stress, di una situazione di forte pericolo che hai corso?
Beh, minacce dirette alla mia persona non ne ho mai subite, in questo senso sono stato fortunato! Se invece parliamo di situazioni di pericolo direi di sì. Capitò proprio appena un paio di giorni dopo il mio arrivo a Kabul: erano poco più delle cinque del mattino e il container nel quale dormivo venne scosso dallo spostamento d’aria causato dall’esplosione di un camion imbottito d’esplosivo e fatto saltare vicino alla recinzione esterna della base. Fortunatamente quella volta, a parte i danni alle infrastrutture, vi furono solo feriti lievi, ma all’interno della base scattarono le sirene dell’allarme e fummo tutti costretti a vestirci in pochi secondi e a correre nei bunker dove rimanemmo un’ora ad attendere il cessato pericolo. Considero quell’episodio come il mio ʻbenvenuto nella nuova dimensioneʼ. Qualche tempo dopo ci fu un attacco alla base in piena regola: un attentatore suicida si fece esplodere davanti al cancello d’ingresso, aprendo la strada ad un commando di talebani che iniziarono a sparare e a lanciare ordigni all’interno della base. Anche un secondo attentatore, pochi secondi dopo, si fece saltare in aria per aprire un altro varco tra le nostre difese. Il conflitto a fuoco durò una mezz’ora circa e si concluse con la morte di tutti gli attentatori e di un soldato americano di guardia all’ingresso. Anche quella volta dovetti riparare nel bunker con gli altri e ricordo che sentii distintamente gli spari e le esplosioni.

 Gianni in posa con due militari delle forze speciali Usa

Gianni in posa con due militari delle forze speciali Usa

Ma che scopo hanno questi attacchi?
Non hanno nessuno scopo tattico militare. L’unico intento è creare scompiglio, mantenere un clima di tensione costante, demoralizzare il nemico e soprattutto la gente, minarne la fiducia. In qualche modo far traballare la credibilità della coalizione, portando la gente a identificare la minaccia continua degli attentati con la presenza delle forze internazionali sul proprio territorio. Considera che la stragrande maggioranza delle vittime di questi attentati sono civili. A confronto gli attacchi alle basi e ai convogli militari sono numericamente assai più bassi. Le autobomba e i kamikaze si fanno saltare in aria nelle strade affollate, ai mercati, tra le vie più trafficate della città, cioè laddove la gente è più indifesa.

Fortuna che voi nella base avevate i bunker…
Certamente. Mi chiedevi com’è fatta la base. Considera che io ero il terzo in comando e il mio ufficio era un metro e mezzo per tre all’interno di un vecchio hangar. In sostanza la base era un complesso di hangar riadattati a magazzini e uffici, di fianco ai quali c’erano dei container che poi erano i nostri alloggi. Il bunker che ti ho detto era in realtà un tunnel in cemento armato collocato al centro della base e protetto tutt’intorno da una sorta di terrapieno. Avevamo la mensa, la palestra, spazi di ritrovo: tutti ambienti rigorosamente spartani e quasi tutti ricavati da strutture prefabbricate.

Dimmi dell’esterno… com’era l’ambiente oltre le mura della base?
Approssimativamente la nostra base avrà avuto una superficie non superiore a quattro o cinque ettari, era un quadrato di circa duecento metri per lato o poco più, ed eravamo protetti da muri di cemento alti quattro metri. Tutt’intorno c’era la zona militare presidiata dall’esercito afghano. Quando uscivo dal mio alloggio avevo di fronte il muro, oltre il quale potevo scorgere solo le cime delle montagne in lontananza, sono montagne alte anche quattromila metri. Kabul si trova su un altopiano a milleottocento metri circondato appunto da catene montuose. Il clima poi è secco e d’inverno fa molto freddo, ma è un freddo asciutto e non dà fastidio come qua. Personalmente non avevo la possibilità di uscire e visitare i dintorni al di fuori dell’area militare – tra l’altro non era affatto consigliabile per noi – però posso dire cosa si intravvedeva quando ci si alzava in volo a bordo dell’elicottero. Come ti ho detto, rispetto alla città ci trovavamo a nord, oltre l’aeroporto. il paesaggio è esattamente come nelle foto: spoglio e arido, le colline e le montagne tutt’attorno sono pressoché prive di vegetazione e le case alla periferia di Kabul sembrano sparse a casaccio, tutte uguali, grigie, coi tetti a terrazza. Per riassumere un po’, potrei dirti che ricordo principalmente tre cose: il cemento degli edifici, il metallo dei veicoli e la polvere che ricopriva tutto il resto all’esterno della base.

E la gente?
Devo dire che non ho avuto contatti diretti con la gente del posto. Peraltro i soli afghani con cui ho potuto parlare sono gli ufficiali che ho incontrato in qualche riunione e in un paio di cene. Il mio lavoro era gestire il personale americano della base e i miei rapporti quotidiani erano essenzialmente con gli americani e qualche europeo.

Parlami dei tuoi colleghi stranieri allora! Che differenze hai notato tra voi italiani e loro?
Devo premettere una cosa: nel mio comando ero l’unico italiano presente.Però posso comunque darti le mie impressioni per ciò che ho potuto osservare dei colleghi americani e di quei pochi europei che operavano all’interno della base. Professionalmente parlando, grosse differenze non ne ho viste; più in generale posso dire che gli americani prendono le cose in modo molto più diretto e sbrigativo di noi, e quando dico noi alludo a noi europei. Gli americani sono abituati a prendere decisioni in tempi rapidi e senza troppi preamboli, forse perché le loro regole sono semplici, precise e comprensibili a tutti. Mettici pure il fatto che questa missione la sentono molto a livello emotivo, e questo fin da subito, fin dall’undici settembre. Si avverte un senso di patriottismo in tutto ciò che fanno, se parli con loro di certo non si nascondono: si considerano tuttora in guerra e stanno lì per difendere la libertà del loro paese. Hanno poi il sostegno totale delle loro famiglie: ricevono continuamente messaggi, regali, cibo, qualsiasi cosa. La differenza tra loro e noi europei può essere che noi prendiamo la cosa forse con maggiore pragmatismo, privilegiamo l’aspetto professionale e il senso del dovere verso le istituzioni internazionali a quello puramente patriottico: direi che in qualche modo siamo più riflessivi, ecco. Professionalmente e caratterialmente mi sentivo più affine al mio collega rumeno o a quello danese, probabilmente perché eravamo tra i pochi non americani della base; in questi casi la tendenza è sempre quella di trovare un punto in comune con gli altri, per noi era quello di essere europei!

Morfologia dell’Afghanistan
Morfologia dell’Afghanistan

Però qualche militare afghano hai detto di averlo incontrato…
“Sì, erano ufficiali. Se vuoi sapere che impressione m’hanno fatto quelli con cui ho parlato, ti posso dire che mi sono sembrate persone molto gentili e misurate. Sono consapevoli dell’importanza della nostra presenza nel loro paese. Quello che so è che dove il governo afghano, quello riconosciuto dalla comunità internazionale, è presente non solo come istituzione, ma anche come servizi, cioè con gli ospedali, le scuole, le università, le infrastrutture, le strade, l’acqua, la luce, in sostanza tutte quelle cose che stiamo cercando di far ripartire e di far funzionare, la gente ci guarda con favore. Credo che gli afghani si rendano perfettamente conto dello sforzo economico che la comunità internazionale – soprattutto l’America – ha messo in campo per aiutarli. Ma, come sai, l’Afghanistan è un territorio difficile, ci sono zone del paese quasi impossibili da raggiungere: catene montuose dove non esistono strade, vallate chiuse e inaccessibili in cui si può accedere solo a cavallo di muli. C’è una vasta fetta del territorio afghano, lontana dalle città, che è ed è sempre stata isolata dal resto del mondo: un territorio popolato da comunità tribali che non hanno nessuna percezione dei cambiamenti sociali, e tantomeno dei servizi e delle innovazioni che avvengono nelle città. Di ciò che succede al di fuori dei loro confini sanno poco e niente. In una tale situazione puoi ben capire che le genti di quelle montagne e di quelle vallate sono terreno fertile per i talebani. E lassù c’è un dedalo di nascondigli naturali in cui è impossibile stanarli e tantomeno combatterli.

Le montagne a nord di Kabul
Le montagne a nord di Kabul

Mi pare di capire che avevi buoni rapporti un po’ con tutti…
Direi proprio di sì. Ognuno porta con sé le sue diversità, che poi, se ci pensiamo bene, sommate a quelle altrui, sono un’occasione di arricchimento reciproco. Anche perché alla fine quello che prevale è il rapporto umano che si instaura tra gli individui, tra le persone. Le differenze di nazionalità, di abitudini, di cultura dopo un po’ passano in secondo piano. Si lavora fianco a fianco tutti i giorni, si perseguono obiettivi comuni, ma soprattutto si trascorre tanto tempo con gli altri, si chiacchiera, si gioca e si scherza, si cucina e si mangia tutti assieme. Con alcuni colleghi si è creata una buona amicizia, anche se probabilmente sarà molto difficile rivedersi. Credo poi che un’esperienza come questa, in cui ti trovi a condividere sensazioni forti, momenti spesso drammatici, contribuisca a legare le persone ancor di più.

Un elicottero MI-17 impiegato per il trasporto truppe e materiali
Un elicottero MI-17 impiegato per il trasporto truppe e materiali

Al di là dei momenti di pericolo che hai vissuto, hai qualche altro aneddoto particolare che puoi raccontare?
Ricordo che eravamo a bordo di un C-130 diretto a Kandahar, stavamo andando a incontrare il personale dello stormo americano stanziato in quella base. Ebbene, devo fare una premessa: circa quattro anni fa, proprio in un caso di ʻgreen on blueʼ, un generale americano fu ucciso da un soldato afghano che sparò all’impazzata durante una cerimonia. Da quella volta tutti i generali americani girano con la scorta personale. Insomma, cerco di fartela breve: all’andata eravamo io, alcuni miei colleghi americani del comando di Kabul, personale afghano e, appunto, un generale con la sua scorta. Appena atterriamo a Kandahar ci viene comunicato che dobbiamo imbarcare d’urgenza una dozzina di soldati afghani, alcuni feriti e altri morti in combattimento. In altre parole il nostro volo, che era un normalissimo volo di routine, quasi una gita se vogliamo, viene trasformato di colpo in un volo operativo di trasporto di feriti. E così, da visitatori rilassati, ci troviamo nel giro di pochi minuti a dover piantonare l’aereo armati e agli ordini del generale, a protezione dei feriti e delle sacche con dentro le salme che dobbiamo poi scortare nel viaggio di ritorno a Kabul! Questo solo per dire che laggiù, in ogni momento, devi fare i conti con la realtà, e puoi passare in un attimo dalla spensieratezza al dramma. E anche quest’aspetto della vita che a un europeo apparirebbe senz’altro come qualcosa di schizofrenico, laggiù, dopo un po’, diventa normale routine.

Da ultimo Gianni ti chiedo una riflessione sulla tua esperienza e magari un’opinione sulla situazione attuale in Afghanistan.
Spesso gli americani in una semplice frase riescono a riassumere concetti abbastanza complessi; noi di solito, per esprimere gli stessi pensieri, ci serviamo di pagine e pagine. In sostanza dicono: noi soldati serviamo la patria, ma sono le nostre famiglie che si sacrificano per essa! Personalmente posso dire che decido di partire in missione, di stare lontano da casa tanto tempo con tutte le incognite del caso, sto lì cercando di fare al meglio il mio lavoro. Ma chi paga di più per questa situazione è senz’altro la mia famiglia, nel mio caso Terese. È lei a dover subire maggiormente la mia assenza, che si fa carico di tutto quello che c’è da fare dentro la casa, poi c’è chi ha i figli, chi ha genitori anziani magari malati. Io sto lì, ripeto, lontano migliaia di chilometri, concentrato sul mio lavoro, con la mente lucida e senza distrazioni, ma tutto ciò lo posso fare soltanto se da casa non mi viene fatto sentire il peso di questa mia assenza! Questa cosa è stata un test assai impegnativo per tutti e due: la missione, seppure su diversi fronti, c’è stata da parte di entrambi. E aggiungerei, anche se magari rischio di dire qualcosa di banale, che una volta tornato in Italia sei portato a rivalutare tutto quello che ti circonda con occhio più benevolo, in modo più morbido. Perché è inevitabile fare dei confronti, e alla fine ti rendi conto di quanto sei fortunato a vivere in un quotidiano dove il concetto di sopravvivenza è ormai diventato qualcosa di astratto, di superato. Ebbene, in tante parti del mondo non è così, ma non sta a me spiegarne i perché e tantomeno giudicare! Da militare il mio compito è quello di svolgere un incarico assegnato, che in questo caso specifico riguarda il ʻricostruireʼ, aiutare un paese a risollevarsi e a ripartire. Siamo là per questo motivo, non per combattere, certo siamo preparati a fare anche quello se necessario. Per concludere posso aggiungere che ho visto di persona come in quel paese, pure tra mille difficoltà e contraddizioni, si stanno facendo dei passi nella direzione giusta. Immagino una strada ancora molto lunga da percorrere, probabilmente ci vorranno anni. I pericoli sono ancora tanti, ma il processo di collaborazione e di reciproca fiducia che si è avviato mi fa ben sperare.

S’è fatto tardi e non ho altre domande, così mi congedo da Gianni e Terese con la promessa di risentirci nei giorni successivi.

Qualcuno ha detto che non sono i soldati a iniziare le guerre, ma gli uomini. Casomai i soldati servono a farle finire. Personalmente ho sempre creduto che i bravi soldati detestino le guerre, esattamente come i bravi pompieri detestano gli incendi. Ho ragione di credere che Gianni sia veramente un bravo soldato, soprattutto per il fatto che a guardarlo vestito in abiti civili non abbia affatto l’aria di essere un soldato, ma tutt’altro.
È pur vero che gli incendi non si spengono a parole, occorre qualcuno che abbia il coraggio di indossare maschera, guanti e stivali per andare a domarli. Il fuoco, così come la guerra, può bruciare e uccidere, ma per fortuna non c’è solo il fuoco: ci sono anche paesi da ricostruire o gattini da salvare… Soldati e pompieri esistono anche per questo.

Il caso delle elezioni romane: emblema della crisi della rappresentanza in Italia

A giugno si vota in 1.371 Comuni italiani. Fra le città in scadenza di mandato, capoluoghi del calibro di Bologna, Cagliari, Milano, Napoli, Torino, Trieste. E poi Roma.
Forse la capitale è l’emblema, per troppi versi preoccupante, dello stato di salute di politica e partiti in generale.
Che questo sia un problema lo diceva Giuseppe Dossetti nel memorabile discorso di Pordenone nel 1994. Con quella capacità di saper guardare lontano, a circa due anni dalla morte (1996) e nell’anno che segnava storicamente il crollo della prima repubblica, travolta dall’infezione della corruzione, il monaco di Monteveglio metteva in guardia dal pericolo per la stessa democrazia della crisi della politica e dei partiti.
Una crisi di cui un segnale, alcuni fanno notare, è il fatto che già nel nome molte formazioni non si chiamano più “partito”. Unica eccezione, o quasi, il Pd.
Proprio a Roma sembra più eclatante uno stato delle cose che sembra pericolosamente prossimo alla necrosi della politica.
Nella contesa per la capitale il centrodestra dà l’idea del caos. Già il termine ‘gazebarie’ per designare il candidato, che anche l’accademia della Crusca avrebbe un reflusso gastrico nell’ammettere nel vocabolario dovrebbe, da solo, mettere in allarme. Praticamente il giorno stesso in cui emerge il nome – Guido Bertolaso – viene clamorosamente e platealmente smentito dalla discesa in campo di Giorgia Meloni.
Tanti fanno presente che qui la vera posta in gioco è il centrodestra. A Matteo Salvini – è stato scritto e riscritto – non importa nulla della capitale. Vuole detronizzare definitivamente l’ex cavaliere e rimanere il padrone unico dello schieramento. Di più: nella sua deriva lepenista forse sa di non poter neppure conquistare Palazzo Chigi. Quello che vuole è comandare la destra.
Sullo sfondo sono destinati, quindi, a rimanere Roma, i romani, gli enormi problemi della città che più rappresenta l’Italia e le quindici pagine dell’Autorità Anticorruzione. Quindici pagine in cui l’Anac fa a pezzi le giunte Alemanno e Marino. Uno spietato atto d’accusa – scrive Oscar Giannino dalle colonne de Il Messaggero (16 marzo) – sulle condizioni di illegalità pervasiva in cui si trova l’amministrazione del Campidoglio. Sistematici aggiramenti delle regole, perpetrati in alcuni casi addirittura da vent’anni in tema di appalti, 14 miliardi di debiti accumulati e ora lo scandalo degli appartamenti pubblici con affitti che sono un insulto innanzitutto alla gente perbene. Canoni che, come se non bastasse, non vengono neppure pagati. Danno e beffa in una simultaneità sfacciata e impunita, con una morosità che pesa sulle casse comunali per centinaia di milioni di euro. Salvo poi assistere alla liturgica processione del primo cittadino di turno del Campidoglio a Palazzo Chigi col cappello in mano ad ogni legge finanziaria, perché Roma Capitale è un caso a sé.
Ebbene, di questo buco nero cosmico – spettacolo non proprio astrofisico cui assistono attonite le cancellerie di mezzo mondo – importerebbe poco o nulla alla destra italiana, a quanto pare.

Nel campo della sinistra le cose non vanno meglio.
Le primarie continuano a essere fonte di polemiche, opacità e contestazioni, che finiscono per lasciare il segno (sempre meno partecipate) su uno strumento pur nato sulla carta con le migliori intenzioni.
Anche qui la contesa elettorale è pretesto per un estenuante regolamento di conti.
La sinistra del partito contesta al segretario-presidente del Consiglio di governare coi voti di Verdini.
La compagnia in effetti fa venire in mente il detto: “meglio soli che male accompagnati” e non manca neppure chi legge il dato come il segnale della persistenza dell’inconfessato Patto del Nazareno. Su QN (16 marzo) si riporta, per esempio, il virgolettato del Pd Federico Fornaro, membro della commissione vigilanza della Rai: “Con il canone in bolletta la Rai otterrà risorse, in termini di minore evasione, pari a 500 milioni. Così il sistema, non solo Mediaset, chiederà che sia diminuito l’introito pubblicitario del soggetto pubblico”.
Questioni d’interessi, che in tempi di uomini del fare evidentemente contano più di idee e progetti.
Se Verdini è il bastone lanciato polemicamente tra le ruote di Renzi dalla sinistra del partito, il problema però permane quello di un respiro che manca.
Ne parla distesamente Massimo Cacciari (su L’Espresso il 24 marzo). Secondo il filosofo ed ex sindaco di Venezia Renzi è “la forma che ha assunto in Italia la crisi storica della socialdemocrazia europea”, nell’ambito della “subordinazione delle socialdemocrazie tradizionali ai poteri forti”.
Detto in altri termini, per contendere la sua leadership occorrerebbe mettere il dito sulle ragioni profonde di questa disfatta e cioè sulla storia di una sinistra per tanti versi conservatrice. “Conservatrice – prosegue Cacciari – in campo istituzionale, centralistica, ministeriale, burocratico-romana, in materia di mercato del lavoro e di politiche sociali, nella difesa di un modello di welfare ormai insostenibile anche economicamente (…). Un tramonto che inizia negli anni Settanta, ignorando le ragioni profonde della crisi fiscale dello Stato, smarrendo il rapporto con le trasformazioni epocali del mercato del lavoro e della composizione sociale”. Insomma “una grande crisi culturale che globalizzazione e finanziarizzazione del capitalismo finiscono spietatamente per mettere a nudo”.
Ma c’è la forza di pensiero, innanzitutto, per levare il coperchio su queste radici – che chiamerebbero in causa responsabilità di natura storica – o è più comodo individuare un capro espiatorio, per quanto vulnerabile?
Il forte timore è che, anche in questo caso, abbia ragione Corrado Guzzanti con il suo celebre motto: “la seconda che hai detto”.
Infine c’è il volto telegenico pentastellato di Virginia Raggi, la giovane avvocatessa che si è fatta le ossa nello studio legale di Cesare Previti, la cui regola di vita non pare sia mai stata “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Una designazione fuoriuscita dalle primarie, in questo caso formato on line.
Risulta francamente faticoso plaudire a tale digitalizzazione del consenso contabilizzato in poche decine di persone.
Qui più che di primarie sarebbe più appropriato parlare di ‘parentarie’, a costo di far venire il mal di testa alla solita accademia della Crusca.
Hanno provocato un sussulto di battito cardiaco le parole della senatrice grillina Paola Taverna sulla contesa elettorale romana, secondo la quale le forze politiche tradizionali starebbero tramando per perdere apposta, lasciando al M5S il compito ingrato, e al limite della mission impossible, di governare Roma, scommettendo evidentemente sul fallimento.
Quando si dice che la classe non è acqua.
Non rimane che fare tanti auguri ai romani e all’Italia intera, perché se queste sono le premesse ne hanno – ne abbiamo – davvero tanto bisogno.

Uno “Spiraglio” sul mondo della salute mentale

Che il cinema e la salute mentale (intesa come il complesso di pensiero e azioni che si muovono per tutelarla) abbiano ormai un legame stretto è cosa nota. Non era invece presente, tra tanti film festival tematici, uno spazio dedicato al Cinema della salute mentale. Quest’anno alla sesta edizione, Spiraglio Film festival [vedi] si propone proprio in questo senso, come un evento scientifico e di cultura, che propone corti e lungometraggi densi di contenuti, idee, suggestioni che possono interessare il grande pubblico, così come gli esperti del settore. Dal 31 marzo al 2 aprile, viaggi alla scoperta di mondi sconosciuti, indagini su dichiarate patologie, riflessioni sul disagio psichico, con protagonisti di ogni età e condizione. Tra i film in cartellone “Abbraccialo per me”, diretto da Vittorio Sindoni e interpretato d Stefania Rocca, Moisè Curia e Giulia Bertini. Non mancano eventi speciali come: “Eroi, ribelli e marziani” Carlo Verdone e Ernesto Assante raccontano David Bowie, in programma per venerdì 1 aprile e l’incontro con Sergio Rubini, sabato 2 aprile, prima della cerimonia di premiazione.

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Programma della sesta edizione dello Spiraglio filmfestival

Sete di saggezza

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Bisogna saper distinguere l’apparenza dalla sostanza: quando si muore di sete, è inutile cercare un calice d’oro. (Orazio)

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Che pozza di scienza

La notizia di oggi è una scoperta fantastica che arriva dritta dritta dal magico mondo della scienza.
Una scoperta che cambierà per sempre la nostra vita su questo pianeta: bere acqua fa dimagrire.
Non ci posso credere.
E’ proprio vero che le cose semplici sono spesso le migliori.
Però adesso collego tutto.

Brano: “ The Soft Parade (Live on PBS Television, New York, NY, Apr. 28, 1969) “ dei The Doors
Brano: “ The Soft Parade (Live on PBS Television, New York, NY, Apr. 28, 1969) “ dei The Doors

Nel 2003, a causa di una sospetta appendicite, mi ero fatto più di due mesi ad acqua minerale e fette biscottate.
Me ne stavo lì, bevevo ‘sti quasi 3 litri di acqua, ascoltavo i Doors tutto il giorno e stavo meglio.
Piano piano mi stavo anche rendendo conto che da ragazzino paffutello mi stavo trasformando in uno stecchetto.
Proprio come il giovane Jim Morrison, stranissimo.
Forse per quello all’epoca pensai che fosse una cosa legata all’ascolto ossessivo dei Doors.
Non pensavo c’entrasse l’acqua.
E invece no, era l’acqua Cristo santo!
Fantastico.
Sentivo anche i miei muscoletti più carichi e stando a quanto riporta ADNKronos tutto questo era nella norma perchè “l’acqua idrata i muscoli”.
Purtroppo non ci dicono se è meglio bere acqua fredda o calda.
Ma non è certamente colpa loro, forse non si sa ancora.
In fondo l’acqua calda è stata scoperta solo di recente.
Quindi accontentiamoci, diamo un po’ di tempo alla scienza, e saremo presto ricompensati con altre mirabolanti scoperte.
Scoperte destinate a rendere migliori le nostre vite.
Proprio come i Doors.

Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

 

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano attorno ad esso.

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