Skip to main content

Giorno: 21 Giugno 2020

TERZO TEMPO
Da Zoleddu a Zoleddu, breve parabola di Gianfranco Zola

Martedì 23 giugno allo stadio Paolo Mazza si riaccendono le luci, non si riaprono i cancelli. La SPAL ospita il Cagliari, nella cui storia occupa un posto speciale Gianfranco Zola: concentrato di classe e umiltà, fantasia e correttezza, verso la fine della sua splendida carriera decise di ripartire dalla serie B. Quasi tutti lo ricordano come Magic box, pochi sanno che in principio e alla fine era sempre Zoleddu.

Nell’agosto del 1986 l’Italia del calcio non era più campione del mondo in carica. Dopo quattro anni, Diego Armando Maradona si era preso la rivincita, il mondiale e tutta la scena.
Dal Messico rientrava a Roma una nazionale da rifondare, eliminata agli ottavi dalla Francia di Platini, con il Pablito marziano di España ‘82 che era tornato sulla terra, un signor Rossi qualunque, il sogno non si era ripetuto. La comitiva avrebbe potuto meritarsi pomodori, di sicuro più di quelli presi dalla precedente spedizione azteca, non fosse stato per l’indulgenza verso i reduci del trionfo spagnolo.

1987, Gianfranco Zola, al centro, prima di Torres-Montevarchi.

A Sassari, come nel resto del mondo in quegli anni, cortili condominiali e campi sterrati sono pieni di ragazzi che giocano a pallone ad oltranza, ben oltre il tramonto, e nel mese consacrato a vacanze, preparazione e amichevoli precampionato, inizia a girare una voce. Finito il ritiro, la Torres è rientrata in città, si allena allo stadio dell’Acquedotto e quella voce dice che c’è un ragazzo che promette bene. Ha 20 anni ed è di Oliena, un paesino del centro Sardegna famoso per il Nepente, Cannonau robusto impreziosito dalla lode di D’Annunzio sull’etichetta, forse perché, al giusto dosaggio, genera poesia.
Quel giovane arriva dalla serie D, giocata con la Nuorese, e in campo pare sia uno spettacolo. Il calcio d’agosto fa tante promesse che spesso non mantiene, nessuno quindi immagina che quel timido e caparbio funambolo elargirà emozioni mai più superate. Ogni domenica arrivano da tutto il nord Sardegna per ammirare quella squadra e aspettare le magie di Zoleddu, così lo hanno ribattezzato. Quando alla penultima di campionato arriva il Montevarchi, la Torres è prima e si sta giocando la promozione, uno e due punti sulle rivali, così bisogna montare una tribuna in tubi innocenti dietro la curva sud per accontentare appena un migliaio delle innumerevoli richieste che arrivano. Finisce 1-0, decide Zola.

Non ricordate ai torresini quelle tre stagioni, potreste vederli piangere come gli uomini non fanno, direbbe De Gregori. Promozione in C1 subito, annata di assestamento nella nuova categoria, quarto posto e serie B sfiorata nell’ultima, con Zoleddu terzo in classifica cannonieri, dietro un giovane brizzolato del Perugia, Fabrizio Ravanelli. Un dirigente scaltro e lungimirante, protagonista dei vent’anni a venire, si accorge di lui, lo segue interessato e, come spesso farà, batte la concorrenza. Luciano Moggi nell’estate 1989 porta Zola a Napoli, il regno di Diego.

Al campione va a genio l’apprendista e prende sotto la sua ala il ragazzo che tre anni prima, mentre lui quasi da solo vinceva un Mondiale, stava passando dai campi in terra battuta del nuorese al livello minimo del professionismo. Quel sardo umile e affamato forse gli ricorda la sua timidezza di qualche anno prima, e chissà se la fama cambierà anche Gianfranco. Dei primi giorni insieme, iconica e unica è l’immagine di Zola sull’erbetta, sdraiato su un fianco, che studia ammirato Maradona mentre calcia in allenamento.

Da quell’incrocio di destini si diramano storie opposte, per l’argentino a breve scorreranno i titoli di coda, mentre partirà la sigla iniziale di un sogno per il sardo, che cambierà soprannomi ma non ruolo, idolo sempre: MaraZola a Napoli, Magic Box a Londra, di nuovo Zoleddu a Cagliari, dove chiude il cerchio di una trama quasi perfetta, in cui i successi con i club si intrecciano con l’esperienza amara e beffarda in nazionale. Eppure, dopo il rigore fallito agli europei del ’96, Gianni Mura, che messo a scegliere fra Baggio e Del Piero diceva Zola, scrisse di lui “resta uno su cui contare, uno che vale”.

Il film dei suoi successi è noto a molti, pochi sanno, invece, di quella voce che girava nell’agosto dell’86 nei cortili sassaresi, di Zoleddu in mocassini e camicia rosa che dopo le partite tornava a casa con i genitori venuti da Oliena, molto prima di andare a bottega da Maradona.
E no, la fama non l’ha cambiato, se è vero, com’è vero, che durante i sette anni al Chelsea, il giorno dopo la Premier League potevi trovarlo sovente nella sua casa al centro della Sardegna, come ai tempi della C2.
Gianni Mura non sbagliava.

Cover: Gianfranco Zola, 2018 (wikipedia commons)

La Lega Emilia-Romagna incontro il prof. De Donno: mercoledì la diretta su Facebook e Youtube

Da: Ufficio Stampa Lega Emilia-Romagna

Mercoledì prossimo, 24 giugno alle 19 in diretta FACEBOOK (https://www.facebook.com/GruppoLegaER/) e YOUTUBE https://www.youtube.com/channel/UCEuvxAQc7Mk_o3F_-cearhA il gruppo Lega Emilia-Romagna incontra il professor Giuseppe De Donno, primario presso il reparto di Pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, “padre” della terapia al plasma-iper-immune.

“Avevamo chiesto alla Commissione Sanità un’audizione pubblica del professor De Donno ma la Regione ci ha detto no. Per questo motivo ci mettiamo a disposizione dei cittadini garantendo un incontro pubblico visibile a tutti sulle pagine Facebook e Youtube del Gruppo regionale Lega Emilia- Romagna con De Donno. Vogliamo infatti approfondire le reali prospettive della terapia a base di plasma iperimmune per la cura al Covid-19, terapia che nella nostra regione è ancora ferma – spiega il capogruppo in Regione del Carroccio, Matteo Rancan -. Nonostante questo ritardo sono però molti gli emiliani-romagnoli, guariti dal Covid, che si stanno recando in Lombardia, ed in particolare a Mantova, per donare il proprio plasma. Se la Regione non vuole che si affronti un dibattito pubblico su questo argomento, allora ci pensiamo noi” promette il capogruppo leghista.

“Del resto è imperdonabile il ritardo col quale la Regione Emilia-Romagna sta indugiando rispetto all’introduzione di una terapia richiesta in tutto il mondo e grazie alla quale, secondo De Donno “si sarebbero potute salvare la metà delle 34mila vite che il Covid si è portato via in questi 4 mesi” conclude Rancan.

Coronavirus, l’aggiornamento: 24 nuovi positivi, di cui 14 asintomatici individuati attraverso gli screening regionali

Da: Regione Emilia Romagna

Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 28.221 casi di positività, 24 in più rispetto a ieri, di cui 14 persone asintomatiche individuate attraverso l’attività di screening regionale.

I tamponi effettuati sono 4.238, che raggiungono così complessivamente quota 453.854, più altri 1.107 test sierologici, fatti sempre da ieri.

Le nuove guarigioni sono 57, per un totale di 22.818. Continuano a calare i casi attivi, e cioè il numero di malati effettivi, che a oggi sono 1.172 (-35 rispetto a ieri).

Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.

Le persone in isolamento a casa, cioè quelle con sintomi lievi, che non richiedono cure ospedaliere, o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 1.029, -27 rispetto a ieri: l’87,8% di quelle malate. I pazienti in terapia intensiva sono 12 (1 in più rispetto a ieri), quelli ricoverati negli altri reparti Covid sono 131 (-9).

Le persone complessivamente guarite salgono quindi a 22.818 (+57): 269 “clinicamente guarite”, divenute cioè asintomatiche dopo aver presentato manifestazioni cliniche associate all’infezione, e 22.549 quelle dichiarate guarite a tutti gli effetti perché risultate negative in due test consecutivi.

Purtroppo, si registra 1 nuovo decesso: una donna residente nella provincia di Piacenza. Complessivamente, in Emilia-Romagna i decessi sono arrivati a quota 4.231.

Questi i nuovi casi di positività sul territorio, che si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: 4.536 a Piacenza (+1), 3.628 a Parma (nessun nuovo caso), 4.987 a Reggio Emilia (+3), 3.943 a Modena (+2), 4.763 a Bologna (+14, di cui 6 asintomatici e 8 sintomatici in gran parte legati a focolai individuati in precedenza, tracciati e tutti in isolamento domiciliare), 402 casi positivi a Imola (nessun nuovo caso); 1.012 a Ferrara (+1). I casi di positività in Romagna sono 4.950 (+3), di cui 1.037 a Ravenna (uno in meno rispetto a ieri per un errore materiale), 949 a Forlì (+1), 785 a Cesena (+1) e 2.179 a Rimini (+1).

Riduzione tari per le attività produttive colpite dall’emergenza covid-19

Da: Comune di Bondeno

Tra le misure di rilancio post-emergenza COVID-19, la riduzione della TARI era una delle più attese e la Giunta si prepara a vararla nel prossimo Consiglio Comunale: il “taglio” della Tariffa sui rifiuti per le attività produttive colpite dalle conseguenze del “Lockdown” sta per diventare un provvedimento concreto. “Abbiamo lavorato con gli altri Amministratori, gli Uffici, ascoltando le Associazioni di categoria, per portare la delibera per l’abbattimento della TARI nella seduta consigliare del 30 Giugno”, dice il Sindaco facente funzioni Simone Saletti. “Il lavoro si è svolto in team, con l’Assessore al Bilancio, Emanuele Cestari, e l’Assessore all’Ambiente, Marco Vincenzi” – continua – “per arrivare a deliberare una forte riduzione della tariffa dei rifiuti per le attività produttive chiuse a causa della diffusione del COVID19”. Se, da una parte, “ARERA che costituisce l’Autorità nazionale di regolazione dei servizi pubblici, ha chiesto ai Comuni di ridurre la tariffa rifiuti del 25% sulla parte variabile” – aggiunge Marco Vincenzi – “il Comune di Bondeno ha voluto raddoppiare tale riduzione, ed estenderla anche alla ‘parte fissa’ della Tariffa. Stanziando 118.000 euro si riuscirà ad esentare completamente la tariffa rifiuti per il periodo dei 3 mesi di chiusura totale delle attività”. Per alcune realtà, come i ristoranti, ai quali è stato permesso di riaprire dopo il “Lockdown”, nonostante le rigide restrizioni, il Comune proporrà in ogni caso una riduzione del 25% sulla parte variabile. Al momento ARERA non ha individuato con certezza fondi nazionali per compensare tali riduzioni relative alla TARI, ed il peso economico grava pertanto sui Comuni in termini di copertura finanziaria delle riduzioni previste. Se, però, molti enti locali devono fronteggiare una situazione economica non particolarmente florida, il Comune di Bondeno può comunque attingere alle risorse accantonate in una gestione parsimoniosa: “Bondeno, nel corso degli ultimi anni, ha sempre accantonato risorse derivanti da recuperi TARI” – ricorda Simone Saletti – “proprio per destinarle agli utenti, prevedendo forme di riduzione. Ora, queste risorse verranno ridistribuite, in un momento congiunturale estremamente delicato”. “L’Amministrazione sta lavorando alle misure necessarie al rilancio dell’economia locale, dopo l’emergenza” – dice Saletti – “per questo si è arrivati al rinvio a settembre e senza oneri per le rate Imu, ed anche all’esenzione della Cosap per l’occupazione di suolo pubblico da parte di bar e ristoranti, per fare alcuni esempi. Tutto questo per evitare che, con la possibile riduzione dei coperti, arrivino anche razionalizzazioni della forza lavoro, che è un elemento da scongiurare assolutamente”. Non era però sufficiente e, “per questo – aggiunge l’Assessore Cestari – taglieremo anche la TARI. Chiederemo al Governo di sostenere i Comuni in questa azione, perché non è giusto che gravi unicamente sugli enti locali il carico fiscale necessario a rilanciare impresa e commercio”.

DIARIO IN PUBBLICO
Fra tifosi, artisti, medici e malati più o meno immaginari

Il criceto si preoccupa molto per la mia indignata reazione ai fatti di Napoli, la città che con Venezia e Parigi rappresenta il triangolo perfetto della bellezza, del nucleo forte di ciò che, nata da Roma, chiamiamo Europa e quindi Occidente. Tutti noi sappiamo qual è il carattere dei napoletani della loro insopprimibile vitalità, della esagerata reazione alle passioni, specie di quella più tremenda: il calcio.
Il saggio animaletto m’esorta alla calma, prospettandomi quanta sufficienza pericolosa, se non proprio antipatia, mi procurerò, osando recriminare sul brutale comportamento tenuto dai festanti e pericolosi ‘tifosi’ (parola che in tempo di coronavirus riporta a una delle malattie più pandemiche di ogni tempo, il tifo). Rivedo quelle belve dalla bocca oscenamente spalancata nell’urlo che compiono caroselli, che impazziscono, che si buttano nelle fontane. Per cosa? Perché hanno (loro!) vinto sulla Juventus aggiudicandosi non so quale premio. L’impassibile sindaco di Napoli commenta che si sapeva quale sarebbe stata la reazione dei napoletani e che recriminava solo che si fossero gettati nelle fontane. Ora – sono convinto – lo stesso atteggiamento sarebbe potuto essere comune alle città in cui operano altre famose società di calcio, quali la Juventus, o la Roma e perfino la Spal della piccola Ferrara. Non la città ma la passione per il gioco porta a questi immondi effetti. E ora caro criceto che mi s’attacchi pure. Credo che nel mondo ci possa essere motivo di esultanza più corretta e civile. Ad esempio sperare che Alex Zanardi possa farcela e tornare tra noi. Un grande.

Frattanto esce sulle pagine dei quotidiani nazionali, preceduto da una ricerca apparsa sulle pagine del Journal of Trombosis and Haemostasis un saggio condotto dal grande studioso di chirurgia vascolare, nonché direttore del Centro di malattie vascolari dell’Università di Ferrara, Paolo Zamboni. Il quale, studiando alcuni celebri quadri del Rinascimento e oltre, ne individua la possibile malattia che affliggeva la persona ritratta. Uno splendido esempio di ‘convivenza’ tra due forme del sapere, che sembrerebbero così lontane, ma che ritrovano nel pensiero una originale e straordinaria competenza. Il caso più clamoroso è la risoluzione del mistero di una macchia scura che appare sul seno della protagonista del quadro di Rembrandt Betsabea con la lettera di David. Una analisi che individuerebbe in quella macchia “una vena trombizzata sotto la pelle”. Ma ancora le ricerche condotte su una serie di ritratti che vengono pubblicate sul Corriere della sera del 18 giugno 2020 . Lo scritto di Elena Meli viene titolato Diagnosi su tela. Le malattie ‘dipinte’ dai grandi pittori ”tra le quali, oltre alla Betsabea rembrandtiana, quella che appare sul seno della Fornarina di Raffaello, o su Il Bacchino malato di Caravaggio, il cui colore verdastro e le unghie nere riportano a una diagnosi di un’anemia, che portano lo studioso alla conclusione che il Bacchino soffre del morbo di Addison, anche se a quel tempo nulla si sapeva di questa malattia, descritta solo due secoli dopo. La straordinarietà degli studi di Zamboni, da cui attendiamo a breve un volume sulle sue ricerche, quasi miracolosamente percorrono in parallelo quelle due culture, che furono nel secolo scorso uno dei temi fondamentali della consapevolezza di un rapporto tra le espressioni del mondo affrontate dal fondamentale studio di Charles Snow Le due culture e la rivoluzione scientifica apparso nel 1959. Mi onora l’amicizia di Zamboni, ma ancor più mi rende felicemente stupito come un grande scienziato sappia affrontare quel mondo a cui appartengo, applicando in modo perfetto quel secondo principio della termodinamica e il concetto dell’entropia, che avventurosamente mi è stato spiegato in anni lontani. Da qui la straordinaria capacità di Zamboni di giocare con quella doppia esperienza. E gliene siamo grati.

Arriviamo a questo punto a una mia personale ricerca, che mi prospetta nel tempo l’amicizia e a volte l’affetto che molti medici hanno provato per l’insopportabile malato, talvolta immaginario che qui scrive. E già dal 1962, quando venni a contatto con le mie prime vittime mediche che qui ricordo.
Adalberto C. e Paolo M. aprono la serie. E immagino quante volte, preso dai miei malanni che credevo irrimediabili, ho interrotto una cena o un altro appuntamento. Ma mi hanno sempre perdonato. Poi con gli anni la cerchia si allarga. Primeggia Italo N., insuperato lettore e curioso di ogni cosa, che ben presto si aggregò al cerchio di affetti familiari che lo portavano spesso in campagna a cena con l’amico Adriano P. E ancora Monica I., nipote adottiva straordinariamente dolce e ferma in momenti terribili della mia vita. Poi i più giovani di conoscenza: Sergio G., che mi fece conoscere il fascino delle Eolie che con la sua dolcezza scatena i ricordi, quando si siede a tavola e impone “racconta!”. O la cortesia e la calma di Enrico G., sposo di Sandra la coppia più felice che io abbia mai conosciuto. E infine i recenti Gianni R., con cui condivido il mito di Parigi. E Alberto e Maura C. straordinari nell’alleviarmi le pene delle spalle dolenti e dolcissimi nel consolarmi. Si aggiungeva frattanto il nipote Ippolito G. “belo e bravo” secondo la definizione della nostra mitica colf che rimase dai miei suoceri per tutta una vita.
Che voglio di più? Perfino il dentista Marco N., fratello della mia indimenticabile compagna di banco delle superiori, con cui intrattengo anche rapporti bassaniani o letterari. E anche il mio medico di base Enrico M., che condivide, oltre che la passione per il celebre, letterariamente parlando, campo da tennis della Marfisa di Ferrara, casa e contatti con carissimi amici del giovane Bassani. Mi scuso poi con chi ho fatto disperare, imponendo la mia visione medica, come mia cognata Paola B. e le dermatologhe della sua scuola.

Alcune volte ho avuto pan per focaccia come in un viaggio in Ungheria a trovare l’amico indimenticabile András Szőllősy, allievo prediletto di Béla Bartók e di Dallapiccola. Nel viaggio da Venezia a Vienna con i bambini c’erano gli amici medici Paolo M. e Italo N. Passa il capotreno che cerca un medico per un viaggiatore che si è sentito male. Implacabili vedo con terrore che i due indici dei medici si rivolgono verso di me e pronunciano: “lui”! Ovviamente poi andarono loro. O la majesté con cui entrò Italo N. nella camera dove mi avevano appena operato. La caposala non lo riconosce e gli chiede chi è. Impassibile risponde “Il Professore!”. O il dolce sorriso e la mano che stringe la mia di Sergio G., mentre mi risveglio dalla anestesia della più grave operazione che ho avuto. Mi direte o commenterà il criceto: Ma erano tutti così meravigliosi?
Ovviamente i problematici non li ho ricordati. E ti pareva.
Comunque: Evviva i medici e la medicina!

LO CUNTO DE LI CUNTI
Charlotte

Rubrica a cura di Fabio Mangolini e Francesco Monini

“Charlotte profuma di mare, di treni e di vento. Da venticinque anni è la mia compagna di viaggio: io e lei abbiamo attraversato a piedi il mondo. È morbida e ruvida, Charlotte, un po’ come la mia vita.” Inizia così Charlotte, il racconto a voce alta che questa domenica, primo giorno d’ell’estate (dopo?) Covid, presentiamo ai lettori e alle lettrici di Ferraraitalia.
L’dea di questa rubrica è nata in piena pandemia, nel tempo di clausura: era un piccolo regalo che ci facevamo, una pausa terapeutica, un’alternativa ai ritornelli e caroselli televisivi. E una scelta precisa: scommettere su un genere letterario che in Italia ha sempre avuto poca fortuna: il racconto, il ‘componimento breve’, e sull’alleanza tra voce e scrittura, accompagnando la parola scritta alla sua messa in scena.
Ora l’italia riparte, o almeno ci prova, usciamo di casa con mascherina appresso, ma l’esperimento (la scommessa) di LO CUNTO DE LI CUNTI prosegue il suo viaggio e vi farà compagnia per tutta l’estate. Abbiamo consegnato la piccola valigia di parole Charlotte dell’autrice ferrarese Eleonora Rossi nelle mani e alla voce dell’attrice romana Francesca Alacevich. Buona lettura, buon ascolto, buona visione

(I Curatori)

Lo Cunto de li Cunti – Eleonora Rossi “Charlotte”, letto da Francesca Alacevich

CHARLOTTE

Charlotte profuma di mare, di treni e di vento.
Da venticinque anni è la mia compagna di viaggio: io e lei abbiamo attraversato a piedi il mondo.
È morbida e ruvida, Charlotte, un po’ come la mia vita.
Ha tatuato sulla pelle scura, come trofei, le bandiere dei paesi che abbiamo conosciuto. Non posso separarmi da lei, nemmeno per un’ora.
E infatti è qui con me.

L’ho assicurata sopra la mia testa, nel vano per il bagaglio a mano. Ho accarezzato la sua tracolla di cuoio e ho chiuso la zip con un lucchetto.
Il “click” rassicurante dell’hostess che chiudeva lo sportello ora mi lasciano godere questi attimi rari. Mi sono sganciato dal cellulare e tra non molto mi sgancerò anche da terra e dal mondo.
Adoro il profumo di questa rivista patinata che mi scivola fra le dita.
Esploro il piccolo spazio che mi appartiene sul volo AZ 125: la poltrona mi avvolge come una culla.
Allaccio la cintura, finalmente libero.
Mi ritrovo tra le mani la busta sigillata con la coperta, le calze, il dentifricio, la mascherina: in questo minuscolo quadrato trasparente c’è tutto l’occorrente per il giorno che viene.
Non mi serve altro.
La ginnastica delle hostess per illustrare il piano d’emergenza fa scattare il conto alla rovescia.
L’aereo, come al rallentatore, comincia a muoversi. Sento i motori ruggire. E chiudo gli occhi, così da far vibrare il decollo dentro di me.
Puntiamo al cielo, all’immenso.

Ogni partenza è una rinascita.
Sono già morto troppe volte, quando ero a “casa” – mi ha ucciso prima la mia ex moglie, poi la depressione – e troppe volte ho rischiato di bere la mia vita in un bicchiere di rhum.
Tutto quello che avevo stava scivolando via, come una barca di carta sul fiume. Mi arrabattavo nel mio piccolo mondo, convinto che la vita fosse tutta lì, tra quelle fragili pieghe di carta. Ma la barca si è imbevuta, ho cominciato ad andare a fondo… Mi sono ritrovato nella corrente del fiume. E solo in quel momento mi sono accorto che la vita era l’acqua di quel fiume.
Perché la vita è nell’andare.

I miei occhi, oltre l’oblò, nuotano tra spesse nuvole. Avanziamo silenziosi in un mare solido: l’aereo è una nave che taglia l’oceano.
“Caffè o tè?”
“Un caffè, grazie, con molto zucchero”.
Aggiungo ancora una bustina, per prolungare, con lo zucchero, una sensazione cara.
Il naufragar m’è dolce in questo mare.

Ogni volta che parto, la mente ritorna al mio primo viaggio. Non so da quanti giorni non mi facevo la barba, né da quanto portavo la mia camicia viola. La camicia viola, sempre la stessa, sudicia e viola come un sorcio.
Ero dimagrito dieci chili, nelle mie vene scorreva più alcol che sangue. Correvo verso la morte, non avevo paura di lei.
Mi fermò, preoccupato, un medico. Un medico e un amico. Mi disse che dovevo andare via, cambiare aria.
Un viaggio, perché no? Tanto non avevo più nulla da perdere.
La vita mi ha messo tra le mani un biglietto aereo e ancora un giro di giostra.
È da quel primo viaggio che ho ricominciato a vivere. Nell’alba di un paese sconosciuto, nei passi lungo la strada, negli occhi delle persone che incontravo, dimenticavo me stesso.
Una nuova lingua, un’altra religione. Ogni notte una camera diversa. Davanti a me c’era il mondo, con i suoi infiniti sentieri.
Accendevo le giornate come fiammiferi. Ne raccoglievo le capocchie nel mio taccuino.

Solo nelle stazioni, dove la gente si abbraccia, avvertivo la solitudine, come una fitta.
Fu in uno di quei momenti che la vidi, dietro una vetrina: la pelle scura, Charlotte era là ad aspettarmi.
Entrai  nel negozio e ne uscii guarito Abbracciato a Charlotte, la mia fedele borsa di viaggio.

Mi raggiunge un profumo caldo di cibo fumante.
Abbasso il tavolinetto pregustando la sorpresa della cena: torno di nuovo bambino mentre cerco di indovinare quale pietanza nascondono le scatole minute ordinate sul vassoio.
“Succo d’arancia, per favore”.
Il vino no, grazie, ho smesso di bere.
Voglio godermi ogni istante. Voglio godermi le nuvole. Le vedo trascolorare, accese dal sole che arde lontano. È un’eruzione di cielo.

Abbasso sugli occhi la mascherina.
“Buona notte”.
“Buona notte, signore, sogni d’oro”.
Un sogno, un sogno ce l’avrei: viaggiare per sempre.
Quando morirò, vorrei essere cremato.
Le mie ceneri, siate gentili, riponetele in Charlotte.

Il racconto inedito di Eleonora Rossi Charlotte è già apparso su Ferraraitalia nel dicembre  del 2015.

Lo Cunto de li Cunti, i racconti da leggere, guardare e ascoltare, torna su Ferraraitalia ogni domenica mattina. Per guardare e ascoltare tutte le videoletture del Cunto de li Cunti clicca [Qui] 

Cover: elaborazione grafica di Carlo Tassi

PER CERTI VERSI
A Stock

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca
[Qui]

A STOCK

Mi dà la zampa
E mi guarda
Con quegli occhi opachi di malattia
Ma come umani
Mi interroga
Ci mancano le parole
Non ci restano che i gesti
E una veglia
Sento il suo respiro chiede
Resti?