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Giorno: 23 Febbraio 2022

II mio amico Eric

Eric Gobetti è un giovane storico, studioso del periodo del fascismo italiano, che ha scritto un saggio di parte, ma ampiamente documentato, sulla vicenda delle foibe, ultimamente cavalcata dai neonazionalisti per dimostrare una presunta equivalenza tra assassinii o addirittura genocidi. Da quando questo saggio è divenuto parte della discussione pubblica, i suoi account sono intasati da minacce di morte a lui e ai suoi figli, del tipo “comunista appeso, ci vendicheremo” (questa è una delle più riferibili).

Eric Cantona è stato un ottimo calciatore. Tuttavia è diventato più celebre per le sue gesta e dichiarazioni a bordocampo che per il suo talento sportivo. Icona del Manchester United pur essendo francese di nazionalità, nel 1995 fu squalificato per nove mesi dopo aver colpito con una scarpata stile Bruce Lee un hooligan che gli gridava “tornatene in Francia, bastardo!” dalle tribune dello stadio del Crystal Palace. Ha interpretato se stesso in un bel film di Ken Loach, nel quale per una volta la celebrità e l’anonimato non sembrano affatto due mondi separati, ma si compenetrano nella trama di una commedia amara e (stranamente per Loach) condita di ingredienti surreali.

Non conosco personalmente nè l’uno nè l’altro Eric, eppure li sento come miei amici.

 

“Ho avuto un sacco di momenti belli nella mia vita, ma il migliore è stato senza dubbio quando diedi il calcio a quell’hooligan”.

Eric Cantona

Sciopero nazionale del trasporto pubblico indetto dalle OO.SS. per venerdì 25 febbraio

Per  venerdì 25 febbraio:

– le Segreterie territoriali delle OO.SS. FILT-CGIL, FIT-CISL, UIL-TRASPORTI, FAISA-CISAL e UGL-FNA hanno comunicato l’adesione allo sciopero nazionale di 24 ore delle lavoratrici e dei lavoratori del trasporto pubblico locale proclamato dalle rispettive Federazioni Nazionali;

– la locale Segreteria del Sindacato Generale di Base SGB ha comunicato l’adesione allo sciopero nazionale di 24 ore del settore del trasporto pubblico locale proclamato dalle OO.SS.CUB TrasportiCOBAS Lavoro Privato e ADL Cobas;

– la Segreteria Regionale SLM FAST CONFSAL ha comunicato l’adesione allo sciopero nazionale di 4 ore delle lavoratrici e dei lavoratori del trasporto pubblico locale proclamato dalla Federazione Nazionale dello stesso sindacato.

Si riportano di seguito le modalità previste per servizi di bus e altre attività di competenza di Tper: per il personale viaggiante dei servizi automobilistici e filoviari Tper dei bacini di servizio di Bologna e Ferrara (bus e corriere) gli scioperi di 24 ore si svolgeranno, nel rispetto delle fasce di garanzia, dalle ore 8.30 alle ore 16.30 e dalle ore 19.30 a fine servizio. Lo sciopero di 4 ore indetto dal sindacato SLM  FAST CONFSAL si svolgerà dalle ore 11.00 alle ore 15.00, orario ricompreso nella più ampia fascia di astensione prevista dai concomitanti scioperi di 24 ore. Negli orari di sciopero, i servizi di trasporto pubblico urbano, suburbano ed extraurbano non saranno garantiti. Più precisamente, per i mezzi urbani, suburbani ed extraurbani del bacino di Bologna saranno garantite solamente le corse dal capolinea centrale verso periferia, e viceversa, con orario di partenza fino alle ore 8.15 al mattino e fino alle ore 19.15 alla sera. Durante lo sciopero, al call-center telefonico 051-290290 sarà garantita la presenza di un operatore. Gli scioperi riguardano anche il personale dedicato al “Marconi Express”, il cui servizio potrebbe non essere garantito, per effetto dell’astensione dei lavoratori, nel corso dell’intera giornata di venerdì 25 febbraio. Per le linee urbane di Imola verranno garantite tutte le corse complete in partenza dalla stazione ferroviaria, o dall’autostazione, fino alle ore 8.20 al mattino e fino alle ore 19.20 alla sera. Per i mezzi urbani, extraurbani e del servizio Taxibus di Ferrara saranno garantite solamente le corse dai capilinea periferici, centrali e intermedi con orario di partenza fino alle ore 8.15 al mattino e fino alle ore 19.15 alla sera.

CGIL Ferrara: ODG tutela e sicurezza sui luoghi di lavoro

Il Comitato Direttivo della CGIL, riunitosi in data 22 febbraio 2022, dà mandato alla Segreteria Confederale di coordinare una azione con le Categorie per produrre ogni utile iniziativa indirizzata ad accrescere la tutela della Salute e Sicurezza sui luoghi di lavoro, estendendo il diritto alla Prevenzione alle lavoratrici e ai lavoratori, agli studenti impegnati nelle transizioni scuola-lavoro.
La grande maggioranza degli incidenti, che si ripetono oramai da troppi mesi sul nostro territorio, sono evitabili con una corretta organizzazione del lavoro, con pratiche concrete di valutazione dei rischi, con la formazione mirata ai rischi trasversali e specifici legati alla mansione.
Se esaminiamo le modalità e i contesti in cui avvengono gli infortuni gravi e mortali sul lavoro registriamo spesso che i determinanti che hanno causato l’incidente riguardano la precarietà del rapporto di lavoro, la debolezza contrattuale dell’impresa che fornisce prestazioni in regime di appalto e subappalto, la mancata partecipazione alla gestione della sicurezza dei lavoratori e del sindacato,
l’informalità che regola l’organizzazione approssimativa del lavoro.
Il Comitato Direttivo ritiene che la lotta contro gli infortuni e le malattie professionali si potrà vincere se si realizzeranno, con il contributo dei servizi Ausl, ricerche di settore, comparto e filiera che individuino le anomalie che le attuali forme “liquide” di organizzazione del lavoro generano, mettendo lavoratrici e
lavoratori non formati in modo adeguato, in una condizione di rischio per la loro salute.

EUROPA VERDE ALLA GIUNTA REGIONALE: PROMUOVERE LA PROPOSTA DI SCIENZIATI E PREMI NOBEL DI TAGLIO DELLE SPESE MILITARI DA IMPIEGARE PER LA LOTTA A EMERGENZA CLIMATICA, PANDEMIA E POVERTÀ

Bologna, 23/02/2022 – Il gruppo Europa Verde dell’Assemblea legislativa dell’Emilia- Romagna ha depositato una risoluzione per impegnare la Giunta regionale ad attivarsi nelle sedi opportune per sensibilizzare i cittadini sui contenuti della petizione a sostegno del “Dividendo globale di Pace”, nata per promuovere la proposta di scienziati e premi Nobel rivolta ai governi di tutto il mondo perché, per cinque anni, riducano del 2% delle spese militari annuali, destinando le risorse risparmiate alla creazione di un fondo per la lotta contro i cambiamenti climatici, le pandemie e la povertà estrema. La risoluzione dei Verdi intende raccogliere l’appello alla pace di Papa Francesco e del
cardinale di Bologna Matteo Zuppi ed essere una risposta anche ai venti di guerra che soffiano sempre più forte in Ucraina. Come accade nei conflitti armati, a guadagnarci è il settore della produzione e del commercio dei sistemi d’arma. Un settore che ha continuato a fiorire anche durante la fase della pandemia, come confermano i dati sull’aumento dei fatturati delle 100 principali industrie militari mondiali: nel 2020 il comparto ha registrato vendite a livello globale per un totale di 531 miliardi di dollari, in crescita dell’1,3% rispetto all’anno precedente. Un incremento in linea con il trend dell’ultimo ventennio: dal 2000 ad oggi la spesa militare mondiale è raddoppiata e oggi sfiora 2 trilioni di dollari Usa l’anno, conseguendo un aumento in tutte le regioni del mondo. Anche in Italia negli ultimi anni la spesa militare ha continuato a crescere, soprattutto per l’acquisto di nuovi armamenti, fino a segnare un record storico con lo stanziamento iscritto nel bilancio del 2022 che, secondo il report dell’Osservatorio Milex, sfiorerà i 26 miliardi di euro, registrando un aumento di 1,35 miliardi rispetto al 2021 (+11,7% sul 2020 e +19,6% sul 2019). Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), l’Istituto internazionale di studi sulla pace di Stoccolma che ogni anno elabora un rapporto sul commercio internazionale dei
sistemi d’arma, ha evidenziato che per evitare il collasso climatico servirebbero, da qui al 2050, 44 mila miliardi di dollari di investimenti, molto meno della spesa in armi prevista, sempre al 2050, che è di 58 mila miliardi di dollari. Partendo da questi dati, lo scorso dicembre oltre cinquanta premi Nobel e scienziati – tra i quali i premi Nobel per la fisica Carlo Rubbia e Giorgio Parisi – hanno rivolto un appello ai governi dei Paesi di tutto il mondo perché avviino trattative per giungere ad una riduzione concordata della spesa militare del 2% l’anno per cinque anni. Nell’appello, intitolato “Una semplice proposta per l’umanità”, i firmatari propongono che il fondo globale creato con i risparmi sulla spesa militare – si stima pari a una cifra di mille miliardi di dollari entro il 2030 – sia impiegato come una sorta di “dividendo della pace” da utilizzare per affrontare problemi comuni a tutti i paesi del mondo, quali pandemie, cambiamenti climatici, povertà estrema. “Mentre continua il tam tam sul possibile scoppio di un conflitto armato tra Ucraina e Russia, le migliaia di miliardi che ogni anno vengono spesi in armamenti nel mondo, Italia compresa, gridano vendetta di fronte alla necessità di investire risorse per contrastare la pandemia, il cambiamento climatico e per dare condizioni di vita dignitose a quella parte di popolazione mondiale che vive ancora oggi in situazioni di indigenza” – afferma Silvia Zamboni, vicepresidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna e Capogruppo di Europa Verde. “Come dimostra il rapporto SIPRI, le risorse necessarie per curare il clima e per mettere in sicurezza la nostra vita sul pianeta ci sono, ma si preferisce investirne molte di più per distruggerlo e distruggerci. Anche una recente ricerca di Greenpeace evidenzia che i paesi europei, invece di puntare sulla transizione ecologica ed energetica, finanziano operazioni militari all’estero per la difesa delle fonti fossili. L’Italia, negli ultimi quattro anni, ha speso 2,4 miliardi di euro nelle missioni militari collegate a piattaforme estrattive, oleodotti e gasdotti controllati da ENI. Di fronte a questo scempio di risorse non possiamo stare a guardare in silenzio. Dalla nascita del nostro movimento, nel Dna dei Verdi, in tutta Europa, sono iscritti come valori fondanti l’ecopacifismo e il disarmo. Per questo anche in Emilia-Romagna Europa Verde sarà al fianco dei movimenti pacifisti, a partire dall’adesione alla fiaccolata di sabato prossimo, a Bologna, promossa dal Portico della Pace contro la guerra in Ucraina, e ad iniziative analoghe in altre città. Con questo spirito – conclude la consigliera Zamboni – oggi presentiamo questa risoluzione per impegnare la Giunta regionale ad attivarsi per sensibilizzare i cittadini dell’Emilia-Romagna sui contenuti della petizione “Global Peace Dividend. Redirect world military spending towards climate, health and prosperity” (https://peace-dividend.org) lanciata dai promotori a sostegno della proposta del “Dividendo per la Pace”; e a promuovere, nelle sedi opportune, la conoscenza e gli obiettivi della petizione come contributo a finanziare i provvedimenti di contrasto della pandemia, dei cambiamenti climatici e delle disuguaglianze sociali”.

Le spoliazioni e restituzioni di opere d’arte in Italia in età napoleonica ed il ruolo di Antonio Canova

Con l’avvicinarsi della primavera inizia una nuova stagione di attività per il Centro Studi Internazionale “Il Guercino”, che apre la sua “Primavera Guerciniana” proponendo al pubblico una conferenza particolarmente significativa in questo momento, perché mette in relazione la figura di Antonio Canova (del quale nel 2022 si celebra il bicentenario dalla morte) con la storia della Civica Pinacoteca di Cento, che sta finalmente rinascendo grazie a un importante cantiere di restauro. Sarà, dunque, una conversazione dedicata all’impegno profuso nei secoli per difendere il valore dell’arte come bene comune, e al riconoscimento dell’importanza dell’opera del Guercino nel contesto del patrimonio
culturale emiliano e internazionale.
Già curatore della bella mostra dedicata al ruolo di Canova per le arti appena conclusasi presso la Pinacoteca di Bologna, il relatore Alessio Costarelli, ricercatore presso il Dipartimento delle Arti Visive, Performative e Mediali dell’Università di Bologna, ricostruirà una vicenda di grande rilevanza storica. Come è noto, infatti, a partire dal 1796 l’invasione francese nella Penisola italiana diede avvio ad una sistematica operazione di sottrazione di opere d’arte e beni librari d’ogni epoca condotti in Francia
ad arricchimento di musei e biblioteche transalpine. Un esodo enorme di beni preziosissimi che per circa un ventennio parvero non poter fare mai più ritorno. La seconda e definitiva caduta di Napoleone nel 1815 consentì infine la restaurazione di uno status quo che tuttavia apparve fin da subito molto meno scontato della reintegrazione dei confini geopolitici e delle sovranità nazionali. Protagonista cruciale di questo processo di riappropriazione di identità storica e culturale fu lo scultore Antonio Canova (1757-1822), inviato a Parigi da Papa Pio VII a trattare la restituzione dei beni sottratti, tra i quali alcuni capolavori del Guercino, che erano stati rimossi dagli altari delle chiese di Cento.
La conferenza affronterà dunque l’entusiasmante storia di questa vicenda, i suoi presupposti, le conseguenze culturali, le dinamiche diplomatiche e le concrete problematiche di trasporto tenendo al centro la figura di Canova e concentrandosi infine sui casi specifici di Bologna e Cento nel riaccogliere l’enorme patrimonio riacquistato. Come sottolinea Valeria Tassinari, nuova presidente del Centro Studi, “parlare dell’impegno etico di un artista come Canova per la difesa del patrimonio, e in particolare per il ritorno a casa del nostro Guercino, costituisce non solo l’inizio di un percorso ideale di ricostruzione della storia della nostra Pinacoteca, ma anche il segno della rinnovata volontà di sottolinearne il valore come luogo identitario per l’intera comunità. Sarà un percorso ricco di contenuti e di sorprese, attraverso il quale nei prossimi mesi affiancheremo e accompagneremo i lavori di recupero dell’edificio e il progetto di riallestimento, lavorando in sintonia con l’Assessorato alla Cultura e il Direttore dei Musei.”

Effetti collaterali (e costosi) delle politiche neoliberiste del governo Draghi

 

E’ dunque arrivato un nuovo provvedimento del governo per affrontare il tema del caro bollette, in particolare quelle del gas e dell’elettricità. E’ il quarto che viene preso a partire dal giugno scorso e, come gli altri precedenti, non pare in grado di costruire soluzioni positive del problema, né tantomeno di evitare quello che si prospetta come un vero e proprio salasso per la gran parte delle famiglie italiane.

ARERA (l’Autorità nazionale di regolazione per l’energia, le reti e l’ambiente) stima che, pur tenendo conto degli intervento realizzati dal governo nel 2021, saremo di fronte ad un incremento del 131% del prezzo dell’energia elettrica e del 94% di quello del gas per il consumatore domestico tipo nel primo trimestre 2022 rispetto al primo trimestre 2021.

In questo scenario le ultime decisioni del governo, costruite con un mix di interventi tra riduzione di oneri di sistema, taglio dell’IVA, sostegno alle imprese e rafforzamento del bonus sociale per una spesa complessiva di poco più di 6 miliardi di €, non fanno altro che operare una parziale riduzione dei forti oneri che colpiranno famiglie e piccole imprese, con un po’ più di attenzione alle famiglie povere e disagiate, quelle che si attestano attorno ad un ISEE di 8000 €.
Forse non casualmente, nello stesso giorno in cui il governo annunciava quest’ultimo intervento, l’Amministratore delegato dell’ENI Descalzi  presentava il bilancio dell’azienda del 2021, che si chiude con un utile netto di 4,7 miliardi di €.  

L’intervento del governo discende da una visione da ‘capitalismo compassionevole’, per cui i profitti sono intoccabili, il meccanismo economico e i prezzi sono fissati dal mercato, l’intervento pubblico può correggere limitatamente quelle dinamiche, al massimo portando maggiormente sollievo ai poveri e agli indigenti. E che si nutre di una visione ottimista del mercato stesso, la famosa “mano invisibile” di Adam Smith, che genera progresso e equilibrio.

Quest’approccio, ideologico e ‘ingenuo’, favorisce anche il fatto di non voler vedere ciò che sta succedendo per quanto riguarda la mutata situazione del mercato dell’energia e che ormai presenta caratteristiche strutturali, non semplicemente un’eredità delle vicende economiche prodotte dalla pandemia. In realtà, al di là della vulgata per cui l’incremento dei prezzi del gas sarebbe sostanzialmente dovuto all’acuirsi delle tensioni geopolitiche, ai ricatti provenienti dalla Russia, aggravate dai rischi di guerra in Ucraina, non si tiene in sufficiente considerazione che il mercato del gas naturale sta subendo un cambiamento non di breve periodo legato alle scelte in materia energetica che sta compiendo la Cina.
La Cina, infatti, si sta impegnando per una forte limitazione del ricorso al carbone, spingendo maggiormente sull’utilizzo, appunto, del gas e delle fonti rinnovabili. Non a caso la Russia ha firmato ultimamente un contratto di 30 anni per la fornitura di gas alla Cina ed è previsto la costruzione di un nuovo gasdotto che collegherà l’Estremo Oriente russo con la Cina.

A quest’elemento di potenziale modifica strutturale della domanda e dell’offerta nel mercato del gas, si aggiunge il ruolo speculativo della finanza: mi riferisco qui al mercato dei diritti di emissione della CO2. Esso regola i cosiddetti “crediti di carbonio”(ETS), un meccanismo dell’Unione Europea per cui, se un’azienda inquina, ha diritto ad una certa quota di emissione di CO2, ma se la sfora, può sempre pagarne di ulteriori, comprate dalle aziende che, invece, ne hanno immesse di meno.
Come tutti i mercati di questa natura, esso si presta a scommesse e speculazioni, tant’è che, con la ripresa produttiva dopo la caduta del 2020, i prezzi di queste quote sono aumentati notevolmente e vengono scaricati sui consumatori: si stima, infatti, che, per quanto riguarda l’Italia, il rincaro delle bollette del gas derivi per l’80% dall’aumento del prezzo del gas, ma per un ben 20% dall’aumento dei prezzi dei permessi di emissione.

Insomma, lo sguardo di breve periodo, alimentato dall’idea della centralità del mercato, fa sì che, da una parte, si metta tra parentesi la necessità di mettere in campo da subito il processo di transizione energetica verso le fonti rinnovabili, le uniche che ci porterebbero ad una reale uscita dalla dipendenza dall’estero e dall’andamento dei mercati internazionali, e, dall’altra, non si costruiscano efficaci strumenti di tutela economica per le famiglie e le piccole imprese.

Come dice anche il presidente di Nomisma Energia Tabarelli, bisognerebbe “tornare alle tariffe amministrate, cioè stabilite dalla mano pubblica. Ma a Roma e a Bruxelles dicono che quella a cui stiamo assistendo è una normale manifestazione del libero mercato, e che si aggiusterà tutto automaticamente”.
Tariffe amministrate, fissate entro limiti certi dalla decisione politica, come si è iniziato a fare in Francia e Spagna, e recupero salariale dall’inflazione (ve la ricordate la scala mobile?) diventano nuovamente questioni fondamentali se si vuole evitare una nuova fase di impoverimento di gran parte della popolazione. Ma ciò mal si concilia, anzi è proprio l’opposto, della politica economica e sociale del governo, tutto teso a esaltare la crescita del PIL e a spingere sulle bontà salvifiche del mercato

La stella logica liberista che presiede alle scelte del PNRR e del disegno di legge delega sulla concorrenza. Quest’ultimo, il cui iter parlamentare è da poco iniziato al Senato e che il governo vorrebbe concludere entro l’estate, darebbe il colpo di grazia finale alla gestione pubblica dei servizi pubblici locali e completerebbe definitivamente i processi di privatizzazione che non si sono mai fermati da 30 anni in qua.
Con quello che si portano dietro tutte le privatizzazioni, e cioè incremento dei profitti, aumento delle tariffe, allontanamento dalle finalità sociali cui dovrebbero rispondere i servizi pubblici. Peraltro, questo processo riguarderebbe l’insieme dei servizi pubblici locali, compresi quelli sociali, quello idrico e della gestione dei rifiuti, di cui si parla meno in questi giorni, ma che sono anch’essi investiti, per esempio, da crescite tariffarie significative.

Il 5 marzo a Ferrara il convegno della Rete Giustizia Climatica

E’ in questo contesto che si colloca anche il convegno sulle politiche dei rifiuti “Ci siamo rotti i polmoni” che la Rete per la Giustizia Climatica di Ferrara organizza per la mattina del 5 marzo. ( vedi sopra locandina).
Con quest’appuntamento si intende smontare i luoghi comuni e affrontare i nodi irrisolti della gestione dei rifiuti nella nostra città.
Infatti, a fronte del tanto sbandierato buon risultato della raccolta differenziata in città, che ha raggiunto l’87% sul totale dei rifiuti, frutto, in primo luogo, del comportamento virtuoso dei cittadini, abbiamo assistito all’approvazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, decisa nella primavera scorsa con il pronunciamento dell’Ente regionale ARPAE e non osteggiata dall’ Amministrazione Comunale di Ferrara, che ha portato all’innalzamento dei rifiuti bruciati dall’inceneritore a Ferrara da 130.000 a 142.000 tonnellate.
Inoltre, le tariffe relative ai rifiuti sono cresciute di circa l’8%,
e ora, secondo quanto dichiarato dall’Amministrazione Comunale, si attestano per una famiglia media a circa 300 € l’anno, sopra la media regionale che è di circa 276 €.

Continua intanto l’assordante silenzio dell’Amministrazione Comunale rispetto alla possibilità di ripubblicizzare il servizio dei rifiuti, che Hera gestisce in proroga dalla fine del 2017, quando è scaduta la concessione, e che, invece, può essere affidato ad un’azienda pubblica, dopo aver svolto un apposito studio di fattibilità, seguendo la scelta compiuta dall’Amministrazione comunale di Forlì in questa direzione. Allo stesso modo, non si intende affrontare il tema di una progressiva fuoriuscita dall’incenerimento, che si può realizzare con scelte efficaci in tema di politiche dei rifiuti, a partire dalla riduzione della loro produzione.

Verificheremo, anche con quest’iniziativa e il contributo di ospiti importanti, la volontà di amministratori e esponenti politici regionali e comunali, che sono stati invitati a partecipare, di fuoriuscire dal pensiero unico della centralità del mercato e del profitto.
Sempre che la politica voglia misurarsi con le questioni poste da Associazioni, movimenti, società civile e non continui a rimanere chiusa nella sua torre d’avorio.

Ora i vecchi “no vax” come si chiamano?

Riapro la tesi della triennale. Parlo di post-verità. Giusto nell’introduzione, faccio qualche esempio per spiegare questo fenomeno, e includo nel discorso il movimento no vax.
Era la fine del 2020, e io avevo in mente un particolare scenario: la paura della correlazione tra vaccini e autismo, agitatori politici e ideologici che continuavano a battere su ipotesi ormai screditate dalla scienza, l’agitazione sui social (ma anche sui media tradizionali), l’aumento spaventoso di casi di morbillo nei bambini, ecc ecc.
Una cosa però era chiara: “no vax” significava “contro i vaccini”, erano coloro che rifiutavano categoricamente di far vaccinare se stessi e i propri figli.

Non pensavo che, pochi mesi dopo, avrebbe significato “chi non ha ancora ricevuto una dose contro il Covid19”.

Una conferma è arrivata alla fine del 2021, con l’approvazione da parte dell’EMA (European Medicines Agency) di Novavax.
Da allora fioccano articoli del tipo: “Novavax: il vaccino che piace ai no vax”, “Perché Novavax è il vaccino che piace ai no vax”, “Novavax, medico no-vax: «potrebbe essere più sicuro ed efficace» e così via. E come mai piace così tanto a questa categoria di persone? Semplice: perché questo è un vaccino tradizionale, perché usa una tecnologia già sperimentata da decenni.

Mentre scrivo questo articolo, sono molti gli Italiani che hanno ricevuto tutte le vaccinazioni, a parte una; che per aspettare Novavax (che sembra stia per arrivare, ma la cui data di arrivo è stata come un’oasi-miraggio che sembra sempre vicina, ma mentre la si sta per raggiungere si allontana) sono rimasti sospesi dal lavoro.

Sia chiaro, questo non vuole essere un articolo contro i vaccini che vengono attualmente somministrati in Italia; ma risulta chiaro il cortocircuito tra il significato che “no vax” aveva circa un anno fa rispetto ad oggi.
E dunque mi chiedo: ma i no vax puri, quelli di una volta, ora come si chiamano? E come si chiameranno in futuro?

Vite di carta /
Una donna di nome Circe

 

Che donna, Circe. Ho preso in mano il romanzo che le ha dedicato la studiosa statunitense Madeline Miller, pensando a quel che sapevo di lei e della storia d’amore con Ulisse, quella storia tante volte riletta dalla Odissea insieme agli studenti: lei che trasforma in maiali i compagni dell’eroe greco, adoperando le arti magiche in cui eccelle; lui che è preparato a incontrarla dalle istruzioni avute da Ermes e si sottrae alla metamorfosi; loro che finiscono per godere insieme delle gioie del talamo per un intero anno. Circe è una ospite generosa che trattiene l’amato eroe e i suoi compagni, tornati a essere uomini, sull’isola di Eea, in cui è stata esiliata dal padre da tempo immemorabile a causa delle sue arti magiche

Ma non volevo indugiare troppo sulla storia d’amore tra un mortale molto particolare e una immortale altrettanto indocile ed eccentrica. Vorrei rimanere su di lei, per ripensare a come nel libro della Miller si fa narratrice della propria vita e dei luoghi e delle relazioni che ha avuto con divini e mortali.

La storia con Ulisse costituisce solo una parte del suo vissuto, per quanto importante e foriera di sviluppi straordinari. C’è un prima e c’è un dopo su cui intendo soffermarmi: due fasi che Circe illumina col suo potente laser narrativo e con il senso critico che le proviene dall’essere collocata a metà tra divini e umani.

Divina lo è eccome, figlia di Elios, dio del sole, e della ninfa Perseide; ma ha anche tratti particolari che le fanno amare la compagnia dei mortali, che le fanno avvertire il dolore del mondo. Degli dei suoi parenti e di tutti gli altri sa mettere in luce, per esempio, i capricci e la prevedibilità del comportamento. Dei mortali condivide le passioni, come indipendenza, amore, amicizia, nostalgia, sete di conoscenza. Dunque il suo è un punto di vista che si mantiene più tormentato ma anche più libero.

Nella infanzia e nella giovinezza Circe patisce le limitazioni della figlia meno amata, ha una carattere difficile, una brutta voce che le viene spesso rimproverata, è poco curata dalla madre e poco ascoltata dal padre. Si abitua a stare con se stessa e diviene sempre più autonoma e svincolata dallo standard di vita di una dea, apprendendo da sola le arti magiche.

La famiglia si adonta continuamente per il suo comportamento, la famiglia la esilia. La parabola della sua vita ricorda quella di Annemarie Schwarzenbach (1908-1942) [Qui] che fu scrittrice, fotografa, archeologa e giornalista, raccontata magistralmente da Melania Mazzucco nel libro Lei così amata, dove le cose tra mortali non vanno diversamente da quello che viene riservato a Circe, anche se siamo nel primo Novecento.

Annemarie avrebbe potuto adagiarsi in una vita comoda e agiata, invece prese le distanze dalla famiglia e per rimanere fedele a se stessa visse in una fuga continua, tra viaggi in ogni parte del mondo, rapporti irregolari con uomini e donne e molti scandali.

Da adulta la Circe raccontata da Madeline Miller è un’altra donna rispetto alla ammaliatrice di Ulisse che ci consegna l’Odissea di Omero, è una creatura ‘diversa’ che, per quanto divina, conosce l’esilio, la solitudine e la violenza che le viene usata da pirati di passaggio sulla sua isola.

La splendida parentesi della passione per Ulisse la indirizza verso un destino misterioso: scopre di aspettare un figlio quando l’eroe ha ripreso il viaggio in mare verso Itaca. Quando il bambino nasce gli imprime lo stigma della lontananza dal proprio padre, dandogli il nome di Telegono (che significa ‘nato lontano’) e lo cura incessantemente con un amore assoluto. Le arti magiche di cui è capace sono tutte spese a preservare il bambino da ogni pericolo umano e divino.

Molte cose non sapevo, della personalità inquieta di Telegono e del risentimento di Telemaco verso il padre Ulisse dopo il suo ritorno a Itaca. È questa ultima parte della storia che trovo più attraente.

Dunque Circe ha generato un figlio di cui Ulisse non conosce l’esistenza, un figlio che divenuto adolescente vuole conoscerlo e salpa alla volta di Itaca per incontrarlo. Lo incontra e lo uccide anche, perché Ulisse assale il giovane forestiero, credendolo un pirata e si ferisce a morte sulla sua lancia avvelenata.

Telegono, schiacciato dal senso di colpa, conduce con sé ad Eea Penelope e il fratello Telemaco. E Circe offre ospitalità alla moglie dell’eroe che ha amato e al figlio di lui, che non ricorda per nulla nei comportamenti e nei pensieri il grande Odisseo. Ho ridotto i fatti all’osso per lasciare spazio almeno a due considerazioni.

La prima riguarda le dinamiche familiari, imperscutabili. La famiglia è quella formata da Ulisse, Penelope e Telemaco e le sorprese sono tutte derivate dai racconti postomerici ripresi da Miller, specie dalla Telegonia di Eugammone di Cirene [Qui], con cui si conclude il ciclo dei miti troiani.

La sorpresa più grande mi è venuta dal ritratto che Telemaco fa del padre, che dopo la strage dei proci, i pretendenti di Penelope durante la sua assenza da Itaca, si è vendicato con ferocia anche delle loro famiglie e si è fatto un sovrano pieno di ombre, bugiardo e a tratti perverso. Ha provato sgomento, Telemaco, per un padre così e ne ha preso le distanze.

Anche Penelope contribuisce a darne un ritratto negativo, quando spiega a Circe perché sta cercando ospitalità fuori da Itaca. Circe ha ben compreso quanto noi umani, come gli dei d’altro canto, siamo mutevoli: cambiamo con la pratica del vivere e intanto cambia il giudizio degli altri su di noi. Difficile afferrare una volta per tutte la cifra del nostro passaggio su questa terra. Più difficile ancora nel caso di Ulisse, ma la maga, che da bambina aveva avuto pietà verso il supplizio di Prometeo, ora esercita al meglio la umana tolleranza e sa accettare il declino del suo eroe per come glielo raccontano la moglie e il figlio.

Pure Penelope ha le sue ambiguità (sull’argomento va ricordato il bellissimo saggio di Eva Cantarella, L’ambiguo malanno, nella prima parte al capitolo secondo, che è dedicato ai poemi omerici) e una complessità che la avvicina a poco a poco a Circe; non a caso nel libro di Miller rimane a imparare le arti magiche ad Eea, mentre Circe rafforza il proprio legame con Telemaco.

La seconda investe la lettura in chiave contemporanea che si può fare di Circe, una che ha proceduto per sottrazione attraverso le fasi della sua esistenza, lunghissime. Una che ha incassato più rinunce e perdite che altro, che ha saputo lasciar andare il figlio verso il proprio destino. Ha modellato il tenore della propria vita con la magia, fin dove ha potuto.

Alla fine, dopo l’incontro con Telemaco con i suoi tratti di uomo stabile ed equilibrato, conduce a termine la metamorfosi interiore in cui si è a lungo dibattuta e sceglie di diventare una mortale: come fa notare Maria Grazia Ciani nella postfazione al libro, Circe “conclude l’affannosa ricerca di identità inseguita per tutta la vita sposando borghesemente Telemaco, da cui ha delle figlie, scegliendo la pace di Eea, la tranquillità di una vita che, partendo dalla voce, si è estesa a tutta la sua esistenza. Un marito, delle figlie soavi, la pace quotidiana. Hic manebimus optime.

Questo cerchiamo, ieri come oggi: un posto dove stare, uno spazio vitale che ci dia senso e consapevolezza. Se Penelope appare liberata dalla ‘gabbia’ familiare e trova stabilità sull’isola incantata che era stata la dimora di Circe, Circe trova nella famiglia il suo luogo di arrivo.

Nel mio testo faccio riferimento a:

  • Madeline Miller, Circe, Marsilio, 2018,
  • Melania Mazzucco, Lei così amata, Einaudi, 2000
  • Eva Cantarella, L’ambiguo malanno, Einaudi Scuola, 1995

 

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