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Giorno: 14 Giugno 2020

Coronavirus, l’aggiornamento: 17 nuovi positivi, di cui 14 asintomatici individuati attraverso screening regionali

Da: Regione Emilia Romagna

Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 28.073 casi di positività, 17 in più rispetto a ieri, di cui 14 persone asintomatiche individuate attraverso l’attività di screening regionale.

tamponi effettuati sono 6.137 che raggiungono così complessivamente quota 407.039, più altri 1.213 test sierologici, fatti sempre da ieri.

Le nuove guarigioni sono 102, per un totale di 22.232. Continuano a calare i casi attivi, e cioè il numero di malati effettivi, che a oggi sono 1.637 (90 rispetto a ieri).

Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.

Le persone in isolamento a casa, cioè quelle con sintomi lievi, che non richiedono cure ospedaliere, o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 1.431:  -89 rispetto a ieri. I pazienti in terapia intensiva sono 14 (- 1), quelli ricoverati negli altri reparti Covid sono 192.

Le persone complessivamente guarite salgono quindi a 22.232 (+102): 388 “clinicamente guarite”, divenute cioè asintomatiche dopo aver presentato manifestazioni cliniche associate all’infezione, e 21.844 quelle dichiarate guarite a tutti gli effetti perché risultate negative in due test consecutivi.

Purtroppo, si registrano 5 nuovi decessi: tre uomini e due donne. Complessivamente, in Emilia-Romagna i decessi sono arrivati a 4.204. Per quanto riguarda la provincia di residenza, 2 decessi si sono avuti in provincia di Parma e 1 in quella di Reggio Emilia, 1 decesso in provincia di Ravenna e 1 in quella di RiminiNessun decesso nelle province di Bologna, Modena, Ferrara, Forlì-Cesena, Piacenza e da fuori regione.

Questi i nuovi casi di positività sul territorio, che si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: 4.523 a Piacenza (nessun nuovo caso), 3.606 a Parma (+7), 4.970 a Reggio Emilia (+ 2), 3.932 a Modena (nessun nuovo caso), 4.700 a Bologna (+5); 402 a Imola (+ 2); 1.007 a Ferrara (nessun nuovo caso). I casi di positività in Romagna sono 4.933 (+1), di cui 1.035 a Ravenna (+1), 948 a Forlì (nessuno nuovo caso), 782 a Cesena (nessun nuovo caso) e 2.168 a Rimini (nessun nuovo caso).

L’INSANA SMANIA DEL POLITICAMENTE CORRETTO
Dopo il “moretto” censureremo anche Senghor?

Di Mauro Marchetti

Una nota catena svizzera di supermercati ha deciso di eliminare un cioccolatino (il “moretto”) perchè quella denominazione aveva, secondo alcuni consumatori, connotazioni razzistiche.

Altre catene non vendono più il presepe (che potrebbe offendere i non cattolici) o propongono viaggi illustrati da foto che ritraggono campanili privati della croce.

Mi sembra di vivere in un mondo nel quale,ormai, il buon senso viene stravolto e la logica viene mandata “a ramengo”.

Ho scoperto che in Italia c’è un comitato che lotta per far togliere il termine “razza” dalla Costituzione (come se i padri costituenti fossero stati degli incalliti razzisti) mentre a Milano c’è chi vuole abbattere la statua di Montanelli (noto razzista, che guarda caso fu condannato a morte dai nazisti e da essi rinchiuso nel carcere di San Vittore).

E Guillermo Mariotto ha rivelato a “Porta a porta” che negli USA, a partire dalla California, è in atto una campagna per avere toilettes “gender free”, al fine di abolire nei bagni pubblici l’odiosa e discriminante differenziazione fra maschi e femmine. Invece di combattere il Coronavirus, negli USA c’è chi pensa che la vera battaglia parta dai gabinetti…

Tornando al “moretto”, mi chiedo se fra poco qualcuno chiederà di abbattere la celebre fontana di Livorno che ci mostra quattro mori incatenati o di cambiare lo stemma della Regione Sardegna che ritrae quattro mori bendati.

Ci sarà poi da compiere un’opera di revisione contro i titoli e i testi non “linguisticamente corretti”. Come possiamo infatti tollerare che circoli un romanzo intitolato “Ragazzo negro” o che si trasmetta una canzone che ha per titolo “Angeli negri”?  E poco importa se è rimasta nella nostra memoria la voce del “colored” (Marino Barreto juonior) che la interpretava.Per non parlare di quel noto razzista nazistoide di Vasco Rossi, che usa il termine “negro” nella canzone “Colpa di Alfredo”.

E anche Léopold Sédar Senghor, che esaltava la “négritude” dovrebbe essere censurato.

Non vorrei poi essere nei panni di Mons. Negri o dell’On. Alesssandra Moretti, i cui cognomi sono assai poco “politicamente corretti”.

Mi chiedo anche : chi oserà, d’ora in poi, chiedere al bar un “Negroni”?

Alla fine, paradossalmente, i talebani del “linguisticamente corretto” (quelli che guardano di traverso una donna che si fa chiamare “sindaco” e non “sindaca”, come se fosse una traditrice della causa) dovrebbero rivalutare testi come “Faccetta nera”. In fondo nella canzonetta si usava rispettosamente il termine “nera” (in luogo di “negra”) e si indicava come scopo della guerra d’Abissinia la liberazione dalla schiavitù della ragazzina etiopica, che veniva per giunta parificata ai gloriosi combattenti di Mussolini (…sarai camicia nera pure tu…).

Meglio “Faccetta nera” di Vasco Rossi?

DIARIO IN PUBBLICO
Fisiognomica e Via col vento

Il mio omonimo criceto è arrabbiatissimo, anche se m’invita al ragionamento e alla calma. Tutto nasce quando dai profondi recessi della stupidità umana esplode il caso del film Via col vento, sospettato dalla distribuzione Hbo di propagare e diffondere elementi razzisti. L’allarme è lanciato dai giornali e ripreso da Fiorenzo Baratelli nella sua pagina fb. Così reagisce : “Hbo toglie dal catalogo Via col vento perché ha contenuti ‘razzisti’. Stiamo rimbecillendo?”. Immediatamente chi scrive queste note pubblica la sua reazione sull’assurdità delle vicenda riprendendo l’informazione sotto il titolo “Questa è l’idiozia che rafforza il razzismo!” M’informo cos’è Hbo e leggo che è una piattaforma in streaming distributrice di film.

Ma la decisione della piattaforma viene ulteriormente aggravata da una dichiarazione rilasciata alla famosa rivista americana Variety che così suona: “Un portavoce di Hbo Max ha dichiarato al sito Variety che Via col vento è un prodotto del suo tempo e raffigura alcuni dei pregiudizi etnici e razziali che, purtroppo, sono stati all’ordine del giorno nella società americana. Queste rappresentazioni razziste erano sbagliate allora e lo sono oggi e abbiamo ritenuto che mantenere questo titolo senza una spiegazione e una denuncia di quelle rappresentazioni sarebbe irresponsabile.”  Ma allora che facciamo? Rimodelliamo la Divina Commedia perché Dante potrebbe essere considerato islamofobo? E con lui tutte le grandi opere di parola e di arte che abbiano in qualche modo testimoniato le ‘ragioni’ dei vincitori? Questo è non capire la differenza che la storia ci insegna o ci dovrebbe insegnare tra la cronaca che dà impulso a un nuovo tipo di verità e che consideriamo ‘arte’.

Una colossale cantonata che ben si confà al clima che il presidente Trump ha alimentato negli USA dopo l’assassinio di George Floyd e che si accoppia con le frange estreme della violenza antirazzista che come spesso – se non sempre – si accompagna a questi movimenti, quando si dimentica l’elemento guida dell’analisi di certe azioni e provvedimenti, che dovrebbe essere la storia. Tutto ciò porta dunque alla furia iconoclasta, che al massimo potrebbe rivolgersi ai personaggi del Museo delle cere, o ancor meglio a ciò che è non valido esteticamente. Inutile perciò l’abbattimento delle statue e la rimozione di opere, monumenti e la deturpazione di luoghi che potrebbero ricordare il passato razzista e che testimoniano, come si sarebbe portati a credere, non la verità, ma l’elaborazione artistica della verità: un’altra dimensione. Che dire poi della lettera del cardinale Viganò (che da sempre si adopera per le dimissioni di papa Bergoglio) a Trump e al suo sostegno all’azione di repressione dei moti libertari del popolo afroamericano? Da sempre l’universo cattolico americano è diviso sul nome di papa Francesco.

E assieme all’analisi storica la fondamentale capacità in tanti momenti cruciali della fisiognomica. E per farmi capire il concetto il mio criceto mi canta sulle note della celebre canzone di Morandi, La fisarmonica, il pericolo e la verità contenuta nella fisiognomica.

Ritorno ai miei ricordi semi-infantili. Via col vento l’ho visto nel 1951. Mi pare al Cinema Astra  di Ferrara appena costruito. Il film è stato prodotto nel 1939 dall’omonimo libro di Margaret Mitchell uscito nel 1936 ed è l’unico romanzo della scrittrice statunitense, alla cui celebrità ha contribuito l’omonimo colossal cinematografico di Victor Fleming del 1939.                                   
Ora l’editore Neri Pozza già da due anni ha pubblicato una nuova traduzione che superava quella degli anni Trenta; quella tutta infarcita dagli stilemi con cui si pensava allora parlassero e si comportassero i neri. Una nuova versione che appare attenta alla nuova visione storica, con cui s’interpreta il razzismo oggi di estrema attualità dopo l’assassinio di George Floyd. Non va mai dimenticato che il romanzo e il film sono ambientati entro la più grande guerra mai combattuta tra gli stati del Sud, che difendevano la proprietà del commercio dei negri e quelli del Nord che operavano per la loro liberazione (si fa per dire). E basti pensare come padri della patria come Lincoln o Jefferson si comportarono con le loro serve- amanti di colore.

Ma ritorniamo al caso della conoscenza della razza nera o semitica. Da bambini, come tutti in quegli anni, dopo la fine della seconda guerra mondiale sapevamo che l’attrazione femminile o gay per quel popolo, così si favoleggiava, dipendesse dalle dimensioni del loro organo sessuale. Nel 1957 entrai alla Casa dello studente di Firenze. Lì incontrai parecchi studenti arabi iscritti a Medicina. Diventammo amici e la cosa che con riluttanza mi rivelarono era che per il loro olfatto noi puzzavamo: da morto. Ecco dunque rovesciata la dimensione chiamiamola fisiognomica. Nella realtà per loro noi puzzavamo. Da qui poi scaturiva il prendere conoscenza delle rispettive caratteristiche, che non offendevano il ‘particulare’, ma che diventavano storia. Negrieri, città costruite sul traffico dei negri, monumenti, statue, palazzi o città poggiavano su quell’immonda pratica che la storia NON può cancellare. Così potrebbe essere giusto prendere le distanze dalla vita di Rimbaud, divenuto trafficante di schiavi dopo la rottura con Verlaine, ma questo non mi deve impedire di leggere Une saison en enfer.

Cesare de Seta nel suo L’isola e la Senna porta il caso di Nantes. Scrive: “Tra Settecento e Ottocento circa la metà del traffico negriero intrapreso da armatori francesi fece campo a Nantes […]Dunque Nantes si guadagnò un primato nella tratta degli schiavi e i borghesi della città si arricchirono[…] Guillame Grou nel corso di una trentina d’anni considerati i più fruttuosi per questo commercio, nel Settecento accumulò enormi ricchezze[..] il patriarca della famiglia prima di morire volle salvarsi l’anima lasciando una fortuna all’Ospedale per gli orfanelli di Nantes. L’hotel Grou è ancora oggi una delle più eleganti dimore nell’isola Feydeau” (pp.108-109). Che facciamo? Abbattiamo tutto? E anche le parti ottocentesche della meravigliosa Cattedrale costruite con le donazioni dei cittadini negrieri?

Il caso più singolare che richiama l’odierno conflitto su Via col vento è la figura della bambinaia Mami nera e grassa interpretata magistralmente nel film da Hattie McDaniel, cantante attrice che le valse l’Oscar nel 1940, il primo concesso ad un afroamericano.                                                   

Hattie McDaniel

Come recita la sua biografia Hattie McDaniel nacque in una famiglia di ex schiavi, ultimogenita di 13 figli. Il padre, Henry McDaniel, combatté nella Guerra Civile come facente parte del 122º USCT (United States Colored Troops), le truppe composte da soldati afroamericani, mentre la madre, Susan Holbert, era una cantante di musica religiosa. Pur relegata al ruolo che le veniva imposto dalla sua figura fisica, Hattie recitò in ben 30 film, morendo nel 1952, ma non si associò mai alle manifestazione di protesta per i diritti degli afro americani.

Nella vicenda legata alla decisione di Hbo fondamentale – e come non lo potrebbe essere? – il commento della grandissima Natalia Aspesi apparso sulla Repubblica dell’10 giugno dal titolo Perdonaci Rossella ti cancelliamo. L’articolo così si concludeva: “La sera degli Oscar, tra i candidati c’era anche Hattie McDaniel, la grassa cameriera nera che adora Rossella, che concorreva per il premio alla non protagonista assieme a Olivia De Havilland, per lo stesso film: vinse Hattie, la prima donna di colore a ottenere un Oscar, che potè ritirare, senza però potersi sedere con gli altri vincitori bianchi. Negli Stati Uniti non succede più anche se c’è di peggio, ma in Italia c’è qualche eroica signora che insulta sul tram le donne di colore, obbligandole a scendere e qualche vecchio scemo che sul treno pretende di vedere se un ragazzo nero ha il biglietto.”

Il dibattito che ha provocato questa decisione supera la contingenza per affermarsi come momento fondamentale dell’elaborazione storica. La mancanza del processo storico, che è spesso una delle forme negative di quella grande nazione a confronto ad esempio con la nostra europea, forse è dovuto all’eccesso di punti convergenti della loro storia. Non a caso tutta l’epopea americana è una ‘conquista’. Il nome stesso lo dice e lo afferma. E ‘conquista’ è anche ora la reazione degli afroamericani, che dai loro conquistadores hanno imparato la tecnica dell’abbattimento di ciò che ricorda il loro passato. Una pratica pericolosa che dà la possibilità a Trump di insistere sulla necessità di una legalità che spesso potrebbe significare repressione.

Ma il criceto sbrigativamente mi ricorda “Stai ad ascoltare umarèl! Non ti va mai bene niente. Prima t’imbarazza essere attaccato perché hai espresso il tuo dissenso sulla mostra di Banksy. E cosa dovrei dire io che sono scambiato per questione fisiognomica con i suoi amati topi? Lassa perdar…Ricordati che nella tua età di diversamente giovane sei stato invitato il 16 ottobre alla Maison d’Italie a Parigi a inaugurare il convegno europeo sui 70 anni della morte di Cesare Pavese. Poi a Torino per la stessa occasione all’Università in novembre!!! Prega solo che la bestia (alias coronavirus) ci lasci in pace. Ecco Cesarito ti riporta alla missione che solum è tua: quella di studioso. E per finire ricordati che non ti mollo da solo a Parigi!”

Donazione Quadro all’Ospedale

Da: Organizzatori

Si torna a parlare della pittrice Monica Iaccheri, dopo la fortunata inaugurazione della sua mostra, “Le Vite”, lo scorso 22 febbraio, che ha visto gremita la sala al piano superiore del Centro Culturale Mercato, poi subito chiusa a causa del lockdown.

Durante la quarantena, la ritrattista, ha sentito di dover ringraziare il personale sanitario che si è sacrificato tanto per tutti noi in questo periodo. La pittrice è stata toccata da vicino dal Covid-19: la dottoressa Leda Guerra, la prima contagiata della provincia di Ferrara, è sua cugina, e contagiate sono state anche alcune sue amiche infermiere. Per questo ha sentito forte questa esigenza e ha deciso di ‘ricambiare’ l’operato di medici e infermieri donando all’Ospedale Mazzolani-Vandini di Argenta un suo dipinto.

È il ritratto di un’infermiera, quale simbolo degli operatori sanitari che si sono immolati in questa situazione di emergenza – spiega la Iaccheri- Vivo in questo paese da 22 anni e in quell’Ospedale ho trovato sempre l’aiuto di persone competenti e gentili e anche delle grandi amicizie”. Prima di essere svelato al pubblico, il quadro di Monica verrà coperto da uno degli striscioni appesi da parte della cittadinanza argentana di fronte al nosocomio, che recita ‘Grazie infermieri e medici eroi’, anche questo sarà conservato all’interno della struttura.

La donazione del dipinto da parte dell’artista verrà formalizzata con una cerimonia che si terrà lunedì 15 giugno lungo uno dei corridoi, dove il quadro verrà appeso, alla quale presenzieranno rappresentanti dell’ASL e dell’Amministrazione Comunale. In quell’occasione, saranno esposti anche documenti e immagini storiche del Mazzolani-Vandini raccolti da Benedetta Bolognesi, Responsabile dell’Archivio Storico del Comune di Argenta.

La Direttrice Sanitaria, Dina Benini, e il Responsabile Infermieristico, Enrico Mazzoli, hanno accolto con commozione e gratitudine il gesto di Monica: “È una luce che arriva in un momento molto buio, che ha messo alla prova tutti noi…”.

LO CUNTO DE LI CUNTI
Sangue romagnolo

Rubrica a cura di Fabio Mangolini e Francesco Monini

“Cosa resterà di quegli anni Ottanta?”. Se parliamo dl ‘900, la risposta è ancora contesa, ma per l’Ottocento si può rispondere a colpo sicuro. ”I favolosi anni Ottanta” (del XIX secolo) furono dati alle stampe due libri di enorme successo e sconvolsero l’Italia appena diventata Italia. Nel 1883 Le avventure di Pinocchio di Carlo (Lorenzini) Collodi, e 3 anni più tardi, nel 1886, Cuore Edmondo De Amicis. Due Capolavori. Due libri ‘per ragazzi’. Due long seller tradotti, ridotti, interpretati in ogni lingua del mondo. Pinocchio e Cuore continuano anche oggi ad essere  discussi, criticati, commentati: amati e disprezzati. Se Pinocchio, prima di diventare libro, era uscito a puntate sul giornale, anche Cuore è un romanzo a episodi, un’antologia di racconti indipendenti. La lettura di Sangue Romagnolo è affidata a Marcello Brondi.
(I Curatori)

Sangue romagnolo, tratto da Cuiorereracconto di Edmondo De Amicis (1886), lettura di Marcello Brondi

SANGUE ROMAGNOLO

Quella sera la casa di Ferruccio era più quieta del solito. Il padre, che teneva una piccola bottega di merciaiolo, era andato a Forlì a far delle compere, e sua moglie l’aveva accompagnato con Luigina, una bimba, per portarla da un medico, che doveva operarle un occhio malato; e non dovevano ritornare che la mattina dopo. Mancava poco alla mezzanotte. La donna che veniva a far dei servizi di giorno se n’era andata sull’imbrunire. In casa non rimaneva che la nonna, paralitica delle gambe, e Ferruccio, un ragazzo di tredici anni. Era una casetta col solo piano terreno, posta sullo stradone, a un tiro di fucile da un villaggio, poco lontano da Forlì, città di Romagna; e non aveva accanto che una casa disabitata, rovinata due mesi innanzi da un incendio, sulla quale si vedeva ancora l’insegna d’un’osteria. Dietro la casetta c’era un piccolo orto circondato da una siepe, sul quale dava una porticina rustica; la porta della bottega, che serviva anche da porta di casa, s’apriva sullo stradone. Tutt’intorno si stendeva la campagna solitaria, vasti campi lavorati, piantati di gelsi.
Mancava poco alla mezzanotte, pioveva, tirava vento. Ferruccio e la nonna, ancora levati, stavano nella stanza da mangiare, tra la quale e l’orto c’era uno stanzino ingombro di mobili vecchi. Ferruccio non era rientrato in casa che alle undici, dopo una scappata di molte ore, e la nonna l’aveva aspettato a occhi aperti, piena d’ansietà, inchiodata sopra un largo seggiolone a bracciuoli, sul quale soleva passar tutta la giornata, e spesso anche l’intera notte, poiché un’oppressione di respiro non la lasciava star coricata. Pioveva e il vento sbatteva la pioggia contro le vetrate: la notte era oscurissima. Ferruccio era rientrato stanco, infangato, con la giacchetta lacera, e col livido d’una sassata sulla fronte; aveva fatto la sassaiola coi compagni, eran venuti alle mani, secondo il solito; e per giunta aveva giocato e perduto tutti i suoi soldi, e lasciato il berretto in un fosso. Benché la cucina non fosse rischiarata che da una piccola lucerna a olio, posta sull’angolo d’un tavolo, accanto al seggiolone, pure la povera nonna aveva visto subito in che stato miserando si trovava il nipote, e in parte aveva indovinato, in parte gli aveva fatto confessare le sue scapestrerie. Essa amava con tutta l’anima quel ragazzo. Quando seppe ogni cosa, si mise a piangere. – Ah! no, – disse poi, dopo un lungo silenzio; – tu non hai cuore per la tua povera nonna. Non hai cuore a profittare in codesto modo dell’assenza di tuo padre e di tua madre per darmi dei dolori. Tutto il giorno m’hai lasciata sola! Non hai avuto un po’ di compassione. Bada, Ferruccio! Tu ti metti per una cattiva strada che ti condurrà a una triste fine. Ne ho visti degli altri cominciar come te e andar a finir male. Si comincia a scappar di casa, a attaccar lite cogli altri ragazzi, a perdere i soldi; poi, a poco a poco, dalle sassate si passa alle coltellate, dal gioco agli altri vizi, e dai vizi… al furto.
Ferruccio stava a ascoltare, ritto a tre passi di distanza, appoggiato a una dispensa, col mento sul petto, con le sopracciglia aggrottate, ancora tutto caldo dell’ira della rissa. Aveva una ciocca di bei capelli castagni a traverso alla fronte e gli occhi azzurri immobili. – Dal gioco al furto, – ripeté la nonna, continuando a piangere. – Pensaci, Ferruccio. Pensa a quel malanno qui del paese, a quel Vito Mozzoni, che ora è in città a fare il vagabondo; che a ventiquattr’anni è stato due volte in prigione, e ha fatto morir di crepacuore quella povera donna di sua madre, che io conoscevo, e suo padre è fuggito in Svizzera per disperazione. Pensa a quel tristo soggetto, che tuo padre si vergogna di rendergli il saluto, sempre in giro con dei scellerati peggio di lui, fino al giorno che cascherà in galera. Ebbene, io l’ho conosciuto ragazzo, ha cominciato come te. Pensa che ridurrai tuo padre e tua madre a far la stessa fine dei suoi.
Ferruccio taceva. Egli non era mica tristo di cuore, tutt’altro; la sua scapestrataggine derivava piuttosto da sovrabbondanza di vita e d’audacia che da mal animo; e suo padre l’aveva avvezzato male appunto per questo, che ritenendolo capace, in fondo, dei sentimenti più belli, ed anche, messo a una prova, d’un’azione forte e generosa gli lasciava la briglia sul collo e aspettava che mettesse giudizio da sé. Buono era, piuttosto che tristo; ma caparbio, e difficile molto, anche quando aveva il cuore stretto dal pentimento, a lasciarsi sfuggire dalla bocca quelle buone parole che ci fanno perdonare: – Sì, ho torto, non lo farò più, te lo prometto, perdonami. – Aveva l’anima piena di tenerezza alle volte; ma l’orgoglio non la lasciava uscire. – Ah Ferruccio! – continuò la nonna, vedendolo così muto. – Non una parola di pentimento mi dici! Tu vedi in che stato mi trovo ridotta, che mi potrebbero sotterrare. Non dovresti aver cuore di farmi soffrire, di far piangere la mamma della tua mamma, così vecchia, vicina al suo ultimo giorno; la tua povera nonna, che t’ha sempre voluto tanto bene; che ti cullava per notti e notti intere quand’eri bimbo di pochi mesi, e che non mangiava per baloccarti, tu non lo sai! Io dicevo sempre: – Questo sarà la mia consolazione! – E ora tu mi fai morire! Io darei volentieri questo po’ di vita che mi resta, per vederti tornar buono, obbediente come a quei giorni… quando ti conducevo al Santuario, ti ricordi, Ferruccio? che mi empivi le tasche di sassolini e d’erbe, e io ti riportavo a casa in braccio, addormentato? Allora volevi bene alla tua povera nonna. E ora che sono paralitica e che avrei bisogno della tua affezione come dell’aria per respirare, perché non ho più altro al mondo, povera donna mezza morta che sono, Dio mio!…
Ferruccio stava per lanciarsi verso la nonna, vinto dalla commozione, quando gli parve di sentire un rumor leggiero, uno scricchiolìo nello stanzino accanto, quello che dava sull’orto. Ma non capì se fossero le imposte scosse dal vento, o altro. Tese l’orecchio. La pioggia scrosciava. Il rumore si ripeté. La nonna lo sentì pure. – Cos’è? – domandò la nonna dopo un momento, turbata. – La pioggia, – mormorò il ragazzo. – Dunque, Ferruccio, – disse la vecchia, asciugandosi gli occhi, – me lo prometti che sarai buono, che non farai mai più piangere la tua povera nonna… Un nuovo rumor leggiero la interruppe. – Ma non mi pare la pioggia! – esclamò, impallidendo – … va’ a vedere! Ma soggiunse subito: – No, resta qui! – e afferrò Ferruccio per la mano. Rimasero tutti e due col respiro sospeso. Non sentivan che il rumore dell’acqua. Poi tutti e due ebbero un brivido. All’uno e all’altra era parso di sentire uno stropiccìo di piedi nello stanzino. – Chi c’è? – domandò il ragazzo, raccogliendo il fiato a fatica. Nessuno rispose. – Chi c’è? – ridomandò Ferruccio, agghiacciato dalla paura. Ma aveva appena pronunciato quelle parole, che tutt’e due gettarono un grido di terrore. Due uomini erano balzati nella stanza; l’uno afferrò il ragazzo e gli cacciò una mano sulla bocca; l’altro strinse la vecchia alla gola; il primo disse: – Zitto, se non vuoi morire! – il secondo: – Taci! – e levò un coltello. L’uno e l’altro avevano una pezzuola scura sul viso, con due buchi davanti agli occhi. Per un momento non si sentì altro che il respiro affannoso di tutti e quattro e lo scrosciar della pioggia; la vecchia metteva dei rantoli fitti, e aveva gli occhi fuor del capo. Quello che teneva il ragazzo, gli disse nell’orecchio: – Dove tiene i danari tuo padre? Il ragazzo rispose con un fil di voce, battendo i denti: – Di là… nell’armadio. – Vieni con me, – disse l’uomo. E lo trascinò nello stanzino, tenendolo stretto alla gola. Là c’era una lanterna cieca, sul pavimento. – Dov’è l’armadio? – domandò. Il ragazzo, soffocato, accennò l’armadio. Allora, per esser sicuro del ragazzo, l’uomo lo gittò in ginocchio, davanti all’armadio, e serrandogli forte il collo fra le proprie gambe, in modo da poterlo strozzare se urlava, e tenendo il coltello fra i denti e la lanterna da una mano, cavò di tasca con l’altra un ferro acuminato, lo ficcò nella serratura, frugò, ruppe, spalancò i battenti, rimescolò in furia ogni cosa, s’empì le tasche, richiuse, tornò ad aprire, rifrugò: poi riafferrò il ragazzo alla strozza, e lo risospinse di là, dove l’altro teneva ancora agguantata la vecchia, convulsa, col capo arrovesciato e la bocca aperta. Costui domandò a bassa voce: – Trovato? Il compagno rispose: – Trovato. E soggiunse: – Guarda all’uscio.
Quello che teneva la vecchia corse alla porta dell’orto a vedere se c’era nessuno, e disse dallo stanzino, con una voce che parve un fischio: – Vieni. Quello che era rimasto, e che teneva ancora Ferruccio mostrò il coltello al ragazzo e alla vecchia che riapriva gli occhi, e disse: – Non una voce, o torno indietro e vi sgozzo! E li fisso un momento tutti e due. In quel punto si sentì lontano, per lo stradone, un canto di molte voci. Il ladro voltò rapidamente il capo verso l’uscio, e in quel moto violento gli cadde la pezzuola dal viso. La vecchia gettò un urlo: – Mozzoni! – Maledetta! – ruggì il ladro, riconosciuto. – Devi morire! E si avventò a coltello alzato contro la vecchia, che svenne sull’atto. L’assassino menò il colpo. Ma con un movimento rapidissimo, gettando un grido disperato, Ferruccio s’era lanciato sulla nonna, e l’aveva coperta col proprio corpo. L’assassino fuggì urtando il tavolo e rovesciando il lume, che si spense. Il ragazzo scivolò lentamente di sopra alla nonna, e cadde in ginocchio, e rimase in quell’atteggiamento, con le braccia intorno alla vita di lei e il capo sul suo seno. Qualche momento passò; era buio fitto; il canto dei contadini s’andava allontanando per la campagna. La vecchia rinvenne. – Ferruccio! – chiamò con voce appena intelligibile, battendo i denti. – Nonna, – rispose il ragazzo. La vecchia fece uno sforzo per parlare; ma il terrore le paralizzava la lingua. Stette un pezzo in silenzio, tremando violentemente. Poi riuscì a domandare: – Non ci son più? – No. – Non m’hanno uccisa, – mormorò la vecchia con voce soffocata. – No… siete salva, – disse Ferruccio, con voce fioca. – Siete salva, cara nonna. Hanno portato via dei denari. Ma il babbo… aveva preso quasi tutto con sé.
La nonna mise un respiro. – Nonna, – disse Ferruccio, sempre in ginocchio, stringendola alla vita, – cara nonna… mi volete bene, non è vero? – Oh Ferruccio! povero figliuol mio! – rispose quella, mettendogli le mani sul capo, – che spavento devi aver avuto! Oh Signore Iddio misericordioso! Accendi un po’ di lume… No, restiamo al buio, ho ancora paura. – Nonna, – riprese il ragazzo, – io v’ho sempre dato dei dispiaceri… – No, Ferruccio, non dir queste cose; io non ci penso più, ho scordato tutto, ti voglio tanto bene! – V’ho sempre dato dei dispiaceri, – continuò Ferruccio, a stento, con la voce tremola; – ma… vi ho sempre voluto bene. Mi perdonate?… Perdonatemi, nonna – Sì, figliuolo, ti perdono, ti perdono con tutto il cuore. Pensa un po’ se non ti perdono. Levati d’in ginocchio, bambino mio. Non ti sgriderò mai più. Sei buono, sei tanto buono! Accendiamo il lume. Facciamoci un po’ di coraggio. Alzati, Ferruccio. – Grazie, nonna, – disse il ragazzo, con la voce sempre più debole. – Ora… sono contento. Vi ricorderete di me, nonna… non è vero? vi ricorderete sempre di me… del vostro Ferruccio. – Ferruccio mio! – esclamò la nonna, stupita e inquieta, mettendogli le mani sulle spalle e chinando il capo, come per guardarlo nel viso. – Ricordatevi di me, – mormorò ancora il ragazzo con una voce che pareva un soffio. – Date un bacio a mia madre… a mio padre… a Luigina… Addio, nonna… – In nome del cielo, cos’hai! – gridò la vecchia palpando affannosamente il capo del ragazzo che le si era abbandonato sulle ginocchia; e poi con quanta voce avea in gola disperatamente: – Ferruccio! Ferruccio! Ferruccio! Bambino mio! Amor mio! Angeli del paradiso, aiutatemi! Ma Ferruccio non rispose più. Il piccolo eroe, il salvatore della madre di sua madre, colpito d’una coltellata nel dorso, aveva reso la bella e ardita anima a Dio.

Edmondo De Amicis, Sangue Romagnolo, fa parte di Cuore, Milano, Treves,1886
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Cover: elaborazione grafica di Carlo Tassi

PER CERTI VERSI
Attesa a Metz

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
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ATTESA A METZ

Sono in attesa
Sono aria sospesa
Sono in attesa
Di te
Che vieni con un cesto di fiori
Nella città fiorita
A Metz
Mi annodi il foulard
del suo fiume
Sono trasparente
Per te
Toglimi l’anima
Prendiamo
La via dei profumi
E sdraiamoci all’ombra
Delle fiamme
Sono gialle
Di girasoli
E poesia